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Idrogeno, cooperazione internazionale per una tecnologia strategica

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La sfida della transizione ecologica, perno del nuovo corso di policy avviato in seguito alla crisi pandemica, si lega tanto al maggior ricorso alle rinnovabili, quanto allo scale-up di nuove tecnologie energetiche. 

In questa seconda categoria, l’idrogeno costituisce oggi il principale perimetro di riferimento: un potenziale con diverse sfaccettature, esteso dal settore dell’energia a quello della mobilità, direttrici chiave per il raggiungimento degli obiettivi climatici sanciti dalla regolamentazione europea e nazionale. Tale strategicità rappresenta, tuttavia, un elemento di potenziale aumento del rischio geopolitico, in una corsa tecnologica che fa proprio della transizione ecologica il proprio catalizzatore (si guardi in tal senso alla crescente posizione dominante della Cina nella componentistica legata al fotovoltaico, con una quota superiore all’80%).

Quello che si apre, potrebbe in effetti essere definito il “decennio dell’idrogeno”: una visione non distante da quanto Fatih Birol, direttore esecutivo dell’Agenzia internazionale dell’energia, affermava già nel 2019, durante la presentazione del report The Future of Hydrogen: Seizing Today’s Opportunities al meeting G20 dei ministri dell’energia e dell’ambiente. Persino Tesla ha recentemente riconosciuto un ruolo chiave per la transizione verso una società totalmente sostenibile nel proprio piano industriale Master Plan 3, attraverso l’utilizzo di idrogeno verde (estratto cioè a partire da fonti rinnovabili) in specifici rami industriali.

Ottenere un posizionamento competitivo anche attraverso lo sviluppo di tecnologie legate alle nuove fonti energetiche è ormai una strategia diffusa a livello globale, che però non può prescindere da una forte cooperazione internazionale volta a garantire una transizione equa e diffusa. 

In tal senso, la Presidente della Commissione Europea Von Der Leyen nello Stato dell’Unione 2022 ha anticipato che il primo step nella costruzione del futuro mercato energetico passerà dalla creazione di una nuova Banca europea dell’idrogeno, che dovrebbe contribuire all’ambizioso obiettivo di produrne, entro il 2030, dieci milioni di tonnellate annue. A complemento della visione europea si innesteranno accordi multilaterali, geograficamente strategici, come il recente progetto di estensione del gasdotto H2Med dalla Francia alla Germania, che potrebbe soddisfare il 10% del previsto fabbisogno annuo di idrogeno dell’UE. 

Guardando all’Italia, nella stessa direzione si pone il piano di creazione della Hydrogen Valley del Nord Adriatico, a cavallo tra Friuli-Venezia Giulia, Slovenia e Croazia, recentemente approvato dalla Commissione Europea.

A livello nazionale le linee guida per la Strategia Nazionale dell’Idrogeno del MIMIT puntano a una crescita dello stesso nel mix energetico dall’attuale 2% al 13-14% entro il 2050. Un obiettivo supportato anche dal PNRR, che attraverso la Missione 2 stanzia un totale di 3,19 miliardi di euro (per interventi come le citate hydrogen valleys, riconversioni di impianti, ma anche investimenti per la ricerca e sviluppo). Non a caso gli ultimi mesi hanno visto la pubblicazione di una serie di bandi proprio in tale ambito.

La crescente strategicità del settore è evidenziata anche dal recente ricorso, nel giugno 2022, allo strumento del Golden Power da parte dell’esecutivo Draghi per bloccare l’acquisizione dell’azienda Faber di Cividade – leader nei sistemi per lo stoccaggio di gas, tra cui appunto l’idrogeno – da parte del colosso russo Rosatom.

Per una tecnologia  su cui oggi pesano importanti costi di produzione e scale-up, l’auspicio di collaborazioni diffuse, nazionali e internazionali tra pubblico e privato, è quantomai necessaria. Considerando che l’Unione Europea si posiziona al primo posto a livello mondiale per la registrazione di brevetti di tecnologie per l’idrogeno dal 2011 al 2020, con una quota del 28%, lo stimolo deve essere quello di realizzare economie di scala, agendo proattivamente e rafforzando il ruolo dell’Unione come leader della sostenibilità globale.

Ciò comporterebbe ricadute a cascata anche per filiere settoriali e territoriali e per piccole imprese, che non potrebbero altrimenti accedere a queste tecnologie e rischierebbero di vedersi tagliate fuori dal mercato.

*Founder e Managing Director di Futuritaly, strategic advisor con lunga esperienza nel mondo pubblico e industriale.

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