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Space economy, un business globale da quasi 500 mld di dollari: ecco dove investiamo più risorse

Se Paperon de’ Paperoni sapesse che la space economy mondiale di qui ai prossimi 20 anni varrà un trilione di dollari probabilmente sceglierebbe di svuotare i suoi depositi e  investire in questo settore dove è la tecnologia a farla da padrona. Dove le sue applicazioni sono limitate solo dalla fantasia. E dove non è fantascienza pensare che le prossime stazioni spaziali orbitanti possano ospitare turisti paganti per villeggiare in assenza di gravità in camere vista pianeti del sistema solare. 

In realtà la space economy è molto di più di quanto l’immaginario collettivo riconduce alle missioni spaziali. E quanto producono le imprese che operano in questo settore permea ormai la vita quotidiana di tutti noi.

Space economy: misconosciuta, in Ue vale 80 miliardi

Ma cosa si intende allora per “space economy”? Spiega a Fortune Italia Paolo Trucco, responsabile dell’Osservatorio Space Economy del Politecnico di Milano che  ha presentato i dati di questo comparto nel capoluogo lombardo: “Dobbiamo pensare a un ecosistema composto dall’asse portante dell’industria spaziale, che si apre a una serie di altri attori no-space che guardano allo spazio come portatore di nuove opportunità di business come servizi a supporto delle attività spaziali, o che intendono utilizzare i dati provenienti dallo spazio per migliorare i business tradizionali. È un comparto in fortissimo divenire e in grande espansione”.

A livello europeo secondo i dati dell’Agenzia spaziale europea (Esa) parliamo di un valore di circa 80 miliardi di euro. Divisi tra i player dell’upstream (9 miliardi), cioè coloro che realizzano e mettono in orbita asset spaziali, e quelli del downstream (70 miliardi), che si occupano delle operations delle infrastrutture e dello sfruttamento commerciale dei dati generati dai satelliti. “Ed è qui che la space economy intercetta la vita di tutti noi:  navigazione satellitare con Gps, telecomunicazioni satellitari che si esprimono nel boradcasting e osservazione della Terra dall’alto”, dice il docente. Che ricorda anche come Esa stimi che l’8-9% del Pil europeo dipenda dall’utilizzo degli asset spaziali da parte di operatori economici operanti in diversi segmenti merceologici, dal trasporto aereo alla logistica passando per l’agricoltura di precisione.

Giuseppe Razzano. Responsabile Aerospace & Defence di Capgemini in Italia

Quanto all’Italia, il mercato della sola osservazione della Terra vale 200 milioni di euro e conta circa 150 aziende attive. Per lo più piccole e medie imprese che servono una clientela prevalentemente istituzionale composta ad esempio da amministrazioni locali e Protezione civile. Anche se è in grande crescita anche il mercato privato, soprattutto nel campo delle telecomunicazioni. Per quanto riguarda l’osservazione della Terra, un settore in cui siamo particolarmente impegnati come azienda, osserviamo una trasformazione: acquista sempre più valore la finezza del dato acquisito e la sua disponibilità nel momento in cui esso occorre. A titolo di esempio, oggi abbiamo aziende di ristrutturazione edilizia che stilano preventivi di rifacimento tetti sulla base del dato fotografico rilevato dallo spazio”, illustra a Fortune Italia Giuseppe Razzano, responsabile del segmento Aerospace & Defence di Capgemini in Italia.

Un settore in fermento che attira enormi investimenti

Secondo gli esperti intervenuti alla presentazione dell’Osservatorio, quello della space economy è un settore molto dinamico. Sia a livello mondiale che italiano. Tanto da attirare enormi interessi da parte degli investitori.

Nel nostro Paese “opera un fondo di venture capital che si chiama ‘Primo Miglio’ in parte dedicato alla space economy”, dice Trucco. Specificando che sono moltissime le start-up che si basano sulla tecnologia ad affacciarsi su questo palcoscenico. E che, nel mondo lo scorso anno sono riuscite a raccogliere investimenti privati  per 8 miliardi di dollari. Che si aggiungono ai circa 100 miliardi di investimenti istituzionali stanziati dai Paesi più avanzati come Usa, Ue, Cina e India e Corea. 

