Ha fatto la storia della Juventus, ma dice di non avere talento. Ha due lauree, di cui una da 110 e lode, ma dichiara di non essere bravo. È un manager di successo, ma per lui è pura fortuna. Signore e signori, Giorgio Chiellini. Che di fortuna ne ha avuta, certo, ma quella da sola, si sa, non basta a diventare top player. Solo con la Juventus ha segnato il record di 9 scudetti, 5 Coppe Italia, 5 Supercoppe di Lega e 2 finali di UEFA Champions League (1). “Per uno senza talento mi sembra parecchio” gli dico, ma lui insiste: “Faccio strategia e sono fortunato, tutto qui”. Come se fare strategia fosse una prerogativa di tutti e passare alla storia del calcio bianconero un caso fortuito. Insomma, come se di Chiellini fosse pieno il mondo. Invece no: quello originale, ancora unico, gioca e vive a Los Angeles e continua a indovinarle tutte. “Sono un uomo che ha realizzato più dei suoi sogni, che ha provato a portare avanti i valori in cui credeva e ha cercato di essere un bravo marito e un bravo padre. Ho sbagliato tanto e sbaglierò, ma l’obiettivo resta migliorarsi. Certo, non ho commesso errori irrimediabili, quelli più clamorosi li fai da ragazzo, quando pensi di essere immortale e ti prendi rischi che col senno di poi ti saresti risparmiato. Invece, per fortuna”.
INTERVISTA DI PATTY TORCHIA
La fortuna, ancora. Quindi sempre la fortuna l’ha portata a gestire con successo attività diverse dal calcio?
Nella vita cerco di dare priorità a due cose: famiglia e lavoro. Provo persino a rispettare quest’ordine, ma non ci riesco sempre. A seconda dei momenti, ringrazio o chiedo scusa alla famiglia – a quella che mi ha fatto nascere e a quella che sto costruendo – perché troppe volte le sottraggo tempo e attenzioni. Eppure sono rimasti ad aspettarmi, per questo dico che sono fortunato. Oggi più di ieri mi sforzo di dedicare a loro e alle mie passioni il tempo e l’attenzione che meritano.
Quali sono queste passioni?
Il calcio è la prima. Io gioco a calcio ma sono anche ammalato di calcio: conosco tutti i giocatori e non mi perdo una partita. Negli anni ho capito che la cosa poteva sposarsi con il desiderio che avevo di essere utile agli altri. Volevo impegnarmi nel sociale, dare una mano a chi è meno fortunato di me. Per questo ho fondato ‘Insuperabili’ (2), una società sportiva che promuove il calcio per persone con disabilità. A Livorno sono sponsor di Mayor Von Frinzius, una scuola di teatro per persone con sindrome di Down, seguita e sostenuta anche da Paolo Ruffini. Ho aderito anche al progetto Common Goal che devolve in beneficienza l’1% degli stipendi dei calciatori che si associano. Vedere questi ragazzi impegnati a fare qualcosa che li rende felici mi riempie il cuore. Poi c’è la tecnologia, l’altra mia grande passione. Il mondo dell’innovazione mi ha sempre incuriosito.
