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Giovani e lavoro: una vita a tempo determinato

Vita a tempo determinato: i diritti dei nuovi lavoratori

Se un alieno arrivasse in Italia oggi e sfogliasse i giornali, la prima cosa che penserebbe è che il lavoro non è tra le priorità o ancora peggio che nessuno ha più voglia di lavorare. Ovviamente non è così, ma sono ormai decenni che se ne scrive. Il primo lamentio sui giovani fannulloni risale addirittura agli anni 50, quando si diceva che nessun giovane voleva imparare “l’oscura e raffinata arte del cuoco”. Insomma, passano le generazioni ma per molti, troppi i giovani non hanno voglia di fare nulla.

Basterebbe un po’ di buonsenso e una chiacchiera con qualche giovane, per scoprire che invece vogliono lavorare eccome, ma a certe condizioni: un clima di lavoro sereno, uno stipendio giusto, avere del tempo libero per uscire, che sia per andare a bere una birra con gli amici, impegnarsi nel volontariato o per costruire una famiglia. Le ricerche ci dicono infatti che sono proprio questi i fattori principali per cui le nuove generazioni abbandonano il lavoro, e non di certo la poca voglia.

Se guardiamo alla cronaca più o meno recente potremmo trarre altri spunti interessanti, per tentare di comprendere un po’ meglio la realtà dei fatti. Il caso più recente è quello di un bistrot a Portofino, il cui proprietario si lamenta di non trovare personale, arrivando a lamentarsi perché “mi chiedono pure di avere una stanza”. Provateci a prendere una stanza in affitto in un posto di lusso in alta stagione, e vedete cosa rimane dello stipendio. Insomma, ci viene negato uno stipendio decente, un posto per dormire e magari vogliamo anche il weekend libero. Inconcepibile.

Un caso molto più tragico è quello accaduto due anni fa, quando un rider si è schiantato contro un SUV ed è morto il giorno successivo in ospedale. Provate ad immaginare la faccia della famiglia quando subito dopo la morte del figlio è arrivata una lettera di licenziamento da parte di Glovo per “mancato rispetto dei termini e delle condizioni”.

Forse la verità è che siamo disposti a lavorare ad ogni costo. Quante persone conosciamo che lavorano nella consulenza, nello studio di qualche importante avvocato, o magari come social media manager? Quante volte ci è capitato di stare insieme e vedere amici allontanarsi per una chiamata col capo o distratti perché devono rispondere ad un email di lavoro, alle undici di sera? Provate invece ad aprire TikTok o Instagram, quanti video si trovano di persone che si lamentano di lavorare tutto il giorno? E quante volte ci è stato detto che sì, per fare certi lavori bisogna sacrificare la propria vita e dedicarsi solo a quello? Evidentemente le cose stanno cambiando.

Se uniamo l’avvento delle nuove tecnologie, i salari che non aumentano da 30 anni e le nuove professioni sempre più fluide nei tempi e negli spazi, ci rendiamo conto che la battaglia per un lavoro di qualità è trasversale e intergenerazionale e riguarda ciascuno di noi.

Giusta paga, diritti e tempo libero sono tre cose semplici, che possono sembrare scontate, ma che forse non lo sono più. Perché lavorare è bello, ma lavorare e basta toglie senso alla vita. Ed è ridando valore a quel tempo oltre il lavoro che ci ricordiamo che la vita è molto di più. È proprio lì, nella vita, che nascono passioni, idee, amori. È anche lì che una società alimenta se stessa, cresce, e si evolve.

*Videomaker e comunicatore.  Alunno di Scuola di Politiche e Rappresentante degli Studenti alla Sapienza

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