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Istat: l’occupazione migliora ma per il Sud è allarme redditi

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C’è una buona notizia e una cattiva per l’occupazione italiana. La buona è che nel primo trimestre 2023 gli occupati sono cresciuti di  mezzo milione: siamo all’ottavo trimestre consecutivo (due anni, quindi) in cui si osserva un aumento tendenziale (anno su anno) dell’occupazione, secondo l’Istat. La notizia cattiva riguarda il Mezzogiorno. È l’unica area d’Italia in cui aumenta la disoccupazione nel primo trimestre 2023, anche se di poco e comunque a fronte di un trend positivo per l’occupazione. Ma soprattutto, dice sempre l’Istat, in assenza di interventi sull’occupazione e sulla produttività, la forbice tra il reddito dei cittadini del Sud (calcolata come Pil pro-capite a parità di potere di acquisto) e la media Ue, nel 2030, è destinata ad allargarsi ancora di più.

La ‘colpa’, dice l’Istat, è proprio del ritardo dell’occupazione, soprattutto nelle regioni del Sud. E in futuro la situazione potrebbe peggiorare: “Le recenti tendenze demografiche in atto in Italia, in particolare nel Mezzogiorno, fanno presupporre che invecchiamento e spopolamento possano in futuro contribuire ad ampliare i divari in termini di reddito con il resto d’Europa”, dice l’istituto.

I dati emergono dall’analisi dell’istituto sulla politica di coesione, ovvero la politica di investimento dell’Unione europea che cerca di ridurre il divario tra i livelli di sviluppo delle varie regioni del continente, e che prevede risorse ingenti: tra 20212027, assorbirà 330 mld di euro, ricorda l’Istat.

Queste politiche in Italia coinvolgono 19 milioni di abitanti, e un numero crescente di regioni. Il risultato negli ultimi 20 anni? Le regioni italiane continuano a crescere molto meno della media dei 27 Paesi Ue. Anzi, vanno sempre peggio. “Ma è l’intero sistema Paese Italia che si è contraddistinto per un processo di progressivo allontanamento dal dato medio europeo”, dice l’Istat.

Puglia, Campania, Sicilia e Calabria tra le regioni peggiori d’Europa

Nel 2000 erano 10 le regioni italiane fra le prime 50 per Pil pro capite a parità di potere d’acquisto, ovvero il criterio tenuto in considerazione per la ripartizione delle risorse.

Venti anni fa, inoltre, non c’era nessuna regione italiana tra le ultime 50 della classifica. Nel 2021 fra le prime 50 ne sono rimaste solo quattro (Provincia autonoma di Bolzano, Lombardia, Provincia autonoma di Trento e Valle d’Aosta). LUmbria (60 posizioni) e poi il Lazio, il Piemonte, la Liguria, la Toscana e il Molise hanno perso oltre 40 posizioni in graduatoria.

Inoltre, fra le ultime 50 regioni ora se ne trovano ben quattro italiane: Puglia, Campania, Sicilia e Calabria.

Secondo l’istituto il divario crescente in termini di reddito fra il Mezzogiorno italiano e l’Ue27 è spiegato interamente dal tasso di occupazione: è inferiore alla media Ue di ben 20 punti percentuali. Il tasso di occupazione nelle regioni italiane meno sviluppate ha registrato negli ultimi tre cicli di programmazione delle politiche di coesione un andamento di gran lunga meno positivo rispetto, sia al dato nazionale, sia al dato medio dell’Ue27.

“Nelle regioni meno sviluppate italiane c’è stato invece un lento ma costante declino nei due cicli di programmazione 20002006, 20072013, determinato in particolare dalla Campania, Calabria e Sicilia. In queste regioni il tasso di occupazione si è ridotto di ben 2 punti percentuali. Solo negli ultimissimi anni si è assistito ad un parziale recupero”.

Solo nel corso dell’ultimo ciclo di programmazione 2014-2020 di politiche di coesione è divenuta determinante, oltre all’occupazione, anche la “produttività del lavoro”, inferiore alla media Ue 27 di 9 punti percentuali.

