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Ciafani (Legambiente): ecco le nostre 100 proposte per cambiare l’Italia

stefano ciafani legambiente

L’Italia è il paese dalle mille risorse e altrettanti rischi, soprattutto ambientali. Ispra – Istituto Superiore per la Ricerca Ambientale, ha classificato l’Italia fra i paesi europei maggiormente interessati da erosioni, frane e alluvioni, con il 20% del territorio nazionale seriamente minacciato da questi fenomeni, ed oltre 7 milioni di persone che risiedono in aree vulnerabili. Ma la questione ambientale è, purtroppo, ben più ampia con ricadute su tutti i settori, dal sociale all’economia. E la politica come si pone rispetto al tema ambiente? Ne abbiamo parlato con Stefano Ciafani, Presidente di Legambiente e che per lungo tempo ne è stato anche responsabile scientifico.

Il tema del cambiamento climatico è spesso invocato, ma a volte sembra non essere stato compreso a pieno, nella potenza delle conseguenze che potrebbe portare. In cosa consisterebbe, secondo lei, un processo efficace per rilanciare il tema, attivamente, nel nostro Paese?

Noi in questi anni stiamo parlando, giustamente, delle politiche di mitigazione e di come ridurre le emissioni di gas serra. Però non si sta facendo la stessa cosa per le politiche di adattamento. Il Pianeta non è un elettrodomestico, e anche se ora spegnessimo per miracolo tutte le fondi ti emissione di gas clima alteranti su tutto il globo, c’è un volano della crisi climatica che continuerà a lavorare per decenni.
Mentre operiamo da subito in tutto il mondo per ridurre le emissioni di gas serra, poi bisognerà mettere in campo le politiche di adattamento, perché bisogna attrezzarsi per affrontare quelli che sono gli eventi estremi. L’uragano mediterraneo che ha blandito la Sicilia lo scorso anno tornerà, perché gli uragani mediterranei sono diventati purtroppo la realtà. Le alluvioni sono dovute a quegli eventi estremi meteorici che fanno scendere la stessa quantità di acqua ma in intervalli di tempo più brevi. Ci sono delle aree costiere che rischiano di essere sommerse, nei prossimi decenni, se si sciolgono i ghiacciai. L’agricoltura potrebbe andare incontro a nuove siccità. Come ci organizziamo per le colture, ha senso che continuiamo a coltivare prodotti agricoli idro esigenti? Ecco, sono tutte scelte che fanno fatte in un piano di adattamento alla crisi climatica che, a proposito di ritardi, l’Italia ha in bozza dal 2018. C’è da fare un grande lavoro perché c’è a rischio la tutela della vita delle persone, e penso ad alcuni eventi estremi, e c’è anche un problema di tutela dell’economia del nostro Paese. Ecco la classe politica, a livello nazionale e a livello locale, fino ad oggi, non ha dimostrato la giusta consapevolezza su questo rischio.

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Se dovesse rivolgersi al prossimo Governo, quale che sia, che priorità vorrebbe porre all’attenzione?

In Legambiente abbiamo scritto il nostro programma elettorale, come se ci candidassimo alle elezioni. Lo abbiamo presentato in campagna elettorale, continueremo a lavorarci anche quando il Parlamento sarà eletto, e quando verrà nominato il nuovo Governo. Abbiamo tirato fuori cento proposte su venti temi diversi, della transizione ecologica. È stato uno sforzo di proposte concrete, com’è nello stile della nostra associazione. Aspetteremo in autunno la nomina del nuovo Governo e poi il nostro lavoro continuerà, c’è da fare le scelte giuste per rispettare gli obiettivi che l’Europa ci ha posto al 2030, per concretizzare il piano nazionale di ripresa e resilienza, i cui lavori devono concludersi entro la fine del 2026. Questi saranno anni molto importanti,  e certo il dibattito della campagna elettorale, su questi temi, è stato veramente assente, e una certa preoccupazione ce l’abbiamo, ma noi non molliamo il colpo, e chiunque sarà al Governo, gli staremo col fiato sul collo per i prossimi 5 anni, a partire dalle prossime settimane.

Delle 100 proposte ce ne dica una, la più importante.

Aggiornare il piano nazionale integrato di energia e clima, il Pniec. Noi abbiamo un Pniec che è ancora tarato sull’obiettivo europeo del -40% di emissioni di gas serra entro il 2030.  Nel frattempo l’Europa, appena siamo entrati nell’era Covid, ha aumentato l’obiettivo da -40% a -55% , e con l’esplosione della guerra in ucraina e con il programma Repower you, l’Europa è passata dal -55% al – 60% . Noi abbiamo ancora il piano nazionale energia e clima tarato sul -40%. Dobbiamo stare al passo coi tempi, quindi la cosa più urgente da fare è definire entro il 2022, il nuovo piano nazionale energia e clima, in modo tale che tutti i settori dall’agricoltura alla mobilità, dall’edilizia alla produzione di energia, fino all’industria, sappiano quello che bisogna fare da qui al 2030. Perché il 2030 è lontano, ma è molto vicino. E dobbiamo decidere da subito la strada da imboccare.

