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Guerra in Ucraina, perché non è importante ‘quando’ ma ‘come’ finirà

Per immaginare il futuro bisogna capire il passato. Una generazione va, una generazione viene: ma la terra resta la stessa. Al ‘Transatlantic forum: the future of the West’, l’evento organizzato dal Centro Studi Americani e Aspen Institute Italia con European Council on Foreign Relations e Ambasciata Usa in Italia per riflettere a un anno dalla guerra in Ucraina, questo concetto è stato espresso chiaramente. E a più riprese.

Prima da Gianni De Gennaro, presidente del Csa, a cui è stato affidato il discorso di apertura. Poi dal presidente di Aspen Institute Italia Giulio Tremonti, collegato da remoto. Fino a Kurt Volker, già ambasciatore Usa presso la Nato e distinguished fellow presso il Cepa.

“Da quando è stato pensato questo forum, sono passati otto anni”, ha raccontato De Gennaro. Era il 2015 e la Russia aveva appena invaso la Crimea. “Allora l’obiettivo del dibattito era da un lato concentrarsi sul ruolo dello spazio transatlantico, dall’altro consentire un confronto diretto con personalità ed esperti provenienti dalla Russia. Dopo otto anni prendiamo atto che quella iniziale frattura sì è trasformata in una drammatica rottura. Assistiamo a un conflitto cruento sul fronte europeo. Di qui la domanda: quale sarà il futuro dell’Occidente di fronte a questi fatti?”

Gli assetti euro-atlantici stanno già mutando. A un anno dall’invasione, le implicazioni globali del conflitto russo-ucraino hanno portato all’ulteriore rafforzamento del ruolo della Nato e dell’Unione europea nell’ambito dei rapporti transatlantici. Per questo oggi risulta più che mai opportuno fermarsi e ragionare sulle ripercussioni e i futuri scenari interni ed esterni per l’Occidente sul lungo termine.

Quanto durerà la guerra? E soprattutto, come finirà? Se non si può prevederlo, si può perlomeno prepararsi ad affrontare gli scenari più disparati. Tenendo a mente che, come diceva qualcuno, “la storia è maestra di vita”.

Il modello del passato

A poche centinaia di metri dalla sede del Csa, circa 1910 anni fa, veniva inaugurata la colonna traiana. De Gennaro ha cominciato il suo discorso partendo da qui. “Parto da lontano perché il passato può fornire uno spunto e diventare d’ispirazione. Il modello romano si basava sulla tolleranza, asse portante dell’impero. Tolleranza intesa come capacità di accogliere popoli diversi. A distanza di un anno c’è ancora chi crede che la guerra in Ucraina non ci riguardi. Ovviamente non è così. La colonna Traiana, tra l’altro, celebrava l’annessione della Dacia, che corrispondeva all’odierna Ucraina”, ha ricordato.

Traiano veniva chiamato ‘optimum princeps’. Nel tempo abbiamo visto l’impero romano raggiungere la sua massima estensione. Per difendere i propri confini, l’impero si avvaleva di migliaia di legionari. “Noi oggi possiamo contare sulla Nato, più moderna ed efficace”, ha detto ancora il presidente del Csa. “Non dobbiamo dimenticarcene e continuare a confidare nel suo prezioso aiuto alla difesa dei nostri valori”.

Anche Giulio Tremonti, presidente della Commissione Esteri della Camera, deputato di Fratelli d’Italia e già più volte ministro dell’Economia e delle Finanze, ha aperto i lavori del congresso. Tremonti ha identificato tre dimensioni sulle quali il conflitto russo-ucraino si proietta. Il tempo, la geografia e l’ideologia economica. E ha fatto riferimento al passato, con la guerra del Peloponneso descritta dallo storico greco Tucidide, che durò ben 27 anni.

Giulio Tremonti, presidente di Aspen Institute Italia

“Io mi auguro che non duri nemmeno i vent’anni preconizzati da Joe Biden, ma il tempo è certamente una delle direttrici, perché siamo ormai entrati nel secondo anno di conflitto e non se ne vede la fine”.

C’è la geografia, dato che si osservano gli effetti del conflitto su quasi tutti i quadranti geopolitici. E infine è in gioco il modello economico globale, basato sul libero mercato negli ultimi trent’anni e che invece oggi vede forti interventi governativi. “Siamo davanti a quello che diceva il filosofo Adam Smith: la ricchezza che conta più delle Nazioni“, ha chiosato.

Infine, Shawn Crowley, incaricato d’affari Usa in Italia, ha esordito dicendo: “Un anno fa il mio predecessore disse che la Russia rifiuta di vivere in un mondo post Guerra Fredda”. Oggi, ha proseguito “vediamo la Russia fallire nel suo obiettivo. Stati tradizionalmente neutrali come Svezia e Finlandia vogliono aderire alla Nato. I partner come l’Italia forniscono supporto militare ed economico perché l’Ucraina vinca questa guerra e conservi il proprio diritto di esistere”.

