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Il lavoro al centro. Come passare dalla fuga di cervelli alla circolazione dei talenti

Il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella ha recentemente dichiarato che lavorare all’estero non dev’essere una scelta obbligata per i nostri giovani, auspicando il passaggio dal fenomeno della fuga di cervelli a quello della circolazione dei talenti.

Se davvero la volontà è quella di rendere l’Italia un Paese attrattivo, è necessario ragionare in chiave strategica sugli asset su cui si vuole puntare per il futuro, ripartendo dalle eccellenze del passato. Che Paese vogliamo essere? Una grande Disneyland a forma di stivale o un luogo di valorizzazione per i privati e per il business, con slanci di innovazione predittiva che possano trainare anche le altre economie internazionali? Certamente l’Italia può porsi come straordinaria piattaforma turistica, ma il turismo deve essere considerato una leva per l’attrattività, un valore aggiunto per riposizionare il ‘lavoro’ al centro del sistema, stimolando nuovi flussi ed una rinascita industriale.

Ripercorrendo in un fil rouge le filiere dell’economia italiana dal Dopoguerra ad oggi, è facilmente rintracciabile il ruolo pionieristico a livello internazionale delle nostre industrie storiche, strategiche in termini di interesse nazionale. Dal settore automobilistico con Fiat e Ferrari a quello della meccatronica, passando per il tessile e la moda con Armani, Versace, Gucci, Prada, fino alla tecnologia meccanica applicata al calcolo con Olivetti e alla chimica con Montedison.

Nel tempo sono intervenuti molti cambiamenti nelle governance e nella vita stessa di diverse aziende, che hanno vissuto in alcuni casi complessità finanziarie, con conseguenti fallimenti o acquisizioni spesso da parte di investitori stranieri. In altre circostanze si sono manifestate criticità a causa della poca adattabilità al cambiamento, condizione ormai necessaria per affrontare sfide costanti e cavalcare le sempre nuove tendenze di mercato. Proprio la parabola della Olivetti è esemplare in tal senso: dopo aver progettato quello che molti hanno definito il primo personal computer della storia, l’azienda nostrana fondò l’Olivetti Advanced Technology Center – nella stessa Cupertino della Apple, in piena Silicon Valley – che contava oltre 170 tra ricercatori ed esperti in informatica.

Riscoprire quel dinamismo è fondamentale in un momento in cui innovazione e investimenti in ricerca e sviluppo sono quantomai essenziali per rimanere competitivi, in un Paese che negli ultimi anni ha invece riscontrato grandi difficoltà.

È dunque cruciale recuperare un approccio strategico volto a rafforzare gli asset e le filiere industriali di grande peso, anche attraverso l’individuazione delle migliori competenze per perseguire questo obiettivo. Un compito non semplice se consideriamo anzitutto la dimensione imprenditoriale del nostro Paese, che occupa più del 40% dei propri addetti in micro imprese (in Germania sono meno del 20%).

Non bisogna andare troppo lontano per individuare approcci virtuosi, potendo guardare alle eccellenze della storia industriale italiana. Enrico Mattei portò l’Eni a diventare un colosso internazionale circondandosi delle migliori menti in circolazione, in un approccio incredibilmente attuale che mirava ad una profondità ed una trasversalità di competenze e know-how. Al contempo ha puntato su percorsi costanti di aggiornamento professionale e su attività di ricerca e sperimentazione forse del tutto nuovi per l’Italia dell’epoca.

Per favorire la “circolarità dei talenti” auspicata dal Presidente Mattarella, è dunque fondamentale far tesoro di queste esperienze per costruire nuovi corsi e ricorsi storici: focalizzare le energie in azioni che consentano all’Italia di distinguersi ancora per creatività e capacità di visione potrebbe portarci ad eccellere sul piano tecnologico e ad essere riconosciuti per le brillanti menti nostrane.

 

* Managing director Futuritaly e curatrice della rubrica ‘Il Valore delle Competenze’

 

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