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Qatargate, l’equazione lobbisti-corruzione è un’arma di distrazione di massa

Lo scandalo Qatargate tiene banco e sconvolge gli assetti istituzionali dell’Europa con il coinvolgimento di importanti figure dell’Europarlamento. Al momento nessuno degli arrestati, indagati e sospettati, per quello che è dato sapere, può essere definito lobbista. Eppure, in Italia, l’equazione corruzione-lobbying è presto fatta. Probabilmente conviene anche il racconto degli sporchi lobbisti: serve a distrarre l’opinione pubblica rispetto al racconto reale dello scandalo. Siamo di fronte ad una colossale inchiesta per corruzione politica.  

Su questo aspetto abbiamo chiesto un parere a Francesco Delzìo, giornalista, strategic advisor di aziende e istituzioni, Project Leader del “Progetto Giubileo 2025”, nonché ideatore e direttore del Master in Relazioni Istituzionali, Lobby e Comunicazione d’Impresa della Luiss Business School.

Il Qatargate ha riaperto la discussione su un problema culturale, tutto italiano, che da sempre penalizza il settore del Public Affairs: l’associazione corruzione-lobbying. Qual è la sua opinione al riguardo?

Penso che nel Qatargate lobbying e lobbisti non c’entrino assolutamente nulla e che, quindi, continuare a citarli come causa di questo gravissimo scandalo rischi di diventare una sorta di arma di “distrazione di massa”. Serve a coprire, volutamente o inconsapevolmente, la vera questione che emerge dalla vicenda: il rapporto tra democrazie e autocrazie o regimi non democratici, che rischia di essere “squilibrato” e molto pericoloso.

Si tratta di un tema gigantesco e difficilmente risolvibile, che deriva dalla triste circostanza che oggi il mondo non è esattamente come in Occidente l’avevamo immaginato: non è possibile, evidentemente, esportare dovunque la democrazia. E nei regimi non democratici rischia di saltare ogni tipo di controllo e di sanzione rispetto a pratiche come quelle che stanno emergendo dal Qatargate.

Più in generale, l’equazione corruzione-lobbying è un tragico errore, figlio di molti gap culturali che caratterizzano il nostro Paese tra cui i più pericolosi e radicati sono sicuramente il pregiudizio ideologico anti-impresa e anti-profitto, e “l’immaturità giustizialista” con cui viene percepito ogni tipo di rapporto tra pubblico e privato. 

Come si può liberare il campo da ogni possibile pregiudizio?

Oggi sembra un’impresa ardua. Ma con insano ottimismo lancio un appello a giornalisti, commentatori, influencers e protagonisti dell’opinione pubblica nostrana perché raccontino i fatti e i presunti reati, il malaffare e le connessioni che ci sono dietro in modo intellettualmente onesto e oggettivo. Partendo dal presupposto che la corruzione può essere praticata in qualsiasi ambito umano e da qualsiasi tipo di professionista.

I veri professionisti del public affairs – nelle aziende, nelle organizzazioni, nelle agenzie specializzate, nel terzo settore – sono tendenzialmente tra gli ultimi a rischiare il ricorso a pratiche corruttive, perché fondano il successo in primis sulla loro reputazione. È questo il modello di lobbying che insegno da 15 anni in Luiss agli allievi del Master in Relazioni Istituzionali, Lobby e Comunicazione d’Impresa, diventato oggi il punto di riferimento del settore in Italia, che ho ideato e di cui sono Direttore. Le prime “vittime” di questa assurda equazione tra lobby e corruzione sono proprio loro. 

In Europa ci sono delle norme che regolano l’attività di lobbying ma non si è riusciti a risolvere il problema del revolving doors. Normare prima questo fenomeno per poi intervenire sull’intero settore potrebbe essere ‘la via’ alla risoluzione dei problemi?

Sono molto d’accordo, sarebbe la strada migliore. Come è già accaduto negli Stati Uniti, con buoni risultati in termini di trasparenza. Oggi la possibilità in Italia e in Europa di passaggi repentini da un campo all’altro, da quello dei decisori pubblici a quello degli operatori privati, senza il rispetto di un periodo di decantazione crea inevitabilmente rischi di “patologie democratiche”. Se riuscissimo a evitarle, avremmo già fatto un grande passo in avanti.

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