La vita delle start up però è estremamente volatile. Anche quando si parla di space economy. Tanto che esse hanno un tasso di sopravvivenza “analogo a quello delle nuove imprese della digital economy. Su 10 sopravvivono e hanno successo solo due o tre”, avverte il professore del Politecnico che condivide anche una interessante considerazione sul fenomeno start up della space economy europee rispetto a quelle americane. “Da noi il percorso di technology transfer è ancora debole. Rispetto agli Usa le start up Ue si basano su una tecnologia forte, ma scontano una debolezza nel presentare una value proposition convincente. Viceversa negli Stati Uniti – continua Trucco – si vedono value proposition roboanti che permettono di raccogliere molti fondi, ma deboli dal punto di vista tecnologico. Il fallimento delle nuove imprese europee e italiane impegnate nella space economy deriva essenzialmente da una debolezza strategica e gestionale”.  

Anche il Pnrr punta sull’aerospaziale

Anche il Piano di ripresa e resilienza (Pnrr) scommette sulla space economy. Sono oltre 2 miliardi di euro quelli destinati all’investimento nello Spazio. In virtù di due convenzioni siglate lo scorso giugno dal dipartimento per la Transizione digitale del ministero per l’Innovazione e la Transizione digitale. 

Una da 1,3 miliardi a favore dell’Agenzia spaziale europea finalizzata all’attuazione del programma di sviluppo della costellazione satellitare “Iride” per l’osservazione della Terra, nell’ambito della quale vedrà l’avvio la progettazione di un motore eco-sostenibile per i futuri lanciatori spaziali europei. Illustra a Fortune Italia Massimo Comparini, amministratore delegato di Thales Alenia Space Italia: Iride è “una infrastruttura che consentirà di monitorare il Pianeta con maggiore frequenza. Al di là delle tecnologie necessarie per costruire questa costellazione, saranno abilitati molti servizi come quelli utili al monitoraggio del territorio e delle coste, delle infrastrutture o per l’agricoltura di precisione. Attraverso questa infrastruttura di nuova generazione ci sarà un effetto leva su tutto il downstream della space economy”.

L’altra iniziativa vale 880 milioni di euro, è particolarmente dedicata allo Space center di Matera per lo sviluppo di telecomunicazioni satellitari sicure, alla realizzazione di fabbriche “intelligenti” per la produzione di piccoli satelliti, alla costruzione di tre nuovi telescopi terrestri per la gestione del traffico spaziale e il tracciamento dei detriti. Aggiunge Comparini: “Un pezzo importante del Pnrr vedrà lo sviluppo di una missione dimostrativa per In Orbit Servicing, che consiste nella possibilità di andare in orbita bassa (circa 400-500 km di quota) per verificare il prolungamento della vita dei satelliti attraverso il rifornimento di propellente o per assemblare direttamente in orbita strutture più complesse. Fino a sviluppare la capacità di cattura di un oggetto anche per studiare come rimuovere la cosiddetta ‘spazzatura spaziale’”. Che tiene a precisare come non si siano mai viste condizioni più favorevoli per un comparto come quello aerospaziale come quelle degli ultimi anni. Perché c’è davvero la possibilità che l’economia spaziale si possa sviluppare in modo importante sia per quanto riguarda la parte di manifattura che nella componente di servizio. E così poter affrontare le sfide sia a livello istituzionale che commerciale.

Importanti riflessi anche per finanza e assicurazioni

Le applicazioni delle aziende che operano nella space economy probabilmente non hanno confini. E arrivano anche laddove proprio non ci si aspetterebbe. Come nei regni un po’ più rigorosi del fintech e dell’insuretech. È il professor Trucco a farci qualche esempio: “In ambito trading osservando la Terra dallo spazio è possibile stimare lo stock di commodity a livello mondiale come il grado di riempimento dei tank di greggio o di prodotti petroliferi raffinati e sulla base di questi dati operare sui prezzi. Ancora, si possono individuare aree in cui realizzare nuovi investimenti per lo sfruttamento energetico facendo valutazioni sulla redditività di istallazioni per la produzione di energia rinnovabile. Oppure è possibile recuperare dati utili ad alimentare modelli che stimano il verificarsi di eventi naturali catastrofali e così emettere dei “cat bond”. Quanto alle assicurazioni, esse possono usare i dati dell’osservazione della Terra per asseverare i danni dopo il verificarsi di eventi naturali. Oppure sono in grado di caratterizzare l’esposizione al rischio di un automobilista in base alle strade che frequenta maggiormente con il suo veicolo e così calibrare i premio assicurativo a seconda della zona frequentata dall’utente”. 

