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La nostra corsa verso il 2050: cosa manca alle scuole e agli atenei italiani

Cosa manca alle nostre scuole e università? Qualcuno direbbe tutto, altri direbbero che il nostro sistema scolastico è il migliore d’Europa. Come spesso accade, la risposta si trova nel mezzo. Se da un lato è vero che i nostri studenti alla fine di un ciclo di studi escono mediamente preparati, dall’altro è innegabile che l’Italia sconti un ritardo importante in termini di rinnovamento del sistema educativo. Questo rappresenta un problema non indifferente, in quanto il mondo va sempre più avanti e noi rischiamo di rimanere sempre più indietro.

Prima c’erano le lavagne e i gessetti, poi sono arrivate le lavagne bianche e i pennarelli, adesso abbiamo le lavagne digitali interattive. Dai pesanti televisori a raggi catodici che venivano trasportati da un’aula all’altra, agli schermi piatti “tuttofare”, le nostre scuole hanno tenuto il passo con le nuove tecnologie. E così sarà anche per le aule del futuro. Abbiamo fatto molta strada dagli anni ’90 e presto ci ritroveremo nel 2050. Il mondo però corre molto più veloce rispetto a 10 anni fa e molti Paesi si sono già adattati a quella che presto diventerà la nostra nuova normalità, anche nel campo educativo.

Secondo uno studio della BBC, entro il 2050 le stampanti 3D saranno un elettrodomestico standard, sia a casa che a scuola. Come strumento didattico, saranno di grande utilità, consentendo agli insegnanti di spiegare concetti complessi grazie a un aiuto visivo: gli studenti potranno maneggiare fisicamente gli oggetti. Vedere da vicino la struttura di un occhio? Facile! Esplorare manufatti archeologici? Nessun problema. Capire il funzionamento di un motore a combustione interna? Possibile. In Cina l’uso delle stampanti 3D nelle scuole è ormai da diversi anni la norma. Il Zhejiang Industry Polytechnic College ad esempio, offre un programma di progettazione meccanica; il college ha istituito un laboratorio di stampa 3D per offrire agli studenti l’opportunità di conoscere la progettazione digitale e la produzione additiva.

Allo stesso modo, anche l’AI diventerà uno strumento di uso comune nelle scuole e negli atenei. Secondo IPSOS, le dimensioni del mercato dell’AI generativa nell’istruzione supereranno circa i 5.523 mln di dollari entro il 2032. Le lavagne interattive saranno dotate di realtà aumentata – dove oggetti virtuali verranno sovrapposti al mondo reale – cosa che sarà particolarmente utile per le materie STEM, consentendo agli studenti di dissezionare digitalmente il cervello umano, analizzare composti chimici e anche confrontare le dimensioni dei dinosauri. Questa tecnologia è già in uso in alcune realtà scolastiche, nelle scuole di Singapore ad esempio, dove fin dalle elementari gli studenti utilizzano la realtà aumentata.

Secondo un rapporto di Goldman Sachs pubblicato un paio di mesi fa, l’AI porterà ad un incremento del PIL mondiale del 7%, il PIL italiano negli ultimi anni ha avuto aumenti tra lo 0.1% e l’1.6%. In questo quadro sarebbe logico pensare che l’Italia si sia già mobilitata per investire nello sviluppo dell’AI. La realtà purtroppo non sempre segue la logica: l’Italia ha destinato solo 150 mln alla ricerca e allo sviluppo dell’AI, che sembrano tanti, ma che sono relativamente pochi rispetto a quelli investiti dai nostri vicini. Siamo sotto la soglia dell’investimento della Francia e anche della Spagna (questi ultimi hanno già dedicato 500 mln di euro del NextGenerationEU per lo sviluppo dell’AI nel Paese).

La corsa verso l’educazione del 2050 è già iniziata e come al nostro solito ce la stiamo prendendo comoda; questa volta però non abbiamo il tempo a nostro favore. Sempre secondo il rapporto di Goldman Sachs, l’intelligenza artificiale potrebbe avere conseguenze sul 25% della forza lavoro attuale sia degli Stati Uniti che dell’Europa. Ciò significa che il sistema educativo dovrà per forza di cose adattarsi ad un mondo nuovo, nel quale molti dei lavori di oggi non esisteranno più e la scuola dovrà preparare gli studenti a utilizzare gli strumenti digitali anche in relazione a quelli che saranno i lavori del domani.

L’ultima riforma strutturale e completa del sistema educativo italiano risale alla Riforma Gentile e stiamo parlando di cento anni fa. I fondi del Pnrr in questo senso saranno vitali, chissà che non siano l’occasione per avviare percorsi innovativi e strutturali all’interno del sistema scuola, potrebbero essere la nostra ultima chance per non rimanere a terra. In un contesto internazionale competitivo che si muove veloce, l’Italia dovrebbe ricominciare a correre. I nostri leader dicono che “non siamo inferiori a nessuno”, allora l’invito è che incomincino a velocizzare il passo, a investire, così da dimostrare a tutti che il nostro Paese non è solo ricco di storia, ma è anche in prima linea verso il futuro.

Marta De Vivo è una giovane giornalista con una grande passione per la politica. È founder di Earendel Next, un incubatore giovanile che avvicina i ragazzi al mondo delle startup. Collabora con diverse testate nazionali e nel mentre frequenta il corso in Relazioni Internazionali e Diritti Umani presso l‘Università degli Studi di Padova.

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