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Non basta un leader per guidare un’impresa, serve un leadership team

Per comprendere meglio la cultura che viviamo nel lavoro, le convinzioni che hanno portato alle organizzazioni che viviamo, dobbiamo fare i conti con la nostra storia. Le convinzioni si stratificano nel tempo, nelle persone e nei gruppi di persone che vanno a condividere un
obiettivi comuni e uno scopo comune a cui contribuire. Così accade anche con il lavoro e con le imprese.

Anzi possiamo considerare che le convinzioni condivise da più persone sono ancora più forti di quelle che vanno a consolidarsi nella singola persona. Noi esseri umani siamo, infatti, relazionali per natura e lasciamo traccia in un modo del tutto particolare: attraverso il lavoro e la cura (fatti di tecnica, comprensione e cura delle cose) condividiamo continuamente informazioni intorno a noi e con gli altri, attraverso le diverse forme del linguaggio, dalla parola scritta all’architettura e le diverse forme di arte. Questo rende la cultura così potente. Potentemente efficace se adeguata al contesto, ma anche potentemente nociva se non adeguata.

La domanda che ci poniamo è quanto siamo ancora figli di tempi passati ed in un certo senso “andati”, soprattutto se pensiamo al contesto esterno che ci sta invece chiedendo di rivedere la nostra comprensione del lavoro e le nostre priorità per prenderci cura di noi stessi e del comune oikos (aiuta ricordare che casa ed economia hanno la stessa radice etimologica). Serve inoltre fare questo molto più collettivamente, valorizzando le diversità e mediante un ‘adattamento generativo’ di nuove prassi.

Quanto siamo però ancora condizionati da convinzioni che sono nate in fasi passate e che si sono consolidate nel tempo?

La seconda rivoluzione industriale viene collocata intorno al 1870. Una delle operazioni più note nella sua narrazione, fu quella che si riconduce a Henry Ford, con l’idea di produrre un unico modello di auto, perfino nella definizione del suo colore: nero.
L’ambizione di Ford era positiva: rendere quel prodotto accessibile a quante più persone possibili. Siamo nell’era di un lavoro, metodi ed organizzazioni che enfatizzano alcuni specifici tratti:

  • Standardizzazione
  • Separazione della idea, strategia dalla operatività, esecuzione
  • Il Cascading come modello di interazione interna: poche persone che decidono e comunicano unilateralmente verso molte
  • Il piano come fine: un piano ben fatto richiede solo di essere controllato nella sua attuazione

 

La terza rivoluzione industriale, associata ad automazione, computer ed elettronica, viene identificata intorno al 1970. Questo significa che abbiamo vissuto circa 100 anni di lavoro ed organizzazioni fondati sui paradigmi citati.

Quanto è ancora fermo nelle nostre teste e, ancora più complesso, nella nostra rete di teste connesse che è la cultura generale del lavoro e delle organizzazioni?

Nel 1985 due economisti, Warren Bennis e Burt Nanus, tratteggiano il contesto attraverso l’acronimo VUCA: volatile, incerto, complesso ed ambiguo. Più recentemente, l’antropologo e futurista Jamais Cascio rinnova questa visione attraverso l’acronimo
BANI: fragile, ansioso, non lineare, incomprensibile. Interessante anche chi lo ha interpretato come l’insieme delle illusioni con cui ci siamo ingannati:

  • Illusione della forza
  • Del controllo
  • Della prevedibilità
  • Della conoscenza

 

Si comprende quanto sia diverso il contesto corrente da quello che abbiamo affrontato attraverso paradigmi e convenzioni della seconda rivoluzione industriale. E forse quel nostro modo di approcciare al contesto e alla vita come stabili e controllabili sono stati davvero solo una temporanea illusione. Il lavoro e l’economia sono sistemi umani, sono parte della natura. La vita, per sua natura, non è stabile e non si controlla: evolve, va accolta, compresa e appunto vissuta.

Eppure, torniamo allo sguardo al nostro lavoro e alle nostre organizzazioni e vediamo ancora pochi uomini (anche in termini di genere) soli al comando, focalizzati su

  • Osservanza di norme e procedure
  • Esecuzione di ordini a cascata
  • Efficienza e produttività

 

Ma non c’è cosa più rischiosa di usare una mappa sbagliata per navigare nuove acque. E tra l’altro queste acque mettono in discussione la stessa idea di usare una mappa di sentieri già tracciati. In un contesto in continuo cambiamento non c’è flowchart che tenga. Piuttosto dovremmo assicurarci di avere una buona bussola: che siano i adeguati valori e le convinzioni, per ridisegnare la mappa ogni volta che sia necessario.

