Il 2024 sarà probabilmente l’anno della maturità per il mercato dei creator: vedremo progressivamente abbandonare il modello tradizionale dell’influencer/celebrity marketing a favore della produzione di contenuti nativi per piattaforme digitali di nuova e vecchia generazione”.
A dirlo è Tommaso Ricci, co-fondatore e managing director di Mambo (OneDay Group), la più grande content factory in Italia con oltre 200 talent tra Italia e Spagna. Tommaso Ricci, classe 1985, è grande appassionato di creator economy e in poco più di un anno ha portato Mambo a lavorare per clienti del calibro di Philadelphia, Lavazza, Fonzies, TUC, Sky, Stellantis, dimostrando l’importanza di costruire campagne basate sull’ascolto delle community di consumatori.
Cosa vuol dire essere un creator?
Creatività e performance dei contenuti rappresentano gli asset sui quali costruire il proprio successo. Va detto però che aspetti un tempo considerati secondari – velocità, lettura corretta di un brief, comprensione di un contratto o emissione di una fattura a fronte di una collaborazione – oggi sono diventati dettagli cruciali.
Mambo è un ponte tra creator e mondo del lavoro?
Per loro organizziamo esperienze per migliorare la capacità di creare e produrre contenuti, eventi di networking con altri creator e momenti di formazione specifica o di supporto psicologico: non è scontato per ragazzi/e molto giovani maneggiare con serenità una continua esposizione a centinaia di migliaia di follower e like. Vogliamo star loro vicini anche quando le cose non vanno bene.
Oggi la parola d’ordine è velocità: come si coniuga questo con la necessità di produrre valore e di realizzare contenuti che restino impressi?
Penso che le keyword più importanti siano chiarezza e autenticità: i contenuti diventano più veloci perché non c’è più spazio per sovrastrutture, dettagli superflui e complicazioni inutili. Non è vero che i giovani non hanno tempo di fruire contenuti long-form, anzi. Lo fanno molto volentieri a patto che ci sia veramente del contenuto: bisogna andare al sodo.
La Gen Z può essere considerata una classe sociale?
Credo che la Gen Z sia un vero e proprio brand, con la sua estetica, i suoi valori e con obiettivi ben precisi. Anche chi non ne fa parte, può identificarsi compiendo scelte e adottando comportamenti di forte rottura con il passato.
Alla Gen Z spetta il ruolo di guidare l’innovazione e dare nuovo impulso e coraggio al tessuto imprenditoriale italiano.
*È un imprenditore seriale nel campo della comunicazione social e digital, la cui esperienza professionale prende il via nel 2006