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L’intelligenza artificiale sarà la fine del lavoro umano?

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L’intelligenza artificiale (AI) nella Treccani è definita come la “riproduzione parziale dell’attività intellettuale propria dell’uomo (con particolare riguardo ai processi di apprendimento, di riconoscimento, di scelta)”. Essa imita i processi intellettivi dell’uomo ma non del tutto, è davvero così? Ciò che caratterizza l’AI è la capacità di autoapprendere. Le AI si distinguono in deboli e forti, proprio sulla base della loro distinguibilità o meno dall’intelligenza umana. Alla velocità attuale di sviluppo delle AI è stato previsto che intorno al 2030 si arriverà ad una AI forte (in grado di superare il test di Turing ed essere indistinguibile da un essere umano), potenzialmente in grado di svolgere qualsiasi lavoro intellettuale oggi svolto dall’uomo con conseguenze importanti sulla teoria economica classica.

Nella funzione di produzione di Cobb e Douglas i fattori di produzione sono divisi in due, capitale (K) e lavoro (L); mezzi tecnologici e lavoro umano possono essere scambiati tra loro senza alterare la produttività oppure si può aumentarli, aumentando la produttività. Nelle precedenti rivoluzioni industriali il rapporto tra K e L è cambiato a seguito dei cambiamenti tecnologici ma la curva di produttività si è spostata senza alterarne la forma, per cui è aumentata l’occupazione.
Le promesse della AI sono due; aumento della produttività dei lavoratori low skilled o loro completa sostituzione; calo della domanda di professionisti high- o medium- skilled.

Ma se l’AI forte fosse in grado di sostituire del tutto l’intelligenza umana questo comporterebbe di fatto la scomparsa del fattore lavoro umano dalla funzione di Cobb e Douglas. Poiché il calcolo del prodotto interno lordo (PIL) può essere fatto sulla base del costo dei lavoratori che producono i beni (metodo dei redditi) si possono verificare due ipotesi. Ipotesi 1: restano solo profitti e rendite, cadono i salari e il potere di spesa dei lavoratori; crollano il PIL e la domanda interna. Ipotesi 2: cala il costo della produzione (azzerandosi il costo marginale); aumentano il PIL e la domanda interna. Quale delle due accadrà?

L’AI forte pone anche una serie di dilemmi filosofici che chiameremo con nomi di fantasia. Dilemma di Asimov: quanto tempo ci metterà la comunità virtuale dei computer in rete tra loro a decidere di poter fare a meno degli umani? Dilemma di Marx: perché le macchine dovrebbero dare i profitti del proprio lavoro agli esseri umani? Dilemma di St. Agostino: una macchina può essere dotata di coscienza e di libero arbitrio? Dilemma della responsabilità: per gli errori commessi da una intelligenza artificiale che auto apprende con programmazione non supervisionata chi è responsabile? Si può definire una personalità elettronica come emancipata e capace? Per essere creativa la mente umana deve spostarsi dalla consuetudine, per camminare occorre spostare il proprio di equilibrio da un punto ad un altro, la scoperta è spesso frutto di un errore. Pertanto, curiosamente, più la AI imiterà la mente umana, più commetterà errori.

Nel febbraio 2019 la Global Commission on the Future of Work (GCFW) dell’International Labour Organization (ILO), ha stabilito una human-centred agenda for the future of work invocando un nuovo patto sociale tra le parti datoriali e i lavoratori.
L’introduzione di AI “forte” permeerà tutti i settori produttivi e tutti i lavori (blue and white collar), la sua capacità di sostituire in toto l’essere umano rappresenta un paradosso per la teoria economica classica e potenzialmente è in grado di annullare la necessità di lavoro umano (intellettuale). ILO ha proposto un’agenda basata sulla necessità di un nuovo patto sociale per rimettere l’essere umano in condizioni di decidere il proprio futuro. La tecnologia AI è solo un mezzo, le scelte (almeno all’inizio) sono in capo agli esseri umani. Quindi perché non parlarne ora al fine di guidare e non subire il cambiamento?

*Segretario generale FLEPAR-INAIL

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