Lei è uno dei pochi calciatori di successo che ha preso due lauree, di cui una da 110 e lode. Il calcio non è bastato, insomma…
Direi piuttosto che non volevo rinunciare allo studio, sono cresciuto con l’idea di fare l’università. Come i miei amici ho fatto il liceo statale a Livorno e come loro giocavo a calcio, solo che io mi allenavo con la prima squadra del Livorno e loro con la squadra di quartiere. Poi alle 6 ci trovavamo in centro e stavamo insieme fino all’ora di cena. Ho avuto la fortuna di vivere una vita normale.Quando poi sono arrivato a Torino per la Juve ho capito che non era come a casa: ero solo, avevo 21 anni e un sacco di tempo a disposizione. Ho pensato quindi di sfruttarlo e proseguire gli studi. Mi sono informato su corsi compatibili con gli allenamenti e ho avuto la fortuna di trovare l’Ateneo di Economia di Torino. Quattro anni dopo ero laureato. La mia era una laurea triennale, ma ci ho messo 4 anni perché, come sempre, il calcio era la priorità. Non ho mai saltato mezzo allenamento nemmeno per fare un esame, perché per me era una forma di rispetto nei confronti della squadra. Poi certo, mi sono divertito come tutti, ma solo quando potevo. In cuor mio speravo di convincere qualche compagno a fare la stessa cosa. Oggi è anche più semplice, ci sono ragazzi più bravi di me che giocano e studiano, ma di loro si sa poco perché sono meno esposti. Io sfrutto la visibilità per provare a essere un esempio: voglio far capire ai ragazzi che si può giocare nella Juventus, persino in Nazionale, e contemporaneamente laurearsi. Non è impossibile, è questione di volontà. Per la laurea specialistica ci ho messo più tempo perché nel frattempo mia moglie si era trasferita a Torino, la famiglia è cresciuta e il tempo per studiare si riduceva. Però l’ho portata a termine.
Eccome, 110 e lode. Fortuna anche quella, giusto?
Anche, sempre. Lo studio ti tiene attaccato alla realtà. I giovani che entrano in questo mondo devono sapere che se diventi professionista vivi in una bolla dove in un anno guadagni quello che i tuoi genitori non guadagnano in una vita. Hai 22/23 anni o anche meno e ricevi attenzioni e soldi che sono spesso eccessivi. Studiando impari a tenere i piedi per terra e anche quello è allenamento, anzi è quello più vero. Prenda me: io non sono uno talentuoso, ho doti fisiche utili che ho migliorato allenandomi. Migliorarsi vuol dire studiare, allenarsi: è la stessa cosa. Anche il calciatore più forte al mondo può migliorare se stesso se inserisce lo studio nel suo percorso.
Ha anche un’agenzia di comunicazione, Mate (3).
L’ho creata insieme a un gruppo di amici e professionisti di livello allo scopo di aiutare i giovani a gestire i social. Oggi ogni cosa che fai e che scrivi online ha conseguenze tre volte più esposte e amplificate, non puoi cancellarle. Se scrivi un post di cui ti penti te lo porti dietro tutta la vita. Io l’ho capito da subito, sono stato uno dei primi a cavalcare i social.
Però Giorgio Chiellini è un tipo abbastanza riservato sui social.
I social li ho scoperti e cavalcati, ma ho scelto di tenerli fuori dalla porta di casa. Mi piace condividere passioni ed esperienze sui social, ma pretendo di riservare un angolo di mondo solo mio. Lì sono Giorgio con i problemi di tutti, con le dinamiche di tutte le coppie, di padre/figlie, mamma/figlio, fratello/fratello. Voglio proteggere quello spazio in cui smetto di essere calciatore e sono solo Giorgio.
Chi è Giorgio Chiellini a Los Angeles? E chi vuole essere domani?
Quello di sempre che ancora ha da imparare. Non è stato semplice muovere la famiglia dall’altra parte del mondo, perché LA non è New York, è più lontana. Però non mi pento della scelta, è un posto in cui convivono culture diverse, si fa sport in modo diverso e ho la fortuna di lavorare con gente in gamba da cui imparo molto. Sono a fine carriera, lo sento, ma so che il futuro sarà nello sport business. Per Olivia e Nina, le sue figlie, si augura un futuro in Italia o negli Usa? Casa loro è l’Italia, senza dubbio, ma sono felice che Nina, la più grande, stia facendo questa esperienza. Ha l’età giusta per capire il mondo che la circonda, è una spugna: apprende in fretta lingua, usanze e si relaziona facilmente con bimbi molto diversi.
Del caso Juventus, invece, Chiellini non parla. Quello che aveva da dire lo ha scritto su Instagram (4).
Quando sei della Juve lo sei per sempre.