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Nucleare, tra piccoli reattori e il sogno fusione: le opzioni per l’Italia

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Dopo l’annuncio del ministero dell’Ambiente di una nuova ‘Piattaforma per il nucleare sostenibile’ (prima convocazione prevista il 21 settembre) il percorso dell’Italia verso un ritorno all’atomo sembra segnato, nelle intenzioni degli esponenti del Governo. Matteo Salvini, ad esempio, parla di arrivare a un impianto in Italia in 10 anni, nonostante la difficoltà di reintrodurre una fonte energetica abbandonata dalla fine degli anni 80. Ma quali sono le opzioni che l’Italia avrebbe a disposizione nel caso i piani del Governo si concretizzassero? “Difficile che si possa arrivare a un risultato concreto che produce energia elettrica prima di 10-15 anni”, dice Alessandro Dodaro, direttore del Dipartimento nucleare dell’Enea, sulle strade a disposizione dell’Italia per intraprendere un percorso sul nucleare.

Nucleare, cosa manca all’Italia

Secondo il World nuclear performance report 2022 della World nuclear association (Wna), per la costruzione di una centrale ci vogliono almeno tra i 7 e i 10 anni, e questo, dice Dodaro, “se ci sono tutte le condizioni al contorno per poter iniziare la costruzione. Oggi in Italia manca ancora qualcosa, per questo: manca un quadro normativo adeguato, perché la legislazione non lo prevede, e manca l’accettazione pubblica del nucleare, che non c’è: bisogna informare le persone. Oggi prevale la paura di qualcosa che non si conosce”.

Dodaro fa l’esempio della Cnapi, la Carta nazionale delle aree potenzialmente idonee a ospitare il Deposito nazionale dei rifiuti radioattivi: tra le 67 aree individuate nessuna si è candidata per avere il deposito, difficile quindi ottenere candidature per una nuova centrale.

Al di là della questione dello smaltimento delle scorie ancora non risolta, l’individuazione sarebbe quindi un problema importante. “Sì, perché se già ora non si vuole un deposito nazionale che è a pericolo zero (se uno sa di che si tratta) sarebbe strano se ci fossero candidature”, dice Dodaro.

Anche la quarta generazione del nucleare non ha quindi fatto breccia in queste insicurezze, secondo Dodaro. “Sicuramente il livello di sicurezza è aumentato ma l’accettazione no, perché non è stata mai fatta una campagna di informazione della popolazione, e finché non si farà non credo che il livello di accettabilità possa crescere”.

La quarta generazione e i reattori raffreddati al piombo

La tecnologia al centro dei piani italiani sarebbe con ogni probabilità, inizialmente, quella di Smr e Amr, ovvero Small modular reactor (fino a 300 megawatt di potenza) e Advanced modular reactor che probabilmente la quarta generazione del nucleare, i cui reattori, nelle intenzioni, costituiscono reattori a fissione più sicuri e sostenibili di quelli protagonisti delle generazioni precedenti.

La strada scelta dal nostro Paese probabilmente dovrebbe prevedere i reattori veloci refrigerati al piombo (Lfr, Lead-cooled fast reactor), che rappresentano la stragrande maggioranza delle attività di ricerca e sviluppo in Italia nel settore.

Nucleare, una lunga lista di cosa fare prima di costruire

In quei 10-15 anni che servirebbero ad arrivare a un risultato concreto che abbia un impatto nel mix energetico italiano, la lista di cose da fare è lunga, dice Dodaro. “Si deve adeguare il quadro normativo, informare la popolazione, ricostituire una filiera che c’è, ma che non è naturalmente completa e pronta per l’uso, anche se abbiamo grandi competenze e know-how”.

Il ruolo nel mix energetico italiano

Ipotizziamo che si riesca a fare tutto. Che ruolo potrebbe avere il nucleare nel mix energetico italiano? Pensando a uno scenario energetico completamente decarbonizzato e autonomo da fonti di altri Paesi, molto difficile da realizzare, “la mia idea – dice Dodaro – è che si dovrebbe arrivare con le rinnovabili a garantire il 70% del fabbisogno energetico nazionale, dopo di che basterebbe un 25-30% di nucleare per evitare di utilizzare il gas o di importare energia dell’estero. Questo sarebbe un mix ideale”. In Italia, secondo un paper dell’Associazione italiana nucleare, sostituendo circa 140 TWh/anno di produzione energetica da gas naturale con energia nucleare, le emissioni evitate al 2050 sarebbero di 67 milioni di tonnellate di CO2eq all’anno.