Nel concludere, Crowley ha ricordato le parole del presidente Biden: “Resteremo con l’Ucraina per tutto il tempo necessario”.

I nuovi equilibri mondiali

Quel che è certo, è che gli equilibri del potere post Guerra Fredda sono ormai in bilico. Durante il primo panel dell’evento del Csa, moderato da Vessela Tcherneva, direttore dell’European Council on Foreign Relations, ci si è focalizzati proprio su come il conflitto in Ucraina abbia avuto, stia avendo e soprattutto avrà implicazioni profonde sul piano globale.

L’Ucraina ha mostrato di essere più resistente del previsto, e questo è stato un bene anche per l’Europa intera. Tuttavia Oksana Antonenko, già direttrice di Global Risk Analysis presso Control Risk, ha sottolineato quanto sia importante ribadire che ciò è stato possibile perché “la Russia appare isolata”.

“Certo”, ha continuato Antonenko, “la Russia ha ottenuto qualche tipo di sostegno da Cina, Iran e Corea del Nord ad esempio. Ma nessun Paese si è completamente allineato alla posizione di Mosca. Questo la dice lunga su come oggi si muova il potere. Ma nessuno può assicurarci sarà sempre così”.

Al pensiero di Antonenko ha fatto eco quello dell’ambasciatore Paula J. Dobriansky, ex sottosegretario di Stato per gli affari globali, che ha detto che se la Cina “si sentisse più coinvolta, l’escalation sarebbe rapidissima e dalle conseguenze disastrose”.

La Cina, nei giorni che hanno preceduto l’invasione ha dichiarato l’“amicizia senza limiti” nei confronti della Russia, che considera un partner chiave, anche se ‘junior’. In questo momento, la Cina è come un fratello maggiore a cui non importano e quasi infastidiscono i capricci del fratello minore. A meno che questi non producano risultati (l’assecondare di un genitore) che spingono poi all’emulazione.

“Credo sia importante adottare un approccio strategico. Gli altri Paesi del mondo, e in particolare gli autocrati, stanno a guardare. Xi Jinping sta a guardare. Ogni mossa azzardata, anche sul piano delle sanzioni, rischia di ritorcersi contro l’Occidente”, ha sostenuto Dobriansky.

Il futuro della comunità transatlantica dipende dalla guerra

Più che quando, è importante il come. Come finirà la guerra? Se avremo una pace, come sarà questa pace?

Su questa domanda si è soffermato l’Ex Rappresentante speciale degli Stati Uniti per i negoziati con l’Ucraina Kurt Volker. “Dobbiamo anzitutto capire che la guerra di Putin è una guerra contro l’Europa e contro i valori europei. Contro la nostra storia. È una guerra contro la libertà, contro l’idea di avere dei confini sicuri e rispettati. Il futuro della comunità transatlantica dipende da questo conflitto. Se vince l’Ucraina, non potremo comunque pensare di essere al sicuro”, ha precisato Volker.

Vittoria significa rendere le truppe russe inabili al combattimento. Altrimenti, non avremo alcuna garanzia che tutto non possa accadere di nuovo. L’esercito risponde agli ordini di Putin. Fin quando sarà al potere, secondo Kurt, non ci sarà un cessate il fuoco. “Il suo scopo è ricreare un impero. Se ci sarà una pausa, sarà appunto una pausa in attesa di un nuovo attacco. Kyev deve entrare in un meccanismo di sicurezza multilaterale con presenza statunitense“, ha aggiunto alludendo all’ingresso dell’Ucraina nella Nato.

La riflessione di Hannah Halchenko

Hannah Halchenko è consigliera dell’ambasciata Ucraina in Italia. All’evento ha avuto il compito di chiudere il primo momento di dibattito. È stata quindi l’ultima a parlare, in ordine di scaletta, ma è stata la prima ad arrivare nel palazzo in via Caetani 32, a Roma, la sede del Csa.

Così, prima dell’inizio dei panel, le abbiamo chiesto se il suo sarebbe stato un ‘semplice’ speech riassuntivo. Lei ha indicato la spilla sulla sua giacca: gialla e blu, come i colori della sua terra. “Sono qui per l’Ucraina”, ha detto.

Hannah Halchenko, consigliera dell’ambasciata Ucraina in Italia

“Per noi il supporto dell’Occidente è molto importante. La nostra vittoria dipende dalla difesa, per cui l’invio delle armi è fondamentale“, ha spiegato a Fortune Italia.

Si discute se armare l’Ucraina sia un’azione giusta – morale – o meno. “È giusta”, ha replicato Halchenko. “Putin ha intenzione di annientare una nazione. La sua operazione speciale ha causato in un anno oltre 200.000 morti. Le sue argomentazioni sulla difesa del territorio russo e sul voler evitare vittime dopo la guerra in Donbass del 2015 non reggono, dal momento che quella guerra ha causato 14.000 morti, ma in otto anni. Le vittime restano vittime. Le proporzioni, però, sono differenti”, ha detto.

