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Le elezioni “farsa” in Russia e la vittoria già scritta dello Zar Putin

La Russia è al voto. Sembrerà una stonatura, eppure anche lì le elezioni vengono ancora convocate. Per finta? Forse sì, perché è certo: Vladimir Putin vincerà anche questa volta, anzi, sarà l’occasione per sancire definitivamente la sua popolarità. Come nelle più bieche dittature lo Zar verrà riconfermato per acclamazione popolare. Forte del suo consenso, si lancerà alla guida del suo Impero per altri sei anni.

I seggi sono aperti dal 15 marzo, continueranno per tutta la giornata del 16 e si chiuderanno il giorno seguente. Domenica sera la Russia avrà un suo presidente, lo stesso dagli anni 2000 allorquando l’ex agente della polizia segreta sovietica, il KGB, succedette a Boris El’cin come Presidente della Repubblica Federale Russa. E pensare che la costituzione definisce la Russia come uno Stato democratico, una Repubblica. Federale perché costituita da 83 soggetti, presidenziale perché guidata da un presidente eletto a suffragio universale (con un sistema a doppio turno) per quattro anni totali. Insomma, in teoria una forma di governo vicina al sistema statunitense, nella pratica però, le cose sono un tantino diverse.

Innanzitutto, la costituzione è stata più volte modificata. Da quattro anni sono diventati sei, dando modo così al presidente di esercitare il potere per un arco di tempo più ampio. Non solo, il vincolo dei due mandati è saltato e chi lo ha fatto saltare è stato proprio Vladimir Putin. Alla scadenza dei suoi due mandati presidenziali, dopo una breve parentesi come primo ministro del presidente Medvedev nel 2008, è ritornato al potere nel 2012 per restarci fino ad oggi e forse, per molto altro tempo ancora. L’obiettivo è quello di rimanere in carica fino al 2036, per altri due mandati dunque, superando Stalin e diventando così il presidente più longevo della storia russa, di pari passo con Caterina II di Russia, l’imperatrice simbolo del dispotismo illuminato par excellance, rimasta in carica per più di 35 anni.

Ma quelli erano altri tempi, un altro secolo. La rivoluzione francese non aveva ancora prepotentemente cambiato il corso della storia, demolendo l’assolutismo monarchico. Eppure, la Russia è come se fosse rimasta ferma. Nonostante la rivoluzione d’ottobre del 1917 che mise fine al regime zarista con lo sterminio dei Romanov, dando modo ai bolscevichi e al loro leader, Lenin, di insediarsi al potere. Un potere che tradì le aspettative di chi credeva sarebbe confluito nelle mani del proletariato. Con i bolscevichi prima, con l’Unione Sovietica di Stalin poi, il potere si è esercitato da sempre in maniera autoritaria. Una parabola discendente che incontra il suo minimo nel 1989 con la caduta del muro di Berlino e la dissoluzione dell’Unione Sovietica nel 1991.

Stalin governò l’Unione Sovietica dopo la morte di Lenin, reggendo la carica di segretario generale del PCUS dal 1922 fino alla propria morte nel 1953.

Al tempo, si pensava che fosse giunto il momento affinché la Russia si indirizzasse verso una forma di governo più “democratica”. Con Putin, tuttavia, questa speranza si è spenta. Nonostante il sistema russo preveda l’elezione diretta di 225 deputati in collegi uninominali e 225 con quota proporzionale con una soglia di sbarramento al 5% per la Duma, l’organo  preposto al potere legislativo (insieme al Consiglio della Federazione), il potere, che sia esecutivo, giudiziario o legislativo, è sostanzialmente concentrato nelle mani del Cremlino.

È impressionante pensare che, stando ad un sondaggio indipendente, solo un russo su cinque ritiene che il suo voto possa fare la differenza. Colpisce quanto i russi siano consapevoli, forse anche passivi e arrendevoli alla realtà dei fatti: a Mosca uno solo comanda.

