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Mafia, Corte Conti: criticità nel riutilizzo dei beni sequestrati. Dal 2020 ri-vendute solo 3 aziende

Restituire alla comunità immobili, terreni, aziende: è lo scopo delle varie leggi italiane che, nel tempo, hanno regolato la confisca dei beni in mano alla mafia. Secondo un’analisi della Corte dei Conti, però, quella restituzione non avviene abbastanza velocemente. I provvedimenti di sequestro o confisca dei beni della criminalità organizzata sono in continuo aumento, ma “superano costantemente i provvedimenti di riutilizzo”, secondo la Corte dei Conti. Una mancanza di efficacia che non riguarda solo gli immobili (che rappresentano la metà dei beni sequestrati): in base ai dati raccolti dalla magistratura contabile, dal 2020 sono state vendute (e quindi ‘restituite’ al mercato) solo tre aziende, rispetto a un totale di oltre 3.000.

In generale, non riusciamo a riutilizzare in maniera efficace e veloce quello che confischiamo alla mafia, secondo la delibera della Sezione centrale di controllo sulla gestione delle amministrazioni dello Stato in cui la magistratura contabile ha esaminato le funzioni svolte dall’Anbsc: si tratta dell’Agenzia nazionale per l’amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata, creata nel 2010 sul solco della legge 109 del 96 sul riutilizzo pubblico e sociale dei beni confiscati alle mafie.

La Corte ha rilevato che nonostante siano molte le risorse umane e finanziarie impiegate per restituire i beni sequestrati alla comunità, ci sono “varie criticità”.

Ad esempio, il volume delle informazioni raccolte sui beni stessi non è “ancora confluito in un sistema di dati affidabile, completo e pienamente consultabile”, nonostante siano diverse le piattaforme che raccolgono i dati relativi ai beni sequestrati. Inoltre, si legge nella delibera, “la durata dei procedimenti non si è ridotta a sufficienza (permane di almeno 4-5 anni)”.

Quanto incide questo prolungata durata dei procedimenti su quei beni dai quali dipende anche il sostentamento dei lavoratori, come le aziende?

I numeri dei beni sequestrati e il caso delle aziende

Secondo l’ultimo rapporto semestrale del ministero della Giustizia al Parlamento, nel database del governo ci sono circa 230mila beni sequestrati, con dati aggiornati al 30 giugno del 2022.

Facendo riferimento al totale dei beni tolti alla mafia, le aziende rappresentano il 7,3%: 16mila quindi, mentre la quota più grande spetta agli immobili (46%). Al totale dei beni sequestrati però va tolto il 40% (91mila) di beni che sono stati dissequestrati. Va considerato anche un 15% di beni per il quale il sequestro è stato solo proposto. Restano quindi 103mila beni “sottoposti ad ablazione penale”, sparsi in tutta Italia, e non solo nelle regioni del Sud.

Secondo l’analisi della Corte dei Conti l’ANBSC gestisce oltre 3.000 aziende, “distinte tra imprese e società colpite da misure ablative penali e di prevenzione di cui al codice antimafia, suddivise tra aziende definitivamente confiscate e quelle amministrate in fase giudiziaria dall’ANBSC dopo la confisca di secondo grado”. Nel caso specifico delle imprese, non è solo il Sud a guidare la classifica riportata nella delibera della Corte:

La stessa ANBSC, riferisce la Corte, ha osservato che la situazione riguardante le aziende amministrate è complessa; su circa 3.000 aziende, infatti, soltanto il 5% (150 imprese) risulta attiva sul mercato, mentre le rimanenti sono inattive o non hanno prospettive di ripresa dell’attività. Molto spesso perché si tratta di aziende create proprio per nascondere attività illegali. “La realtà riscontrata, infatti, ha evidenziato come un’altissima percentuale di aziende sia costituita al solo scopo di offrire un riparo apparentemente rispettabile ad attività illecite, e gestite totalmente al di fuori delle regole del mercato legale come strumento per il riciclaggio di proventi illeciti. Queste sono difficilmente recuperabili ed in grado di emergere, crescere e sostenere le regole dell’economia legale e l’unica possibile soluzione, pertanto, è la loro estinzione, con conseguenti vantaggi sulla corretta concorrenza”.

Quanto valgono le imprese tolte alla mafia

Capire il valore delle aziende confiscate e amministrate non è facile: lo ha chiesto la stessa Corte all’Agenzia, che ha risposto che non è possibile determinare il valore di mercato delle aziende attive, poiché gli unici dati disponibili sono quelli, relativi ai valori di bilancio che per legge le società devono approvare. Valori non indicativi del prezzo di mercato, secondo l’Agenzia.

Ma qualche numero, grazie proprio ai bilanci delle società, è possibile averlo, anche se il campione si riduce molto: “Gli effetti positivi dell’attività di indirizzo svolta dall’Agenzia sono rappresentati dall’approvazione dei bilanci di oltre 300 società di capitali. Dalla lettura dei bilanci l’Agenzia ha ricavato numeri importanti”, dice la Corte dei Conti: quelle 300 società registrano 257 mln di euro di valore della produzione, 17 mln di euro di utili di gestione e un numero di addetti che arriva a 3.000 persone.

Cosa succede alle aziende confiscate

Ma cosa succede alle aziende che arrivano all’Agenzia? Al momento quasi tutte le imprese sequestrate hanno lo stesso destino. Secondo la relazione 2021 dell’Agenzia, la stragrande maggioranza va in “liquidazione-cancellazione (oltre il 95%)”.

Ma l’obiettivo, dice la Corte, dovrebbe essere quello di restituire le aziende al mercato, quando possibile. Dopo la definitività della confisca, in caso di aziende con un valore economico, la loro naturale destinazione è la messa in vendita sul mercato, dice la magistratura contabile.

