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Lavoro, la flessibilità attrae il doppio rispetto alla presenza in ufficio a tempo pieno

smart working lavoro ufficio

A due anni dall’inizio della battaglia per il ritorno in ufficio, sta diventando evidente che i suoi più strenui sostenitori si trovano di fronte a venti contrari. Secondo una nuova ricerca, le aziende che seguono le orme di Goldman Sachs e JPMorgan, imponendo il ritorno in ufficio a tempo pieno, potrebbero involontariamente rendersi poco attrattive per chi cerca lavoro.

Secondo un’analisi di oltre 4.500 aziende condotta da Scoop – una società di software che monitora le politiche aziendali – e da People Data Labs – un’azienda di tecnologia dei dati – le aziende con politiche di lavoro flessibili o ibride sembrano assumere persone a un ritmo circa due volte superiore rispetto a quelle che richiedono la presenza a tempo pieno.

La ricerca ‘The Flex Index July 2023 Job Growth Report’ sostiene che una qualche forma di lavoro flessibile sia l’unico modo utile per le aziende che vogliono mantenere un vantaggio competitivo nel mercato del lavoro. Nonostante le proteste per la crescente pressione a tornare a lavorare in smart working, molte imprese hanno proseguito con i loro piani di ritorno in ufficio, con circa un milione di lavoratori – solo negli Stati Uniti – che si prevede tornerà alle postazioni di lavoro a partire da settembre. Ascoltare le lamentele dei lavoratori riguardo al ritorno forzato alla scrivania è importante, perché essi mostrano esattamente ciò che sta pensando chi cerca lavoro in questo momento.

Negli ultimi tre mesi, l’analisi di Scoop Technologies ha rilevato che le aziende ‘totalmente flessibili’ – ovvero quelle in cui tutti i dipendenti lavorano da remoto o hanno completa autonomia sulla scelta di recarsi in ufficio – hanno aumentato il numero dei dipendenti in media del 1,9%. Nel frattempo, quelle con politiche di lavoro ‘ibride strutturate’ sono cresciute del 1,5%. In confronto, le aziende che richiedevano la presenza a tempo pieno hanno aumentato il numero dei dipendenti solo dell’1,8%.

La ricerca suggerisce ai datori di lavoro di non considerare questi dati come una temporanea reazione alla rapida ondata di politiche di ritorno in ufficio. L’analisi dei ricercatori risale infatti a questo periodo dell’anno scorso, durante le cosiddette ‘Grandi Dimissioni’, quando l’indicazione di tornare in ufficio era ancora poco diffusa. Nell’arco degli ultimi 12 mesi, le aziende ‘totalmente flessibili’ hanno incrementato il numero dei dipendenti del 5,6%, che è sceso leggermente al 4,1% per le ‘aziende ibride’. Nel frattempo, le ‘aziende a tempo pieno in ufficio’ hanno visto una crescita del 2,6% – meno della metà del tasso delle ‘aziende flessibili’. La combinazione di spostamenti costosi, pranzi tristi davanti al computer e la spesa per il servizio di assistenza ai bambini fa sì che i lavoratori ‘in presenza’ guadagnino quasi il 10% in meno rispetto ai loro colleghi che lavorano da remoto. Non sorprende quindi che le imprese che permettono al personale di svolgere il lavoro da casa stiano avendo maggior successo con chi cerca lavoro.

La ricerca evidenzia, inoltre, che i lavoratori non vogliono essere obbligati a recarsi in ufficio: più giorni in ufficio un datore di lavoro imponeva, più difficoltà incontrava nel reclutare personale. Nel frattempo, le aziende ibride che hanno stabilito i giorni in ufficio, piuttosto che un requisito minimo di giorni lavorativi a settimana più flessibile, hanno sperimentato un tasso di crescita del personale leggermente più lento. Altre ricerche hanno evidenziato che le persone sono più propense a tornare in ufficio quando è una scelta personale, piuttosto che un obbligo. Unispace (spazi di coworking, ndr) ha scoperto che circa un terzo dei lavoratori si sentiva felice, motivato ed entusiasta all’idea di tornare in ufficio, ma questi sentimenti diminuivano per coloro che erano costretti a farlo.

Sembra inoltre che tre giorni a settimana in ufficio siano il limite per chi si candida ad una posizione. La ricerca di Flex Index mostra che le aziende che imponevano una settimana di quattro giorni in ufficio hanno registrato una significativa diminuzione della crescita del personale, mentre quelle che si aspettavano che il personale si recasse in ufficio tra uno e tre giorni a settimana hanno sperimentato livelli simili di crescita.

Secondo il rapporto “il tasso di crescita del personale non è un indicatore perfetto della crescita economica, ma è probabile che le aziende che stanno aumentando il numero dei dipendenti siano anche quelle che stanno aumentando le vendite. In altre parole, la crescita economica sembra essere superiore per quelle aziende che offrono flessibilità”. È per questo che i ricercatori affermano di aspettarsi a lungo termine una diminuzione del numero di aziende che perseguono piani di ufficio a tempo pieno e che invece preferiranno modelli ibridi “che riflettano meglio le esigenze della forza lavoro”.

L’articolo originale è disponibile su Fortune.com.

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