Prima delle elezioni, è stato poi dato ordine preventivo di proibire qualsiasi manifestazione. Sono illegali e si rischiano più di cinque anni di reclusione. Gli osservatori indipendenti, tra cui quelli dell’OCSE, sono stati esclusi e bannati dal Paese. Insomma, non certo un’atmosfera distesa prima di un appuntamento elettorale.

Senza considerare che oramai Putin è onnipresente su tutti i canali di informazione ufficiali. Televisioni, giornali, radio. La propaganda del Cremlino è potentissima e mira a plasmare la società ex novo, puntando soprattutto sui giovani. Due sono le direttrici: militarizzazione della società e patriottismo. La prima è propedeutica ad esercitare il controllo, la seconda a mantenerlo. Stupisce come anche i cartoni animati parlino di guerra. Stupisce come ai ragazzi venga insegnato a telecomandare i droni fin dalle scuole. Stupisce come ci sia un’ossessione per le uniformi. Il tutto volto a rendere grande l’Impero russo e celebrare il nuovo Zar. Corsi e ricorsi storici, nulla pare cambiato.

Eppure, la vicenda di Alekse Navalny, ucciso pochi giorni prima del voto, dovrebbe far riflettere. Putin ha paura. Teme che il suo consenso si stia sgretolando. La guerra in Ucraina, il colpo di Stato annunciato e poi spentosi del capo dei mercenari della Wagner Prigozhin. Così, per prima cosa ha deciso di liberarsi del suo incubo peggiore, Navalny, un simbolo di resistenza, forse l’unico leader capace di ridestare i russi dal loro intorpidimento, dalla loro passività.

Fiori e candele posati al memoriale spontaneo del leader dell’opposizione russa Alexei Navalny, morto in una remota colonia penale a Kharp

I candidati di queste elezioni non hanno alcuna speranza e in alcuni casi sono ancor più estremi dello Zar. Partendo con Nikolai Kharitonov, stando ai sondaggi fermo al 4%, che vorrebbe abbassare l’età pensionabile aumentando al contempo le pensioni e sostenere le famiglie. Non rappresenta un pericolo per Putin. C’è poi Leonid Slutsky, rappresentante dell’estrema destra ultra nazionalista, è stabile al 3%. Non rappresenta neppure lui un pericolo, anzi questi primi due candidati supportano Putin in tutto e per tutto, tra i più accaniti sostenitori dell’utilità dell’“operazione speciale” in Ucraina. Infine, Vladislav Dovankov, più “liberale” e filo-occidentale, se così può esser definito. È propenso ad una negoziazione con Kiev e vorrebbe una stampa più libera. Il suo sopporto popolare è al 6%. No, decisamente neanche lui rappresenta una valida alternativa.

Inoltre, non bisogna dimenticarsi come due candidati siano stati dichiarati ineleggibili ancor prima del processo elettorale. La prima, una donna, Yekaterina Duntsova, una conduttrice televisiva. Il secondo, Boris Nadezhdin, squalificato dalla competizione elettorale per sospette “irregolarità”, di che tipo non si sa, che era stato chiamato a gran voce da una petizione firmata da più di 100.000 persone. Insomma, delle elezioni che si contraddistinguono per un’assenza totale di alternative valide. Quest’anno, però, diversamente dalle precedenti, si svolgeranno in tempo di guerra, con migliaia di soldati russi al fronte, sotto al gelo. E si voterà anche nelle repubbliche occupate del Donbass, abitate da più di quattro milioni di persone e sicura fonte di supporto allo Zar.

Il Cremlino di Mosca è un enorme complesso architettonico, una fortezza e il centro del potere russo

Domenica sera il Cremlino ne uscirà fortificato, con la consapevolezza però, come dimostrano le manifestazioni di questi giorni, i seggi dati alle fiamme, gli allarmi bomba e la vernice sulle schede elettorali, che un’altra Russia esiste. Sta prendendo tempo. Già Navalny ha pregato i suoi sostenitori di presentarsi al voto e scrivere il suo nome. Un Russia vibrante si sta ridestando, deve solo trovare il modo di esprimersi. È solo questione di tempo, forse di decenni, ma succederà.

 

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