Nucleare, abbiamo abbastanza ingegneri?

Un primo ‘nucleo’ del settore, se si parla di imprese, in Italia c’è: Ansaldo Energia, attraverso Ansaldo Nucleare, è l’azienda più attiva, ma anche giganti come Eni e Enel hanno iniziative, lanciate di recente. Senza contare la giovane newcleo dell’imprenditore Stefano Buono, che continua a raccogliere capitali mentre lavora a piccoli reattori raffreddati al piombo che riutilizzino combustibile esausto.

Una delle sfide principali è quella delle competenze: abbiamo abbastanza ingegneri e fisici per una filiera del nucleare? Quanto dovremo aspettare anni per averne abbastanza? “Sicuramente bisogna vedere quale è il piano – dice Dodaro – Se uno vuole costruire dieci centrali contemporaneamente la risposta è no, non possiamo, non abbiamo il personale. Se si fa una cosa graduale le persone si possono formare nel periodo propedeutico alla costruzione delle centrali, aumentando sia il numero di operatori del nucleare sia potenziando le industrie italiane che hanno già una certa capacità. Non è possibile pensare di dare una filiera del nucleare in Italia con solo quello che abbiamo disponibile oggi”.

Servirebbero quindi investimenti, ma chi li dovrebbe sostenere? “Il privato è fondamentale”, dice Dodaro. “Devono essere le industrie a costruire le centrali, non dovrebbe essere lo Stato come succede altrove. Il pubblico deve supportare ed aiutare ma il ruolo da leone dovrebbero averlo le industrie, perché sono loro a dover poi costruire e gestire le centrali”.

Ma è realistico aspettarsi che una cosa del genere accada? Secondo Dodaro in alcuni casi già è così: fa l’esempio di Westinghouse, un’azienda privata molto attiva nel settore a livello internazionale, che sta lavorando con Ansaldo. “Non è vero che il nucleare lo fanno solo gli Stati. Certo, il Governo deve controllare con una golden share per non lasciare una tecnologia particolarmente importante tutta in mano ai privati”, dice Dodaro.

I costi del nucleare: pesano tassi e inflazione

Le stime economiche su quali potrebbero essere i costi della creazione del nucleare in Italia sono premature, dice Dodaro, perché è da poco che si sta pensando di riavvicinare il nostro Paese all’atomo. Ma lo scienziato dell’Enea dice che il kilowattora prodotto dal nucleare è più economico di quello prodotto da altre fonti senza emissioni di CO2.

“Il costo dell’energia va considerato nel suo insieme: non quanto costa produrre il kilowattora di per sé, ma all’interno di tutto il ciclo vita della produzione (ad esempio dalla costruzione di una centrale fino allo smaltimento) e anche quanto si produce nell’arco del tempo”. Se si considera questo tipo di costo dell’energia, dice Dodaro, “sicuramente il nucleare ha un Lcoe (Levelized cost of energy, che misura appunto il valore del costo unitario dell’energia elettrica in relazione alla durata del bene che la genera) molto basso”, dice Dodaro. A definire il costo dell’energia elettrica da nucleare concorrono il costo di impianto, il costo di esercizio, di smantellamento, di smaltimento del combustibile e della gestione in sicurezza dei rifiuti radioattivi.

Secondo un report del 2020 dell’Iea sui costi della generazione dell’energia, il costo del terawattora proveniente dall’atomo è effettivamente il più economico tra le opzioni low-carbon, anche se l’agenzia fa riferimento alle centrali già esistenti e all’estensione del loro ciclo di vita attuale. Ciò non toglie che l’Agenzia internazionale dell’energia, per quanto stimi nel 2050 una quota del nucleare di appena l’8% nel mix energetico, prevede che la produzione nucleare debba aumentare per raggiungere gli obiettivi di decarbonizzazione.

Nel nucleare il costo di impianto è quello che costituisce la parte preponderante; il combustibile, la materia prima utilizzata, costituisce soltanto meno del 10% del costo del kilowattora. Tra gli obiettivi della quarta generazione del nucleare c’è proprio l’aumento della competitività del costo dell’energia passando dall’efficienza degli impianti e dallo sfruttamento del combustibile e minimizzando la quantità di rifiuti radioattivi a lunga vita.

