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The Conversation

Tom Mockridge

Media e giornalismo si sono profondamente trasformati, ma gli utenti vogliono sapere sempre le notizie, in maniera affidabile e in tempo reale. Colloquio con Tom Mockridge, Ceo e Founder di Virgin Fibra.

Tom Mockridge ed Emilio Carelli, la strana coppia che ha rivoluzionato la televisione italiana all’alba del terzo Millennio. Era il 2003 quando si sono incontrati. Tom è il manager neozelandese che ha messo in piedi Sky Italia, portando la pay tv alla soglia dei 5 milioni di abbonati. Emilio fu scelto come direttore di Sky Tg24, primo esperimento riuscito di giornalismo italiano indipendente dal potere politico ed economico. Tom ed Emilio hanno preso traiettorie di vita e professionali diverse, ma sono rimasti amici. Esattamente venti anni dopo la nascita di Sky, Fortune Italia, è riuscita a far incontrare la ‘strana coppia’. La conversazione che segue, tra Tom ed Emilio, è anche il racconto di un pezzo di storia del nostro giornalismo e una discussione sui nuovi modelli di costruzione dal basso dell’informazione e i mezzi usati per diffonderla.

INTERVISTA DI EMILIO CARELLI

Nel giro di pochi anni è cambiata la figura del giornalista. Sono cambiati gli strumenti che esso usa, sono cambiati i supporti e i tempi di diffusione e pubblicazione delle notizie. Le competenze richieste ai giornalisti sono molte più che in passato e molto più complesse come per esempio la capacità di scrivere e pubblicare su più piattaforme, di girare video col proprio telefonino, di scrivere titoli che possano essere classificati attraverso Google e consentano attraverso i motori di ricerca di raggiungere più lettori possibili.

Il digitale consente oggi al lettore-fruitore di essere destinatario di un flusso continuo di notizie ma anche di informazioni che lo raggiungono anytime e anywhere, consentendogli una ricchezza e una scelta inimmaginabili prima d’ora.

L’arrivo poi dei social network ha ulteriormente accentuato questo fenomeno ed ha intensificato quello che solo qualche anno fa si chiamava citizen journalism, la possibilità per chi è testimone di una notizia di pubblicare una foto, un video o un testo diventando per un momento egli stesso giornalista. Per non parlare dell’introduzione dell’intelligenza artificiale, cioè digitale, che si inserisce in questo processo di trasformazione arrivando a far emergere nuovi modelli di business impensabili fino a poco fa.

Sei d’accordo Tom che molto è cambiato in questi venti anni?

Penso che in questi anni molto è cambiato, ma allo stesso tempo molto è rimasto lo stesso. Ciò che sta cambiando è il modo in cui riceviamo le notizie, l’attualità, l’intrattenimento. E chiaramente questo è quello che il digitale sta modificando, come il fatto che così tante notizie e attualità siano ora in formato digitale su iPhone e iPad, molto intrattenimento sia ora in streaming, mentre una volta era sulla Tv terrestre o satellitare. Ma alla fine, quello che le persone vogliono è lo stesso di prima. Vogliono sapere quali sono le notizie, le vogliono affidabili e in tempo reale. Vogliono ascoltare bravi commentatori. Desiderano intrattenimento da un film o da una partita di calcio. Quindi penso che la tecnologia cambia, ma alla fine, come esseri umani e come consumatori di media noi non siamo cambiati. E per noi che produciamo contenuti e che ascoltiamo quei consumatori, molto di ciò che abbiamo imparato prima del digitale resta sempre valido e importante per garantire la soddisfazione dei consumatori.

È vero, come è anche vero che il consumatore di notizie in questi venti anni ha fatto un percorso che è iniziato coi giornali, la radio e i Tg della Tv generalista, è poi passato dall’aggiornamento in tempo reale dei siti news, fino ai canali all news per arrivare ai social network e a Will Media che ha scardinato anche i criteri di selezione e gerarchia delle notizie. Quali sono stati i vantaggi per l’utente?

Penso che due siano i vantaggi. Prima di tutto la maggiore scelta, e questa è un’ottima cosa. In una democrazia avere più scelta è molto importante. Putin, dopo aver invaso l’Ucraina, spegne gradualmente i media digitali. Non vuole che le persone vi accedano perché potrebbero conoscere la verità delle cose. È la tecnologia digitale che consente maggiore scelta. Ma non sono solo i social media ad applicarla. Ancora oggi leggo sempre i reportage dei giornali del Regno Unito come Times e The Sun. Anche loro ormai sono digitalizzati, anzi, queste testate storiche, famose in tutto il mondo, stanno avendo un futuro proprio grazie al digitale. Mentre solo dieci anni fa si pensava che fossero finite. Quindi il grande cambiamento ha comportato un aumento della scelta e con essa, però, anche maggiore accessibilità. Ricordo che da ragazzo dovevo aspettare che arrivasse il giornale del mattino, una copia in ogni famiglia, e spesso dovevi discutere con gli altri membri per riuscire a leggerla. E poi non avevi più notizie fino al giorno dopo. Ora puoi seguire tutte le notizie che vuoi in ogni momento se vuoi molto più velocemente. Più scelta e migliore accessibilità sono le due grandi innovazioni introdotte dal digitale.