Il processo di Transizione Ecologica è stato avviato con successo, in Italia. Quali obiettivi e nuove visioni dovrebbero connotare il percorso, perché sia efficace e concreto?

Per certi versi siamo un Paese che vanta dei campioni della transizione ecologica, abbiamo impianti dell’economia circolare che non esistono in altre parti del mondo, impianti chimici che producono oggetti fatti non dal petrolio ma da fonti rinnovabili, e questo avviene solo in Italia. Abbiamo tecnologia anche sulle rinnovabili, che spesso produciamo qua e vendiamo all’estero, invece di utilizzarla nel nostro paese. Dovremmo evitare che queste esperienze all’avanguardia siano delle mosche bianche, far sì che diventino un esempio da replicare in tutto il settore produttivo. Dovremmo fare in modo che l’innovazione, sia nei processi che nei prodotti, si diffonda il più velocemente possibile, e per farlo servono le politiche, a livello nazionale, che sono mancate fino ad oggi.

Se ci fosse l”occasione irripetibile’ per l’Italia, quale sarebbe, secondo lei?

Siamo in grado di fare delle cose straordinarie, e l’opportunità sta nel fatto che, di fronte a questo dramma per le future generazioni che è la crisi climatica, possiamo studiare una soluzione che saremmo in grado di industrializzare e dovremmo puntare ad esportarla in tutto il mondo. Questo è un Paese che lavora molto nelle esportazioni, e siamo nelle condizioni di poter diventare anche esportatori di tecnologie pulite, perché sono quelle di cui si dovranno dotare sia i paesi industrializzati, sia i paesi con le economie emergenti, sia i paesi in via di sviluppo. Non lasciamolo agli altri questa opportunità e questo primato che noi già abbiamo su alcune filiere.

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Su cosa si dovrebbe puntare per elaborare un percorso di crescita reale del Paese?

In questi ultimi 30, 40 anni la tecnologia che permette di produrre elettricità e calore, senza bruciare combustibili fossili, quindi gas, petrolio carbone, è diventata sempre più matura. Si può produrre elettricità lavorando soprattutto sulla diffusione della tecnologia fotovoltaica o eolica, di terra e mare, si possono realizzare edifici e case ad emissioni zero, che non hanno grandi necessità di essere riscaldate o raffreddate, si può produrre la chimica senza petrolio. Tutto questo può permettere all’Italia di fare a meno dall’approvvigionamento da fonti fossili. Noi siamo dipendenti dall’estero per produrre elettricità ed energia, ma abbiamo una grande  fortuna: abbiamo molto più sole dei paesi del nord Europa, e più o meno lo stesso vento. Ma i Paesi del nord Europa sono più bravi ad utilizzare queste fonti rinnovabili e visto che abbiamo questa fortuna che è dovuta alla natura, dovremmo imparare ad usarle di più queste soluzioni, che possono permettere di ridurre la dipendenza dall’estero

L’Italia è afflitta da criticità strutturali legate ai temi ambientali, quali le strategie che possono essere messe in atto per dare una svolta concreta e tangibile, e con quali tempi?

Abbiamo un problema sulle infrastrutture dell’economia circolare. Soprattutto nel centro sud si sono concentrati, negli ultimi trent’anni, quei territori in cui si è registrata l’ emergenza, questo è successo perché mancavano le infrastrutture, gli impianti che sono necessari, anche a causa delle proteste dei cittadini che mettono insieme impianti di riciclo, alle discariche e ai termovalorizzatori ed agli inceneritori. Per archiviare la stagione delle discariche e dei termovalorizzatori bisogna fare gli impianti di riciclo, perché altrimenti i rifiuti li esportiamo. Anche sull’economia circolare, soprattutto il centro sud, è ancora in ritardo. In questo ci aiuta anche Pnrr che  prevede alcuni investimenti importanti, anche sul trasporto ferroviario nel centro sud, e investimenti importanti per fare impiantistica dell’economia circolare  anche qui. Speriamo che nei prossimi 4 anni, invece che perdere tempo a discutere di ponte sullo stretto di Messina o di nucleare o della necessità di fare altri termo valorizzatori nel nostro paese, si possano fare veramente quelle azioni che consentano  all’Italia di agire in base alle indicazioni che giungono dall’Europa: decarbonizzare da una parte, e praticare economia circolare dall’altra. E servono gli impianti rinnovabili, ma anche una mobilità diversa, che fino ad oggi non abbiamo ancora conosciuto.

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