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Lavoro, scuola e servizi: ecco perché in Italia c’è il crollo demografico

reddito di natalità

Italiani a rischio estinzione. Così titolavano varie testate all’indomani della pubblicazione delle previsioni sul futuro demografico del Paese, che confermano il trend in calo della natalità e della popolazione residente (59,2 milioni nel 2021). Restando così le cose, l’Istat prevede una riduzione a 58,9 milioni nel 2030 e un crollo fino a 47,7 milioni nel 2070. Sempre che non arrivi una nuova pandemia o che succeda qualche altra catastrofe, da quelle naturali, alla guerra, alla crisi economica.

Il problema è serio ed è legato soprattutto al fenomeno della denatalità; nel 2022 per la prima volta in Italia siamo scesi sotto la soglia psicologica (e non solo) dei 400.000 nuovi nati (precisamente 393mila), su un background di 7 neonati e 12 decessi per mille abitanti. Più che piramide demografica rovesciata, insomma siamo ad un vero e proprio imbuto. Le nascite sono in calo dal 2008 e le proiezioni per il futuro non prospettano niente di buono.

Se ne è accorto persino Elon Musk, che dall’altra parte dell’Oceano ha twittato “Italy & many other nations are dying”, rinforzato con un “Italy is disappearing!”. Insomma, ci stiamo estinguendo. Di certo, tra le oltre 5,3 milioni di visualizzazioni di questo tweet ci saranno state anche quelle di Massimo Scaccabarozzi, direttore di ‘On Radar’, Think Tank della Fondazione Internazionale Menarini e degli altri esperti del board. Che in realtà però ad affrontare il problema della natalità in crisi ci avevano pensato ben prima della sentenza comunicata dai dati Istat.

E per esaminare l’argomento, nel corso dell’incontro a Roma ‘Natalità, politically incorrect’, hanno deciso – come dicono gli anglofoni – di think outside the box, di pensare insomma tirando la testa fuori dal sacco, guardando in faccia la realtà.

Questo si è tradotto in un confronto serrato tra ‘esperti’ di varie estrazioni e ragazzi (dai 18 ai 23 anni) che, nel loro curriculum hanno solo la gioventù e la voglia di parlare chiaro. Perché il nocciolo della questione è proprio quello. È da lì che bisogna partire. Da cosa pensano i ragazzi (o meglio le ragazze). Perché il fatto di fare un figlio non è in cima ai loro pensieri?

Gli esperti tranquillizzano subito. È chiaro che questo non vuole essere un j’accuse rivolto ai ragazzi, al loro eventuale individualismo (qualcuno si spinge a chiamarlo egoismo) e alla loro alienazione da social, che ostacola i rapporti in ‘carne ed ossa’ (va detto però che Chiara Ferragni in questo agone rappresenta un modello positivo, con l’esposizione mediatica sistemica prima delle sue gravidanze, poi dei progressi di Vittoria e Leone, i suoi due figli – sia detto, con buona pace del politically incorrect di mettere i minori sui social).

Se i nostri giovani non riescono a vedersi con un bebè in braccio, se il desiderio di genitorialità arriva troppo tardi a causa della sindrome del ritardo, le responsabilità vanno cercate da tante altre parti, prima di mettere i ragazzi sul banco degli imputati. E il tema riguarda in prima persona non sono le istituzioni, ma anche le imprese, intese come datori di lavoro.

“Per affrontare un tema così complesso – afferma il presidente Scaccabarozzi – è necessario adottare un approccio sistemico nel quale tutti devono giocare una parte e le varie soluzioni proposte devono essere messe a sistema, integrate tra loro”. Per offrire ai giovani un mondo migliore, un nuovo orizzonte più child-friendly.