Avvenuto il passaggio ai soggetti economici privati, all’Agenzia non rimangono compiti legati “al monitoraggio, seppur statistico, dei valori produttivi conseguiti”. Con la vendita, quindi, si determina la “definitiva uscita dell’Agenzia dalla competenza gestoria”.

Analizzando i dati riportati dalla Corte, dal 2020 sono 23 le aziende definitivamente confiscate che sono state destinate alla vendita, “tuttavia solo per 3 di esse si è concluso il trasferimento in favore di soggetti economici privati a seguito di apposite procedure competitive, mentre per le restanti le procedure non si sono concluse”.

I motivi per risultati del genere naturalmente sono da ricercare anche nella natura stessa delle aziende sequestrate, che spesso sono scatole vuote utilizzate per coprire attività illecite, impossibili da rigenerare, come spiegato nel corso degli anni anche dal fondatore di Libera, don Luigi Ciotti.

Lo ha spiegato la stessa ANBSC: le motivazioni di quel 95% di liquidazioni e cancellazioni devono ricercarsinell’altissima presenza all’atto del sequestro di realtà economiche prive di patrimonio, ovvero ontologicamente connesse ai soggetti colpiti dalla misura ablativa ovvero dedite al conseguimento di attività illecite. D’altro canto, le misure introdotte per agevolare la prosecuzione dell’attività d’impresa e la necessità di favorire il mantenimento dei livelli occupazionali, non sempre hanno raggiunto in concreto gli effetti sperati”.

La Corte riporta dati aggiornati al novembre 2022: l’Agenzia amministra circa 150 aziende attive sul mercato, (corrispondenti a circa il 5% del totale delle aziende ricevute in gestione) di cui circa l’80% in confisca definitiva; per esse, a partire dalla confisca di secondo grado, l’Agenzia “avvia le azioni più opportune per preservare il valore del patrimonio aziendale, e mantenere i livelli occupazionali in essere. In relazione ai tempi di destinazione dei beni aziendali, l’Agenzia ha evidenziato di aver avviato le interlocuzioni con le competenti autorità giudiziarie, volte all’adozione dei provvedimenti di liquidazione delle realtà economiche che, già in fase giudiziaria, presentano uno squilibrio economico e finanziario irreversibile”.

Le conclusioni della Corte dei Conti

Gli ostacoli maggiori nel destinare a nuovo uso i beni sequestrati alle mafie sono legati alla lunghezza dei procedimenti ma anche “alla ridotta disponibilità finanziaria dei Comuni e degli enti del terzo settore, che rende difficoltoso l’avvio dei progetti di reimpiego sociale delle strutture sottratte alle organizzazioni criminali, soprattutto nel caso di immobili in cattivo stato manutentivo o soggetti a spese di gestione”. Anche in presenza di adeguate risorse, ha aggiunto la Corte, “la scarsa conoscenza della loro esistenza e delle modalità di acquisizione costituiscono significativi elementi di intralcio al riutilizzo sociale dei beni nell’ambito delle politiche di contrasto alle mafie”. Su questo, il rapporto RimanDati di Libera riferisce che il 60% dei Comuni non pubblica l’elenco dei beni confiscati in suo possesso.

Inoltre, secondo la magistratura contabile, è difficile ottenere “stime affidabili” sul valore di mercato dei beni.

Questo, e “la lunghezza dei tempi necessari alla verifica dei crediti dei terzi in buona fede delineano – ha concluso la magistratura contabile – un panorama complessivo che richiede una rinnovata capacità di concentramento delle energie umane e finanziarie – pur adeguatamente presenti nel sistema – per restituire slancio e credibilità all’azione istituzionale”.

Sulle aziende, secondo le raccomandazioni della Corte, “è fondamentale individuare percorsi che consentano di riportare in bonis quelle aziende che, in considerazione del numero dei dipendenti, del valore del fatturato e della tipologia dell’attività, presentino concrete prospettive di prosecuzione dell’attività produttiva. Ne consegue l’assoluta necessità di effettuare, fin dal sequestro, la valutazione delle prospettive di continuità dell’azienda, al fine di verificare quali siano le reali possibilità che la stessa possa concretamente proseguire la propria attività senza connessioni e collegamenti con la criminalità organizzata”.

La Corte raccomanda il “riesame, al fine di avviarlo finalmente ad efficace soluzione, dell’annoso problema della verifica della completezza dei dati riguardanti il bene, dei loro flussi e distribuzione, in maniera che questi raggiungano in tempi contenuti, un sufficiente livello di accountability, completezza, visibilità ed accessibilità; è inaccettabile che a distanza di 12 anni dall’avvio del sistema i flussi rimangano incompleti (ad es. per i procedimenti penali) e talvolta riportino indicazioni errate. Va dunque vivamente richiesto ogni sforzo che, a latere degli interventi in corso sui sistemi e sul passaggio in atto tra le piattaforme (da Open Regio a Coopernico o anche – in futuro – ad un sistema unico) sostenga la prosecuzione della bonifica dei dati già inseriti (Ministero Interno, ANBSC e Ministero Giustizia)”.

“È giunto il tempo di aprire un tavolo di lavoro e di confronto fra i soggetti sociali e il governo sulla gestione dei beni sequestrati e confiscati”, commentano Libera e Cgil in una nota. “Dobbiamo garantire il diritto al lavoro, sostenendo le esperienze dei workers buyout e di cooperative di lavoro nate all’interno di aziende sequestrate e confiscate, garantendo la tutela dei lavoratori delle aziende sequestrate e confiscate e un supporto adeguato al fine della loro continuità imprenditoriale”.

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