Iperspecializzazione, sinergie e interpretazione dei dati

Caratteristica della space economy pare essere la grande specializzazione dei singoli player su specifiche tecnologie abilitanti. Queste “rendono sempre più rilevante la collaborazione tra aziende che possano lavorare in modo sinergico su progetti di ampio respiro e valore, portando ciascuna la propria iperspecializzazione, dal reperimento all’utilizzo dei dati”, afferma Razzano. Perché proprio i dati sono uno degli asset fondamentali di buona parte della space economy. Dati che però bisogna saper trattare tra cloud e analytics. “E soprattutto saper interpretare, riuscendo a estrapolare l’informazione in essi contenuta”, aggiunge il manager di Capgemini che evidenzia anche “l’importanza di lavorare proprio sulle barriere esistenti tra l’acquisizione del dato e il suo utilizzo”.

Tra made in Italy, lunar economy e made in Space

Molti settori produttivi nel tempo hanno optato per delocalizzare all’estero soprattutto le fasi produttive. Costi del personale molto più contenuti rispetto a quelli registrati in Italia, tassazione agevolata per le imprese sono solo alcune delle motivazioni che sottendono a questo tipo di scelte. Per la space economy pare che l’ipotesi di migrare all’estero non sia contemplata. Commenta Razzano: “Ci sono forti collaborazioni con altri Paesi soprattutto europei, ma il valore che esprimono le aziende italiane è fatto da personale italiano. Le imprese di questo settore hanno produzioni altamente specializzate, difficilmente esportabili. E poi, parliamo di produzioni non di massa, cosa che non renderebbe utile delocalizzare per andare in cerca di costi produttivi più contenuti”.

Thales Alenia Space. Personale altamente specializzato al lavoro in uno degli stabilimenti

Sulle prospettive dell’economia dello spazio l’Ad di Thales Alenia Space si spinge anche oltre: “In questo settore lo sviluppo di infrastrutture e servizi vanno di pari passo. Non costruiamo più una infrastruttura per un progetto unicamente tecnologico, ma per i servizi che essa sarà in grado di abilitare. Insieme all’economia dell’orbita bassa si sta proiettando nei prossimi anni anche una ‘Lunar economy’ che riguarda tutto ciò che faremo attorno e sulla Luna. La nostra azienda sta costruendo i moduli della prima stazione spaziale commerciale che potrà ospitare i servizi di chi vuole fare ricerca e produrre in micro-gravità. Mi riferisco ad esempio alla sintesi di nuove molecole, nuovi materiali più resistenti. Nei prossimi anni vedremo il ‘made in Space’, cioè la costruzione fisica di oggetti in ambiente spaziale”. Certo ci vorrà un po’ di tempo. In primis per racimolare i modesti (si fa per dire) budget necessari per realizzare un progetto di questo tipo, che “cubano ordini di grandezza superiori al miliardo di dollari”, afferma Comparini per dare un’idea della rilevanza economica.

La space economy del futuro

Gli esperti stimano che il valore dell’economia dello spazio, per dirla all’italiana, oggi nel mondo vale circa 480 miliardi di dollari. E se le prospettive di arrivare a un trilione i dollari entro il 2040 come indica Morgan Stanley sono vere, le prospettive di sviluppo di questo settore sono davvero enormi. “I riflessi positivi si riverbereranno  non solo sugli investitori istituzionali dei Paesi più avanzati, ma anche su quelli privati. E non solo per realizzare servizi utili sulla Terra, ma anche per creare infrastrutture e servizi nello Spazio”, aggiunge Trucco. Ricordando che la Stazione spaziale internazionale tra pochi anni sarà dismessa e non ne verrà realizzata un’altra di natura istituzionale. Mentre “ci sono programmi per realizzare nuove stazioni spaziali commerciali, sia a scopo scientifico che privato per altre attività. Dalle quelle life science per poter testare nuove molecole terapeutiche in assenza di gravità a quelle che strizzano l’occhio al turismo spaziale. Non è lontano il momento in cui porzioni delle stazioni spaziali commerciali potranno essere sfruttate per viaggi che consentano il solo sorvolo della Terra per ammirare il nostro Pianeta dallo Spazio. Finanche veri e propri soggiorni spaziali”.

 

Nella foto in evidenza. Vista dall’alto dell’area di produzione di moduli pressurizzati per l’orbita bassa terrestre di Thales Alenia Space a Torino: moduli della futura stazione lunare Lunar Gateway e della prima stazione spaziale commerciale Axiom”. Fonte: Thales Alenia Space

 

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