In 20 anni le politiche di coesione avrebbero quindi funzionato solo in parte: tra 2000 e 2021 “si è realizzato solo parzialmente un processo di avvicinamento, che ha interessato in particolare le regioni che partivano da livelli più bassi di reddito, quasi tutte appartenenti agli Stati membri dell’Europa orientale. La mancata convergenza ha penalizzato le economie regionali, oltre a quella della Grecia, anche della Francia, della Spagna e, soprattutto, dell’Italia”.

La Polonia, la Spagna, l’Italia e la Romania sono gli Stati membri maggiormente coinvolti dai tre cicli di politiche di coesione analizzati (2000-2006, 2007-2013 e 2014-2020). Mentre per gli altri negli ultimi anni è cambiata la percentuale di popolazione interessata, l’Italia ha mantenuto stabile il suo coinvolgimento in termini di popolazione (oltre 19 milioni di abitanti) e ha ampliato il numero di regioni coinvolte.

I numeri dell’occupazione

Intanto, però, migliora l’occupazione l’Italia. Anzi, continua a migliorare ininterrottamente da due anni. Nella nota sul mercato del lavoro nel primo trimestre l’Istat indica un aumento di 513 mila occupati rispetto al primo trimestre 2022 (+ 2,3%) e una crescita rispetto al trimestre precedente di 104 mila unità (+0,4%).

Nell’analisi sul primo trimestre 2023 le differenze tra territori italiani sono sicuramente meno negative rispetto alle prospettive sul lungo periodo. L’aumento del tasso di occupazione è superiore nel Nord (+1,7 punti in un anno) e nel Mezzogiorno (+1,5 punti) rispetto al Centro (+1,1 punti); il tasso di disoccupazione diminuisce di -0,8 punti nel Nord
e di -0,5 punti nel Centro, mentre è in lieve aumento nel Mezzogiorno (+0,1 punti); il calo del tasso di inattività è maggiore nel Mezzogiorno (-1,9 punti) rispetto al Nord (-1,2 punti) e al Centro (-0,8 punti).

Anche nell’analisi compiuta dall’Istat sulle differenze odierne rispetto al periodo pre-pandemico, se si confronta il primo trimestre 2023 con il primo trimestre 2019, i divari territoriali (e anche quelli generazionali) sono diminuiti; nel Nord gli effetti negativi della pandemia sul mercato del lavoro sono stati più marcati, e questo ha comportato una riduzione del gap territoriale, che rimane comunque particolarmente elevato: da 24,3 punti del primo trimestre 2019 a 21,7 punti del primo 2023.

Tra gli altri dati diffusi dall’Istat:

  • Il tasso di disoccupazione risale all’8% nel primo trimestre 2023 con un aumento di 0,1 punti rispetto al trimestre precedente e un calo di 0,5 punti rispetto all’anno precedente.
  • L’incremento congiunturale della disoccupazione si accompagna a un aumento del tasso di occupazione che sale al 60,9% (+0,3 punti sul trimestre, +1,5% sull’anno) e un calo del tasso di inattività 15-64 anni che scende al 33,7% (-0,4 punti sul trimestre, -1,4 sull’anno).
  • I disoccupati sono 2.013.000, 23 mila in più dei tre mesi precedenti (-76.000 rispetto a un anno fa), mentre gli inattivi di 15-64 anni sono 150 mila in meno, a quota 12.535.000.

Aumenta il costo del lavoro

Tra gli altri dati sul primo trimestre 2023, l’Istat segnala un “rilevante” aumento del costo del lavoro.

L’input di lavoro, misurato dalle ore lavorate, è aumentato dell’1,3% rispetto al trimestre precedente e del 3,3% rispetto al primo trimestre 2022.

L’aumento, calcolato con le Unità di lavoro dipendente (Ula), nel primo trimestre “raggiunge valori tra i più alti in serie storica”. Rispetto al trimestre precedente il costo del lavoro è stato dell’1,8%. Sono aumentate le retribuzioni (+1,2%) e, in misura maggiore, gli oneri sociali (+3%).

Anno su anno la crescita è ancora più grande (+3,9%), con un +3,4% per la componente retributiva e un +5,4% e per gli oneri sociali. All’aumento delle retribuzioni concorrono “gli importi una tantum”, mentre l’aumento degli oneri sociali è legato al “restringimento degli interventi di decontribuzione del 2021-2022”.

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