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Superbonus, la danza dei numeri non certificati

Gli istituti di rilevamento presentano discrepanze nell’ordine dei 100 mld di euro sul moltiplicatore, ma sono concordi nell’affermare che a oggi non si hanno abbastanza elementi per analizzare la misura nel suo complesso

“Da oltre 10 anni al settore dell’edilizia viene dato un moltiplicatore tra il 2 e il 3”. Si è chiusa con questo assunto l’ultima delle numerose audizioni che si sono tenute nelle scorse settimane sul Superbonus 110% tra Camera dei Deputati e Senato della Repubblica. Mai come per questa misura, la risonanza mediatica e lo scontro politico hanno di fatto mandato in tilt la quasi totalità degli istituti di misurazione statistica. Proprio sui numeri ci sono discrepanze che mettono in imbarazzo Nomisma, Istat, Censis, Ufficio parlamentare di bilancio, Bankitalia e altri ancora. L’oggetto del contendere? Il moltiplicatore del cosiddetto Superbonus e Sismabonus 110%, da cui, secondo le forze politiche di maggioranza e alcune di opposizione, discende la sostenibilità o meno della misura dal punto di vista contabile ed economico. Sulla vicenda si sono schierate anche le testate giornalistiche nazionali, quasi tutte prettamente allineate alla narrazione governativa. Ma andiamo con ordine.

Deficit e debito 

Un primo grande tema l’hanno chiarito i dati ufficiali su deficit e debito pubblico italiano. Senza aprire la parentesi sulla riclassificazione da ‘non pagabile’ a ‘pagabile’ relativa ai crediti d’imposta cedibili del Superbonus 110%, sia Eurostat sia Istat hanno messo nero su bianco un concetto chiaro: la cedibilità dei crediti d’imposta, introdotta con il cosiddetto ‘Decreto Rilancio’, influisce sul deficit ma non sul debito pubblico. In altre parole, la riclassificazione è stata meramente contabile ed è stata scaricata sugli anni precedenti a quello in corso (2021-22 principalmente). Su questo, per una volta, i numeri sono certificati. Il deficit/Pil sale al 9% nel 2021 e all’8% nel 2022, mentre il rapporto debito/Pil nel 2022 si attesta al 144,7% contro il 149,8% del 2021, meglio delle stime della Nadef. Evidenze numeriche che difficilmente possono far gridare all’allarme rosso sui conti pubblici, come invece avvenuto a più riprese.

Il caso Nomisma

Ma veniamo ora agli istituti di rilevamento principali. Tra i più generosi con la misura Superbonus e Sismabonus 110% c’è stato sicuramente Nomisma, additato da alcuni politici come non neutrale nelle valutazioni in virtù dei suoi committenti. Le stime di Nomisma, per fornire un ordine di grandezza a chi legge, divergono da quelle dell’Upb per oltre 100 mld di euro sul ritorno economico. Praticamente quattro o cinque finanziarie, una differenza che mai era stata registrata e che lascia intendere come la specificità del caso non rientri nella normale dialettica tra economisti di varie scuole e metodi di studio e rilevamento. Secondo il recente studio di Nomisma, infatti, l’impatto economico complessivo del Superbonus 110% sull’economia nazionale è stato pari a 195,2 mld di euro, con un effetto diretto di 87,7 mld, 39,6 mld di effetti indiretti e 67,8 mld di indotto. Cifre che, qualora fossero state confermate dall’Ufficio parlamentare di Bilancio in audizione, avrebbero come minimo portato alle dimissioni del ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti, il principale fautore, assieme all’ex premier Mario Draghi, del blocco totale della circolazione e cessione dei crediti fiscali relativi al Superbonus.