“E questo è un punto dolente – fa notare il professor Pietro Ferrara, Ordinario di pediatria Università Campus Bio-Medico di Roma – Non c’è cultura dell’infanzia, non c’è lo spazio mentale per accogliere un figlio. Anzi. Spesso c’è la paura e il rifiuto della genitorialità”.

natalità On radar

Un rifiuto che è soprattutto delle donne che, giustamente, non vogliono rinunciare ad una carriera lavorativa, nonostante tutti i tetti di cristallo che gravano sulle loro teste e la famigerata gender inequity salariale. Ma che poi nelle nostre città non trovano neppure un asilo nido (tra l’altro una delle priorità degli investimenti Pnrr). Ma le ragazze vanno aiutate, non colpevolizzate, per aspirare a un’indipendenza economica e a un tenore di vita migliore.

“Le imprese vanno richiamate alle loro responsabilità rispetto ai problemi sociali – ammette l’imprenditore Marco Bonometti, presidente e Ad della OMR (Officine Meccaniche Rezzatesi), un gruppo industriale specializzato nella componentistica per automobili, attivo in 5 continenti – Le imprese possono avere un ruolo cruciale nel restituire fiducia ai giovani; è necessario diffondere cultura d’impresa, quella che vede l’impresa vicino alla gente e in particolare ai giovani”.

“Finora la demografia non è stata la nostra prima emergenza, questo tema è sempre restato un po’ sullo sfondo – riflette Diodato Pirone, giornalista economico del Messaggero e autore del libro ‘La trappola delle culle’ – Il tema non si risolve con la bacchetta magica. È necessario agire su più fronti, puntando anche su elementi culturali. Questo Paese non fa figli perché è attanagliato dalla sfiducia. Dobbiamo però recuperare il nostro futuro attraverso la natalità, anche rivedendo l’allocazione di una serie di leve sociali, se necessario”.

“La natalità – continua Pirone – deve essere vista come ‘risorsa’ e non come ‘problema’ dalle imprese. Si potrebbe pensare anche di premiare con un bollino blu le imprese che fanno una politica di conciliazione, che vanno incontro a chi vuole diventare genitore. E a livello statale, si potrebbero dare dei benefit a chi mette in cantiere un secondo figlio, ma anche, nel breve, ‘importare’ intere famiglie con bambini. Anche perché di questo passo, rischiano di chiudere anche le scuole”.

Noemi, una studentessa della Fondazione ITS per le Nuove Tecnologie della Vita fa giustamente notare che alla base di questo rimandare un progetto di genitorialità c’è anche un ingresso tardivo nel mondo del lavoro, dovuto al fatto che la scuola è troppo lunga e poco formativa. E c’è chi tra gli ‘esperti’ rinforza il concetto facendo notare che il calendario scolastico è rimasto fermo all’epoca delle famiglie monoreddituali perché la nostra scuola negli ultimi 80 anni non si è sostanzialmente modificata. Non è evoluta insomma di pari passo con i cambiamenti sociali.

E non tutte le famiglie possono contare su quel formidabile modello di welfare, spesso l’unico esistente oggi, rappresentato dai nonni. Un dato di fatto incontrovertibile se la confrontiamo soprattutto con quanto accade negli Usa, sia a livello di scuola secondaria che di formazione universitaria. Ma il convitato di pietra, dietro tante riflessioni e discorsi è il concetto di ‘fiducia’. Che scarseggia ‘abbondantemente’. Viviamo in un contesto sociale all’insegna dell’incertezza.

Come facciamo a ‘contagiare’ i giovani con la fiducia? “La denatalità – afferma Alberto De Martini, pubblicitario e comunicatore, Ceo di Conic – è sintomo di una società che non riesce più ad immaginare un futuro. Figurarsi a costruirlo. Restituire la fiducia è una delle maggiori responsabilità di noi adulti. Ma questa narrazione deve poggiare su fatti e scelte politiche concrete”.

“Pochi nati – afferma Massimo Scaccabarozzi – significa pochi genitori potenziali. È la trappola demografica. Un circolo vizioso che minaccia il nostro Paese”. Tanti i problemi sul piatto insomma che confluiranno presto in un documento che gli esperti di questo Think Tank hanno intenzione di sottoporre alle Istituzioni. Mettere nero su bianco è un inizio importante. Anche se la strada appare decisamente in salita. Ma parlarne e far uscire dall’ombra il problema è fondamentale. Dunque grazie a ‘On Radar’ e avanti così.

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