Ancora una volta proponiamo la massima attenzione alla cultura che stiamo nutrendo, consapevolmente o inconsapevolmente. Uno degli elementi culturali oggi fondamentali è a nostro avviso una visione che guardi non più all’individuo come risposta alle grandi sfide, ma invece al capitale sociale, relazionale: la qualità del nostro stare insieme, la qualità delle nostre relazioni e conversazioni, gli obiettivi e le finalità che ci tengono insieme come esseri umani e cittadini. Il senso di comunità è il vero collante da riscoprire nelle organizzazioni, che per troppo tempo si sono affidate solo a contratti, norme e procedure, a spazi e tempi condivisi.

Ma come possiamo evolvere in un paradigma di impresa comunità di persone se ancora affidiamo le imprese a uomini soli al comando?

Questa la provocazione: nella leadership dobbiamo trovare il primo segno di questa rinnovata vita comunitaria, anche e forse proprio a partire dal lavoro. Per i tempi che viviamo non basta un leader per guidare una impresa, serve un leadership team.

In molte organizzazioni piatte ed orizzontali troviamo sì una gerarchia più appiattita, ma spesso con un comando ancora più individuale e centralizzato. Un Ceo ancora più solo alla guida, semplicemente con un numero maggiore di riporti come conseguenza della riduzione dei livelli gerarchici. Negli anni abbiamo visto tante storie di aziende narrate attraverso un solo nome e cognome. Le biografie dei Ceo come coloro che hanno fatto la differenza. Ci domandiamo: dove erano i loro stretti collaboratori? Dove era il loro team, la loro comunità di persone, anche nella cerchia più ristretta? 

Le acque che dobbiamo attraversare sono in continuo cambiamento, serve un approccio alla natura delle cose che sostituisca le convinzioni consolidate nella seconda rivoluzione industriale con:

  • Vivere i processi come perennemente in compimento
  • Accogliere la continua revisione e iterazione
  • La funzionalità come solo parte della vita al lavoro, da completare con la espressione personale e la vita sociale
  • Non perseguire solo la produttività, efficienza e velocità, ma completarla con l’attenzione alla armonia ed integrazione

 

Tutto questo deve accadere innanzitutto alla guida dell’impresa. Ci sarà in ogni caso una vita nella guida delle organizzazioni. Il carattere di questa specifica vita influenzerà ovviamente molto la cultura che si andrà ad ingenerare nel resto della organizzazione. Riteniamo anche che l’impresa sia oggi uno dei soggetti più influenti per la nostra società, anche per le difficoltà che vivono altre “istituzioni” in termini anche reputazionali, come la politica ed i media. La qualità della vita nell’impresa può essere risorsa per il progresso sociale. Per l’impresa è una grande opportunità di essere segno di un rinnovato modo del nostro stare insieme.

Quale allora la vita nella direzione della impresa? Alcune domande che meritano di essere approfondite:

  • Uomini soli al comando o team che superano le individualità per impegnarsi insieme in un bene comune che è il purpose dell’impresa, che viva oltre la pagina internet e i documenti di reporting?
  • Scambi puramente transazionali (cosa posso farti avere, cosa ottengo da te) o un generare insieme nuove risposte, accogliendo il nuovo che ci si presente davanti?
  • Interazioni con strati di non detto e comunicazioni manipolative, o conversazioni sincere, dialoghi basati su una sana “abrasione creativa” per crescere e prendere decisioni migliori?

 

Si narra una storia ricondotta a Mahatma Gandhi. L’aneddoto riguarda una madre che portò a lui suo figlio perché il ragazzo faceva un eccessivo consumo di dolci. La madre sperava che Gandhi potesse dare qualche consiglio al bambino per aiutarlo a rinunciare a questa cattiva abitudine. Quando la madre chiese a Gandhi di parlare con suo figlio, Gandhi le rispose: “Per favore torna tra due settimane”. Due settimane dopo, la madre riportò di nuovo suo figlio da Gandhi, che guardando il ragazzo negli occhi disse: “Figlio, smetti di mangiare tutti questi dolci. Non è bene per la tua salute”. La madre era confusa e chiese a Gandhi perché avesse dovuto aspettare due settimane prima di
dare questo consiglio al suo figlio. Gandhi rispose: “Due settimane fa, stavo ancora mangiando troppi dolci”.

Alla guida delle imprese deve già avvenire il segno della cultura collaborativa e generativa che vogliamo vedere realizzata nelle imprese. Richiamiamo tutte le persone che animano le imprese a viverle come comunità di persone. Questo difficilmente si potrà realizzare senza un cambiamento nella vita al vertice delle imprese: un passaggio da una vita individuale ad una vita sociale, un passaggio dall’affidamento alle capacità di “uomini forti al comando” ad un team che sia innanzitutto il primo segno di cura, generatività ed esplorazione collaborativa.

Il prossimo libro che non racconterà la vita di un Ceo ma quella di un Leadership Team sarà la conferma che qualcosa sta evolvendo.

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