Tu hai lanciato nel 2003 la Tv satellitare di successo Sky Italia (1). Un modello di business sperimentato e di successo che oggi appare superato. Perché?

Il satellite è stata una grande tecnologia per il 20° secolo, ma nel 21° è stato sostituito dallo streaming attraverso Internet. L’arrivo della fibra consente ora di ottenere un segnale molto più sicuro. Attraverso il download puoi guardare quello che vuoi, quando vuoi. È molto più flessibile. È quello che noi offriamo con Virgin Fibra (2). Quindi il satellite era una grande tecnologia perché sostituiva qualcosa che non era disponibile. Ma ora la fibra sostituisce il satellite. È questo il grande cambiamento. Che sia Sky, Mediaset, Netflix o Amazon Prime, oggi è lo streaming il modo in cui le persone ottengono i loro video.

Anche un canale all news come Sky TG24 (3), che nel 2003 al suo apparire ebbe grande successo e giocò un ruolo da protagonista, ora sembra superato dall’informazione in tempo reale dei dispositivi mobili e dell’informazione fatta dai social. Sei d’accordo?

Non sono del tutto d’accordo. Penso che il modello del canale all news non sia superato. Resta sempre una delle scelte possibili per chi vuole le notizie, anche se è vero che tutti dobbiamo stare al passo col mercato. Penso a quello che abbiamo visto negli ultimi 20, 30 anni a partire dalla CNN dal 1980 per passare poi alla moltiplicazione dei canali all news e a quanta molta più scelta abbiano offerto a chi voleva le notizie. Ciò non significa che tutti guardano un canale all news 24 ore al giorno. Questo però ti dà la possibilità di vedere il telegiornale, per esempio alle 15:30. Non devi aspettare fino alle otto di sera. Quindi penso che l’all news svolga ancora bene il suo ruolo, anche se ora anche altri lo fanno. Ma come ogni azienda e come qualsiasi modello di business, non puoi continuare a fare la stessa cosa che facevi 20 anni fa. Devi adeguarti ai tempi e penso che molti canali all news lo stiano facendo utilizzando sempre di più il digitale, lo streaming e i podcast.

Murdoch Mockridge Carelli
Da sinistra, Rupert Murdoch, Tom Mockridge ed Emilio Carelli

Hai lavorato con due grandi tycoon mondiali come Rupert Murdoch e Richard Brandson. Quali sono i punti in comune tra i due e quali le differenze?

Vorrei citare non solo Rupert Murdoch e ora Richard Branson, ma anche John Malone, che è il capo di Liberty Group e ha costruito le reti via cavo negli Stati Uniti e poi in tutto il mondo. E sono state queste reti via cavo che hanno permesso a tanti di questi nuovi canali di crescere e avere successo. Quindi sono stato molto fortunato a poter lavorare con questi tre tycoon. Quello che ho sempre notato in loro è che hanno in comune il fatto di essere tutte persone molto calme. Sono molto attenti agli altri e riflessivi. Non sono persone che vanno subito ad una conclusione, vogliono sempre ascoltare e imparare. Certo, ognuno di loro è in grado di prendere una decisione forte quando c’è bisogno. Ma sono persone che assorbono ciò che li circonda, alle quali piace lavorare con gli altri e cercano di selezionare brave persone e con loro ci lavorano. Penso che questa sia un’osservazione importante. Mentre creo la mia piccola azienda, cerco di imparare da loro e di essere molto attento a selezionare brave persone che vengano a lavorare per Virgin Fibra. È questa la lezione che ho imparato da loro.

Richard branson e tom mockridge
Richard Nicholas Branson, fondatore di Virgin Group, e Tom Mockridge alla presentazione del nuovo servizio Virgin Fibra al Teatro Gerolamo a Milano, 18 ottobre 2022.ANSA/MOURAD BALTI TOUATI

E la differenza?

Non ho riscontrato molte differenze fra di loro. È ovvio, ognuno ha una sua specialità. Voglio dire, Richard Branson è un uomo che ha puntato molto sulla sua personalità. Il marketing dell’azienda valorizza questo aspetto e lo ha fatto venire a Milano per presentare un evento per noi, anche se, in fondo, lui è una persona piuttosto riservata. Comunque fra i tre noto più caratteristiche in comune che differenze, anche se poi ognuno è specialista del suo settore.