I numeri dell’Upb 

Il dato numerico più utilizzato da chi si è opposto alla misura è stato senz’altro l’assist battuto dalle agenzie di stampa in merito alla relazione dell’Ufficio parlamentare di bilancio. Ovvero, quando è stato affermato che il Superbonus 110% ha generato nel biennio 2021-22 un punto di Pil di valore aggiunto. Passiamo dunque da 195,2 mld a circa 20 mld di euro. Questa approssimazione di stampa battuta come sentenza dell’Upb è fuorviante per almeno tre motivi, come si legge dal disaggregato Istat sul valore aggiunto del Pil. Il primo: si basa sul settore delle costruzioni residenziali, dove la performance è stata diversa e, come riporta lo stesso Istituto nazionale di statistica, del 2,09% sul Prodotto interno lordo. La seconda la si evince dall’ultima pagina della relazione dell’Upb, quando lo stesso ufficio afferma che si dovrebbe raddoppiare il valore aggiunto collegato all’edilizia tenendo conto dell’effetto a cascata, pur sostenendo che in generale non possiede sufficienti dati a rendere le stime certe. Il terzo: non si capisce se Upb, quando parla dell’1% ascrivibile all’incentivo, si riferisca alla mera incentivazione fiscale o anche al meccanismo della cessione dei crediti d’imposta, che invece riguarda anche altri incentivi. Da una lettura meramente tecnica la relazione Upb, dunque, si contraddice o, quantomeno, riferisce dati che lo stesso ufficio dice essere non pienamente attendibili.

La prudenza dell’Istat 

In ogni caso, questo combinato disposto (numeri Istat e raddoppio legato all’indotto) lascia pensare che il 2,09% del valore aggiunto sul settore edile si trasformerebbe in 4,18%. Rapportato ai valori del Pil italiano (un punto percentuale sono circa 20 mld di euro) si tratterebbe di oltre 80 mld di euro, più di quanto la misura 110% sia effettivamente costata alle casse dello Stato, ma non il complesso dei bonus edili su cui la distanza costi-benefici, in ogni caso, si accorcerebbe in modo notevole e non tale da giustificare il blocco imposto alla cessione dei crediti. L’Istituto nazionale di statistica, nel corso della sua ultima audizione in Senato, ha comunque preso le distanze dalla guerra dei numeri con cui la politica si è battuta per affossare le misure legate all’edilizia. Senza usare troppi giri di parole, ha infatti affermato che i numeri circolanti nel merito del moltiplicatore del Superbonus 110% non sono attendibili e non devono essere presi a riferimento per definire la sostenibilità o meno della misura. Quello che è certo, tuttavia, è contenuto come detto nel disaggregato sul valore aggiunto delle costruzioni residenziali. Dicevamo, il 2,09% del Pil, oltre 40 mld di euro. Questo numero, l’unico reale ad oggi, come ribadito dalla stessa Istat nelle sue relazioni, non tiene conto degli effetti indiretti e sull’indotto.

Conclusioni

Tutti i rilevamenti e le discrepanze che sono state sommariamente trattate in questo articolo avrebbero suggerito una maggiore prudenza da parte della politica nel trattare i numeri del Superbonus 110%, specialmente prima di rinunciare come avvenuto ad una misura che è stata un effettivo shock all’economia reale del Paese. Nessuno, ad oggi, può affermare con certezza quali siano i numeri più aderenti alla realtà delle cose. Spannometricamente si potrebbe partire proprio dall’assunto iniziale: “Da oltre 10 anni al settore dell’edilizia viene dato un moltiplicatore tra il 2 e il 3”. Preferiamo tuttavia chiudere questa disamina con le parole dell’Upb, mai utilizzate dagli stessi politici che hanno ‘sfruttato’ l’Ufficio parlamentare di bilancio per corroborare tesi alquanto imprecise: “Per avere una valutazione sul complesso dell’economia occorre poi considerare che lo shock positivo sulle costruzioni si propaga agli altri settori (…); in base a queste ultime, oltre al valore aggiunto inizialmente prodotto nell’edilizia si attiverebbe un ulteriore valore aggiunto quasi uguale a quello dello shock iniziale. Un’analisi solida e complessiva dell’impatto dell’incentivo per l’economia italiana è comunque difficile utilizzando solo strumenti macroeconomici (…). Evidenze più robuste potrebbero essere tratte dall’analisi di dati microeconomici, integrati per le famiglie beneficiarie e le imprese che hanno realizzato i lavori, al momento non disponibili”. Dati che, aggiungiamo noi, resteranno probabilmente confinati negli uffici dell’Upb, nella speranza che Istat, prima o dopo, faccia finalmente luce.

 

 

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