Posizioni diverse, obiettivo comune

Probabilmente il 24 febbraio 2022 Putin oltre ad attaccare l’Ucraina immaginava di spaccare l’Occidente. E ne aveva preparato le basi. Oltre alle devastanti conseguenze sul fronte umano, lo sappiamo, la guerra ha innescato la crisi energetica in Europa, provocando l’impennata dei prezzi dell’energia (e la corsa alle fonti alternative).

La guerra dei prezzi è cominciata prima della data di inizio del conflitto, quando attraverso Gazprom la Russia ha fatto mancare i volumi in eccesso di gas dalle piattaforme elettroniche e questo ha reso il Ttf illiquido, spingendo i prezzi verso l’alto.

Questo dà la dimensione di come tramite la politica energetica Putin abbia cercato di condizionare l’opinione europea. Non ci è riuscito. Ed è uno dei fallimenti che possiamo annoverare”, ha fatto notare Aurelio Regina, presidente Confindustria Lazio, nel corso del secondo panel dal titolo ‘Nato and the Eu: strenghtening the transatlantic world, economics and security’, moderato dal direttore di Aspenia Marta Dassù.

Insomma, era stato preparato il terreno. Ma ogni crisi, come ha evidenziato Regina, “genera anche delle opportunità”. L’Europa si è riscoperta più compatta che mai. Sebbene non tutti i Paesi abbiano reagito – e stiano reagendo – allo stesso modo.

Un momento del panel ‘Nato and the Eu: strenghtening the transatlantic world, economics and security. Da sinistra: Viktor Elbling, Marta Dassù, Aurelio Regina. Sullo schermo: Ian Lesser. 

Le forze politiche si sentono coinvolte diversamente. La Turchia, un Paese Nato chiave, è tra le nazioni più esposte alla guerra a mano a mano che si va avanti nel conflitto. “La Turchia è uno stakeholder nei rapporti con la Russia e trova difficile districarsi da un punto di vista economico-politico. Sta gestendo un gioco delicato: da una parte vorrebbe vedersi mediatore, d’altra parte è consapevole di dipendere dalla Nato“, ha detto Ian Lesser, vicepresidente di The German Marshall Fund of the United States (Gmf).

Lesser ritiene che in quanto a ‘etica’, a livello mondiale la maggioranza dei Paesi ragioni come l’Occidente: sa che questa guerra è ingiusta e deve finire. Ma quando si va oltre e si trattano argomenti specifici c’è una divisione. A causa di retaggi storici e vecchie sfere d’influenza. “Hanno tutti voglia di una politica più indipendente, che non abbia alcun accordo morale con l’Occidente. Sono sicuro che molti Paesi non siano pro Russia, siano semplicemente opportunisti”, ha affermato.

Anche la decisione della Germania di stanziare 100 mld per rafforzare l’esercito, in ottica di sostegno al conflitto in Ucraina, è stata interpretata come ‘opportunista’. Dal momento che il Paese acquisterà gli F-35. Lo sforzo tedesco, secondo alcuni, non è sul serio volto a costruire una ‘Europa della difesa’.

Viktor Elbling, ambasciatore della Germania in Italia

Sulla questione ha gettato un po’ di luce Viktor Elbling, ambasciatore della Germania in Italia. “Io credo che sia in Italia che in Germania veniamo da una tradizione di politica estera e sicurezza basata sul ‘soft power’: sul dialogo, sullo scambio commerciale, per portare avanti una cooperazione pacifica“, ha detto.

“Adesso in Germania c’è il partito verde, più vicino all’Italia anche rispetto all’invio delle armi in Ucraina. Noi siamo solo all’inizio di una svolta, ma credo si siano già fatti tanti passi. Questi 100 mld, se si pensa alle spese necessarie per mettere in piedi un esercito che per 30, 40 anni non è stato ritenuto necessario, è una somma molto piccola, svanirà in fretta. Ma è una base di partenza”.

Il punto fondamentale, ha continuato Elbling, è capire che a un anno dalla guerra in Ucraina ci ritroviamo davanti a un’Unione Europea e una Nato più salda che mai. “Una Nato ancora più forte, con nuovi membri come la Svezia e la Finlandia che potranno entrare a breve. Comunque finirà la guerra in Ucraina, dall’altra parte si deve tenere a mente questo. Siamo insieme“, ha concluso.

La ‘partnership transatlantica solida’, che ha dato prova di lucidità, pragmatismo ed equilibrio è la stessa lodata dal ministro degli Esteri Antonio Tajani in un messaggio letto da Dassù. “Chi ha scommesso sulla nostra fragilità, ha perso”, ha scritto il ministro. “Le nostre sfide, tuttavia, non si esauriranno di certo in Ucraina”.

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