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Lobbying e traffico di influenze illecite: due facce della stessa medaglia?

In Italia è sempre più ricorrente l’associazione di idee di humiana memoria che lega intimamente la figura del lobbista con quella del faccendiere.
Nel Belpaese la mancanza di un’organica disciplina in tema di attività di lobbying funge sia da riprova che da fondamento di tale diffidenza nei gruppi di pressione da parte della collettività.

Un confine concettuale, attualmente sin troppo labile, che da un punto di vista penalistico si traduce inevitabilmente nella potenziale sussunzione dell’attività di mediazio¬ne lobbistica all’interno delle allargabili e non ben definite maglie dell’art. 346 bis del codice penale che disciplina il delitto di traffico di influenze illecite, così come modificato dalla legge n. 3 del 2019.

La conseguenza è il rischio di una pericolosa deriva patologica, che possa condurre a gravi sovrapposizioni tra condotte lecite e condotte illecite. Il tutto nelle libere mani dei giudicanti di volta in volta chiamati a decidere.

Evidente come tali criticità conseguano a quello che è il fine generale del fenomeno lobbistico, ovvero la capacità di influire sulle decisioni delle autorità di governo tramite l’informazione e la mobilitazione di volontà collettive.

Il lobbismo indica infatti l’insieme delle tecniche e delle attività che consentono la rappresentanza politica degli interessi organizzati in particolare attraverso una pressione nei confronti di soggetti politici affinché costoro adottino una determinata decisione. Di qui l’importanza del significato di illiceità che viene affidato alla mediazione. Sul punto si è registrato un recentissimo orientamento della Cassazione (sent. n 1182/2022), la quale ha ritenuto che “in assenza di una regolamentazione legale dell’attività dei gruppi di pressione, la illiceità della mediazione in questo caso non può che trarsi dallo scopo dell’influenza, che deve consistere nella commissione di un illecito penale idoneo a produrre vantaggi al committente”. Muovendoci oltreoceano la materia del lobbismo assume invece una forma ben più definita e ricercata. Negli Stati Uniti, infatti, a differenza di quanto avviene nella maggior parte dei Paesi europei (tra cui, come detto, l’Italia che dovrebbe quanto prima dotarsi di un sistema unificato di regolamentazione della materia), il fenomeno è ampiamente disciplinato e costituisce una manifestazione necessaria per l’autogoverno e per garantire gli opportuni livelli di trasparenza all’interno dei processi decisionali.

*Avvocato penalista Presidente della Camera Penale di Roma

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