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I partiti, la campagna elettorale e “la proposta che manca”

Natale D'Amico Fortune Italia

Le campagne elettorali si assomigliano un po’ tutte. I partiti candidati alle elezioni promettono qualcosa, per convincere gli elettori a votarli. E’ diventato un luogo comune affermare che quella in corsa è peggiore delle altre. Ma è, per l’appunto, nient’altro che un luogo comune. Basti ricordare la campagna elettorale del 2018. I partiti che sarebbe arrivati primo e terzo, M5S e Lega, proponevano più o meno apertamente l’uscita dell’Italia dall’Euro. Sarebbe stato un vero disastro. Oggi, per fortuna, non vediamo proposte simili, se non da parte di piccole formazioni che combattono con la soglia di sbarramento del 3%. Si dice: ma ciascuno propone riduzioni di imposta, pensionamenti anticipati, assunzioni di dipendenti pubblici, bonus e sussidi senza specificare dove sarebbero prese le risorse per finanziarli. E’ vero; ma quando mai in campagna elettorale i partiti si sono soffermati sulla parte delle loro proposte penose per coloro ai quali chiedono il voto? Assistiamo a una serie di proposte che o “si finanziano da sole”, o “si finanziano con la crescita”; spesso con “i risultati della lotta all’evasione fiscale”. Mai nessuno che spieghi ai cittadini che se si vuole spendere di più o si taglia la spesa da qualche parte, o si aumenta qualche imposta, o si caricano ulteriormente di debito le spalle dei nostri figli e nipoti. Ma è sempre così, e non si può chiedere ai partiti di farsi ‘bollinare’ dalla ragioneria dello Stato le loro coperture, come si fa per le proposte di legge in Parlamento. Infine: questa è una campagna elettorale breve, la più breve della storia della Repubblica. Il che non è male.

I no euro che han cambiato idea. Il primo Governo Conte con i due vicepremier Matteo Salvini e Luigi di Maio

Eppure, a ben vedere, c’è un luogo dove le risorse le si potrebbe trovare, senza aumentare tasse o indebitarsi. E’ nascosto nelle pieghe del bilancio pubblico, alla voce spesa per interessi. Spesa che aumenta e ancor di più aumenterà nel prossimo futuro. Perché aumenta il debito; perché aumentano i tassi d’interesse di mercato (le banche centrali non hanno alternativa se vogliono, come debbono, fermare l’inflazione); perché già paghiamo un interesse maggiore degli altri a causa del nostro debito elevato e della patente di inaffidabilità che ci siamo meritati accumulando debito come non vi fosse un domani. Purtroppo questa differenza – il famigerato spread – aumenterà ulteriormente, quando i mercati registreranno che un debito tanto grande diventa meno sostenibile con tassi di mercato più alti.

Immaginiamo per un momento di affidarci alle tendenze in atto. Ai ritmi attuali, il debito cresce di circa 40 miliardi l’anno, e il nostro spread rispetto al tasso di mercato – di solito si considera tale quello sui titoli di Stato tedeschi – viaggia intorno al 2,3% all’anno. Come si diceva, man mano che i tassi di mercato saliranno, anche il di più pagato dall’Italia aumenterà. A prescindere da eventuali politiche avventuristiche del nuovo Governo, che speriamo ci siano evitate. Prima o poi, il costo del nostro debito si farà insostenibile. Sarà necessario di nuovo chiedere alla banca centrale europea di intervenire. La BCE potrà attivare il nuovo strumento che si è dato, il TPI, ma ad alcune condizioni: anzitutto che il bilancio italiano rispetti le regole europee; in poche parole, che venga velocemente ricondotto verso il pareggio. Cosa che chiunque governi non potrà evitare di impegnarsi a fare. Lo spread sarà riportato verso il livello attuale; resterà positivo, e grande più o meno come ora, perché ancora una volta l’Italia avrà dimostrato di non riuscire a tenere in ordine il proprio bilancio senza un aiuto esterno.

Banca centrale europea. Il debito dell’Italia potrebbe diventare insostenibile e la Bce potrebbe dover intervenire per aiutarci

Proviamo a immaginare invece uno scenario alternativo. Il nuovo Governo si impegni a rispettare, finalmente, il principio di pareggio del bilancio pubblico introdotto in Costituzione a larga maggioranza nel 2012 e da allora sempre violato. Vari una legge di bilancio coerente con questo obiettivo. Una politica di “austerity”, ma questa volta determinata dalla libera scelta, verrebbe da dire dalla scelta sovrana, dell’Italia, non da costrizioni esterne. I mercati prenderebbero velocemente atto del nuovo indirizzo politico. L’esempio lo abbiamo abbastanza vicino: il rientro dal deficit operato dal Portogallo. Che pagava un interesse maggiore del nostro, e ora paga circa l’1,2% in meno. E per l’Italia pagare sul suo debito quanto paga il Portogallo vorrebbe dire risparmiare oltre 30 miliardi l’anno di interessi. Risparmio che si manifesterebbe gradualmente, man mano che i vecchi titoli verranno a scadenza, ma poi sarebbe permanente. Una proposta in questa direzione è stata avanzata non da un partito, ma dal think tank Istituto Bruno Leoni.

Quanto dovrebbe essere severa la fase di ‘austerity’ per giungere a questo risultato? Non poi così tanto. Alla velocità attuale, il debito pubblico italiano cresce di circa 40 miliardi l’anno. La correzione da fare, immaginando di farla agendo solo dal lato della spesa, sarebbe pari a un po’ meno del 2%. Una seria spending review, finalmente, ma non lacrime e sangue.

Dopodiché l’Italia, ricuperata la credibilità sui mercati, non a livello tedesco o francese ma almeno portoghese, potrebbe disporre di 30 miliardi all’anno di spesa per interessi in meno. Di che finanziaci buona parte delle spese che si erano tagliate per raggiungere il pareggio, e una parte delle promesse di riduzione delle tasse che chi si troverà a governare avrà fatto in campagna elettorale.

Sul piano razionale la scelta, quindi, dovrebbe essere ovvia: da una parte continuare ad accumulare deficit, fino a dover chiedere di nuovo sostegno esterno, ed essere costretti a portare il bilancio verso il pareggio senza alcun premio successivo. Dall’altra anticipare il pareggio di bilancio, e ricevere un premio annuo di almeno 30 miliardi da poter destinare lì dove il nuovo Governo deciderà.

Sembra l’uovo di Colombo. Ad assistere alle proposte della campagna elettorale viene però il dubbio che i partiti siano più propensi a fare una frittata che a tenere in piedi l’uovo come fece lo scopritore delle Americhe.

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