Per molto tempo la parola d’ordine della rivoluzione digitale è stata la trasparenza: sia dell’informazione, sia della comunicazione universale. A vent’anni di distanza il mercato dei mezzi di comunicazione però si distingue per un’elevata concentrazione di potere nelle mani di gruppi mondiali che fanno capo a Zuckerberg, Elon Musk e altri. Come spieghi tutto ciò?

Francamente non sono certo che ci sia stato un fenomeno di concentrazione. Se oggi osserviamo la quantità di aziende che producono informazione, notizie e intrattenimento nel mondo notiamo che ce ne sono molte più oggi di 40 anni fa. Se guardi indietro nel tempo alla concentrazione dei giornali da Hearst ai famosi baroni della stampa nel Regno Unito o in Italia, lì puoi dire che c’erano poche persone che controllavano i grandi giornali e le loro scelte. Oggi col fenomeno dei social media, con le scelte di alcuni dei media tradizionali che diventano più digitali e l’offerta continua di notizie da tutto il mondo non sono sicuro che ci sia una maggior concentrazione. Anzi penso che ce ne sia meno.

Questo è vero, però io a volte rifletto su come anche le prerogative e i poteri dei governi nazionali, da secoli caposaldo della vita sociale degli uomini, negli ultimi anni rischiano di essere in un certo modo indeboliti da nuovi poteri legati all’industria digitale in grado di spostare il monopolio della socialità dalle strutture statali ad altre più ampie, globali, e dai contorni sfumati.

Si tratta delle grandi piattaforme che costituiscono l’infrastruttura dell’intero universo digitale – più note come The Big Five (Google, Amazon, Meta, Apple, Microsoft) e che sono in grado di collegare e combinare in tempo reale flussi massicci di dati, e quindi capaci di ottenere un potere impensabile e forse superiore a quello dei governi statali. Mi sono ormai convinto che stiamo assistendo a una rivoluzione digitale, per cui il lavoro degli algoritmi nelle piattaforme digitali sta mutando l’organizzazione di cultura, informazione e mercato in modo tale che i motori di ricerca – in inglese engines – stanno evolvendo in motori dell’ordine sociale – engines of order.

E poi c’è il fenomeno delle fake news che si diffondono soprattutto attraverso Internet, in particolare tramite i social network, e che possono influenzare e indirizzare le opinioni, le scelte e le tendenze dei lettori. Come possiamo contrastarlo efficacemente?

Se torni indietro nella storia le fake news ci sono sempre state. In Italia, per esempio, c’è stato un periodo in cui di certo non potevi fidarti delle notizie quando Mussolini era al potere. Era una dittatura. Quando la cosiddetta stampa scandalistica si è sviluppata 100 anni fa negli Stati Uniti, venivano scritte cose folli. I giornali avevano tirature enormi ed erano come i social media di oggi,  pubblicavano cose pazzesche. Le fake news quindi non sono una novità. Il consiglio che do a tutti è di andare alla fonte della notizia o di fidarsi di giornalisti affermati, credibili e di testate affidabili. Dobbiamo avere la capacità critica di saper scegliere.

È sicuramente un consiglio saggio al quale aggiungerei la pratica vincente di agevolare le persone nell’attività di fact-checking. Lo ha fatto spesso Sky TG24 e molti siti Internet, ma anche le forze politiche dovrebbero cercare soprattutto di fornire servizi di verifica delle informazioni, rapidi e accessibili. Alcune testate giornalistiche, come la BBC, il New York Times e Le Monde, si sono già mosse in questa direzione e offrono pagine di fact-checking che analizzano le notizie e supportano i lettori nella verifica dei fatti.

Ma per sconfiggere il problema alla radice penso che l’unico metodo sia una sorta di alfabetizzazione mediatica da introdurre nelle scuole a partire dai più piccoli, insegnando loro a riconoscere le informazioni false con spirito critico come pure a risalire alle fonti distinguendo tra quelle attendibili e quelle che non lo sono.

Parlando ora di giornali, secondo te è ancora valida la previsione che i giornali di carta stampata non esisteranno più fra qualche anno?