Eppure, sui costi delle nuove tecnologie ci sono delle incognite importanti: i costi per i nuovi reattori sono aumentati. “Con tassi di interesse più elevati da affrontare e l’inflazione che fa salire il costo dell’acciaio, del filo di rame e praticamente tutto ciò che serve per costruire un Smr, sappiamo che anche i progetti più promettenti devono dire ai loro investitori e acquirenti che i prezzi sono aumentati sostanzialmente. Evitare, o almeno mitigare, l’aumento dei costi e i ritardi è ora ancora più cruciale”, ha detto a giugno il direttore generale dell’Aiea Rafael Mariano Grossi in occasione di un incontro con i player del settore a Vienna.

Intanto, negli scorsi mesi è arrivata la stima della nonprofit Institute for energy economics su NuScale power corporation, la società più avanti negli Usa nello sviluppo di Smr: secondo il report il costo di produzione a megawatt-ora (non, quindi, l’Lcoe a cui si faceva riferimento prima) è raddoppiato fino a 120 dollari dopo l’aumento dei prezzi dei materiali di cui parla Grossi, come acciaio e rame.

Dodaro dice che “c’è un generalizzato aumento del costo delle materie prime che sicuramente incrementerà anche i costi per i piccoli reattori e il resto. Stiamo sperimentando un aumento sensibile in qualsiasi tecnologia e per qualsiasi materiale. Sì, ci sarà un innalzamento del costo del singolo reattore con conseguente aumento del costo dell’energia elettrica, ma a livelli paragonabili a quelli delle altre fonti rinnovabili, con la differenza che le fonti rinnovabili sono intermittenti e il nucleare no”.

L’esperto dell’Enea ricorda che l’Italia “importa il 71% fabbisogno in elettricità diretta o materia prima, come il gas e appunto il nucleare, secondo i valori del 2021”. In particolare, secondo l’Associazione italiana nucleare, già oggi l’Italia importa energia elettrica prodotta in parte da impianti nucleari dei paesi confinanti, come la Francia: secondo i dati Eurostat, la quota di elettricità che prendiamo Oltralpe è di quasi il 5%.

“Il mio auspicio è che si arrivi a un 70% di rinnovabili, e non il 30% attuale, e il restante di nucleare. Ma è un processo che richiederà decenni. Questo se riuscissimo ad essere completamente autonomi, naturalmente, il che può essere visto come un’utopia”, dice Dodaro.

Il sogno a lunghissimo raggio: la fusione

Ma c’è un’altra opzione sul cammino del nucleare, e non riguarda la fissione ma la fusione. Ovvero il processo che replica sulla terra la reazione che accende le stelle, con l’obiettivo di ottenere energia in modo inesauribile e senza le emissioni di gas serra.

Un’opzione lontana sulla quale, dice Dodaro, l’Italia ha competenze avanzate a livello internazionale. “Con la fusione nucleare il problema è che la tecnologia è ancora lontana a dall’essere utilizzabile”. L’obiettivo (già raggiunto negli Usa, dove si usano metodi diversi da quelli europei) è arrivare al bilanciamento: “Gli americani hanno effettivamente ottenuto il doppio dell’energia immessa; il problema è che per dare quell’energia ne hanno consumata cento volte di più: hanno dato 1 e ottenuto 2, dice Dodaro, ma per avere quell’1 hanno consumato 100; mentre il metodo europeo oggi ha portato al consumo di 3 unità d’energia per ottenerne 0,66.

Quanto ci vuole ancora per arrivare alla fusione? Basta guardare i tempi del reattore dimostrativo Demo (successore del progetto Iter da 20 mld finanziato per metà dell’Ue) che dovrebbe entrare in funzione intorno al 2050.

Sicuramente, più si investe prima si arriva all’obiettivo, spiega l’esperto.

Anche perché, ricorda Dodaro, la fusione nucleare ha già oggi ricadute anche in altri campi, come la superconduttività: i treni a levitazione magnetica sono forse il caso più famoso.

“Grazie agli investimenti sulla fusione, i materiali stanno migliorando a livelli mai visti, come effetto collaterale”.

L’Enea “ponte tra istituzioni e imprese”

L’Enea, secondo quanto riferito dal ministero dell’Ambiente, avrà un ruolo fondamentale in una nuova Piattaforma per il nucleare sostenibile, insieme all’Rse del Mef. Sull’iniziativa del ministro Pichetto Fratin per il momento l’esperto Enea non commenta.

Ma ipotizzando un ritorno italiano al nucleare, l’agenzia sarebbe pronta a una sfida del genere? Dodaro si limita a dire che “l’Enea è un’agenzia che si occupa di trasferimento tecnologico, è il nostro ruolo fare da ponte tra istituzioni e imprese. Già oggi siamo in grado di gestire questo meccanismo”.

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