È un fatto certo che la tiratura dei giornali di carta stampata stia diminuendo. E questo onestamente è una buona cosa per il cambiamento climatico sia per gli alberi necessari a produrre carta, anche se riciclata, che per l’inchiostro necessario. Penso comunque che i libri continueranno a esistere, anche se dieci anni fa si credeva che la stampa dei libri sarebbe diminuita rapidamente e che l’acquisto sarebbe avvenuto solo su Kindle e si sarebbe letto solo su un tablet. I grandi editori di libri si sono ripresi molto negli ultimi cinque o dieci anni, utilizzando il digitale come parte del loro business, ma anche come marketing. E ora vediamo l’apertura di nuove librerie. È importante che i media si adattino al digitale. La radio è stata la prima e ora è diventata un medium molto forte. L’editoria lo ha fatto di recente, le riviste stanno iniziando a farlo. Sono quindi ottimista. È vero, io leggo i giornali sul mio tablet, ma mi succede anche di acquistarli cartacei quando prendo un treno o un aereo. Insomma è una scelta in più.

Parliamo di televisione. Sei d’accordo con chi dice che l’epoca d’oro della Tv, quella degli anni ’80 e ’90 è finita? Minori risorse e frammentazione dei canali hanno messo in difficoltà la Tv, oppure la Tv è viva e sta benissimo?

Penso che quella che chiamiamo televisione alla fine sia diventata una cosa molto più grande. Oggi Netflix fa parte della nostra Tv. Amazon ne fa parte come pure Discovery o Disney Plus. Non dimentichiamo che la Tv è nata e cresciuta negli anni 50 e 60 e allora c’era un solo canale. Ora ci sono molti canali. La televisione si conferma un’industria in enorme crescita. La quantità di programmi per la Tv è esplosa. C’è tantissima scelta e offerte di lavoro per tutti: autori, conduttori, tecnici. Penso che la Tv tradizionale continui a giocare un suo ruolo, in particolare in Italia dove ci sono importanti asset.

Io penso che il digitale ha sì introdotto nella televisione multicanalità e interattività, ma la più grande rivoluzione è il cambiamento della fruizione, è il progressivo calo della visione dei canali con un palinsesto lineare con un susseguirsi di appuntamenti fissi nella giornata, e un aumento della visione personalizzata on demand. Tutte le ricerche recenti confermano questo fenomeno di una visione personalizzata di prodotti video on demand, una visione che permette attraverso tecnologie diverse di vedere quello che voglio quando voglio, pagando per questo servizio. Cosa ne pensi?

Penso  che la televisione stia crescendo sempre di più e diventando ancora più forte. Secondo me televisione è qualsiasi video io veda a casa mia o in qualsiasi altro posto, sia che io veda su una Smart Tv un canale all news o che passi su YouTube o su un canale aziendale. E secondo me anche il pubblico è aumentato perché in ogni casa c’è una combinazione di laptop, Tv e telefono cellulare. Se ci sono cinque persone in casa, hai cinque spettatori. Prima con un solo apparecchio e un telecomando la possibilità di scelta era una sola. Penso che il settore sia cresciuto enormemente durante tutta la mia carriera lavorativa, ma sono convinto che crescerà ancora di più, perché il mondo ha cominciato da poco ad avere accesso ai servizi digitali. La fibra, che è il motore di queste industrie digitali, ha appena iniziato la sua diffusione. Sta succedendo in Europa, in alcuni Paesi asiatici selezionati, in Nord America, in alcune parti del Sud America.
E man mano che il mondo svilupperà queste reti aumenteranno le opportunità di connessione. Inoltre le persone vogliono comunicare sempre di più e la stessa esperienza di Covid ci ha insegnato che puoi partecipare senza dover necessariamente volare dall’altra parte del mondo. La mia speranza è che useremo saggiamente questa opportunità e sono anche ottimista che qualsiasi buon governo svolga il suo ruolo con senso di responsabilità e saggezza.

TRA LE RIGHE

(1) Nel 2002 Tom Mockridge viene chiamato in Italia a guidare il processo di fusione tra Stream TV e TELE+, che si conclude con la nascita della piattaforma satellitare Sky Italia; al termine della fusione, Rupert Murdoch lo sceglie come amministratore delegato della stessa. Ci rimarrà fino al 2011. Nel 2008 viene nominato AD di European Television, la divisione che riunisce tutte le attività televisive europee di News Corp al di fuori del Regno Unito, rispondendo direttamente a James Murdoch; in seguito viene eletto membro del consiglio di amministrazione di British Sky Broadcasting.

(2) Tom Mockridge è ora a capo di Virgin Fibra, società del gruppo di Richard Branson. Lanciata in Italia la scorsa estate, è disponibile nel nostro Paese ovunque si estenda la rete di Open Fiber – molte città medie e grandi, ma anche Comuni più piccoli e aree rurali. Mockridge ha promosso lo sbarco di Virgin in Italia con il sostegno di un gruppo di investitori, insieme ai quali detiene un terzo della società.

(3) Emilio Carelli è stato direttore di Sky TG24 dal 2003 al 2011.

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