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Acqua italiana, il grande divario tra Nord e Sud

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Investimenti in crescita e più vicini alla media europea. Ma ad investire sull’acqua in Italia sono le grandi imprese, molto più dei Comuni. Una situazione lampante soprattutto nel confronto geografico: rimane indietro il Sud, dove la crisi idrica è sempre più severa. È il racconto che emerge dai due libri che descrivono lo stato delle acque italiane: il Blue Book 2024, promosso da Utilitalia, e realizzato dalla Fondazione Utilitatis sul servizio idrico integrato, e il Libro Bianco 2024 “Valore Acqua per l’Italia” di The European House – Ambrosetti sulla filiera estesa dell’acqua.

Gli investimenti non sono l’unica cosa a crescere: negli ultimi anni le tariffe italiane, comunque inferiori a quelle europee, sono aumentate del 5% l’anno.

I numeri dell’acqua italiana

Secondo i dati presentati gli investimenti realizzati in Italia nel settore idrico hanno raggiunto i 64 euro all’anno per abitante nel 2022.

In 10 anni il dato è praticamente raddoppiato, con una crescita del 94% rispetto al 2012 (circa 33 euro per abitante), l’anno di avvio della regolazione ARERA.

Valori che si avvicinano progressivamente alla media europea degli ultimi cinque anni: 82 euro per abitante.

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Il divario tra Nord e Sud

Nel Blue Book (realizzato in collaborazione con Istat, Enea, ANBI e le sette Autorità di Bacino dei Distretti Idrografici) si descrive però un profondo divario in termini di capacità di investimento tra le gestioni industriali e quelle comunali ‘in economia’, gestite direttamente dagli enti locali, diffuse soprattutto nel Meridione.

Gli investimenti medi per queste gestioni sono di 11 euro per abitante; dei 1.465 Comuni in cui la gestione di almeno uno dei servizi è ‘in economia’, l’80% si trova al Sud. La popolazione interessata? Più di 7,5 milioni di persone.

Al Nord inoltre si concentra il 74% dei lavoratori del ciclo idrico esteso e il 60% delle 3.500 imprese totali del settore, al Centro e Sud rimangono rispettivamente il 12,6% e 12,8% degli occupati e il 15,8% e 26,2% delle imprese. “La gestione pubblica dell’acqua affidata ai singoli enti territoriali (gestione in economia) – che genera un valore complessivo di solamente 491 mln di euro è una prerogativa del Sud Italia e delle Isole”, dice la nota che accompagna i due studi.

C’è poi un problema di governance. In Campania e Sicilia ci sono ancora bacini l’affidamento della risorsa acqua è avvenuto in maniera non conforme alla normativa. In questo quadro, spiega il presidente di Utilitalia, Filippo Brandolini, “ci siamo fatti promotori di una proposta di riforma del settore in quattro punti tese alla riduzione della frammentazione, all’introduzione di parametri di verifica gestionale, al consolidamento industriale del settore e a un approccio integrato tra i diversi usi dell’acqua”.

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Il valore dell’acqua

La filiera idrica estesa, secondo lo studio The European House – Ambrosetti, vale quasi il 20% del PIL, con un valore generato da 367,5 miliardi di euro, in crescita dell’8,7% rispetto al 2021.

Secondo gli ultimi dati del Libro Bianco oltre 341 miliardi di euro (+9,1% sul 2021) sono impattati direttamente dall’acqua nei settori agricolo, industriale ed energetico. La filiera estesa dell’acqua coinvolge 1,4 milioni di imprese agricole, 330.000 aziende manifatturiere e 10.000 imprese energetiche. L’impatto diretto, indiretto e indotto del settore porta un valore aggiunto di 16,5 miliardi di euro, attivando oltre 150.000 posti di lavoro.

Il ciclo idrico esteso, che include le sette fasi del ciclo idrico integrato, la fornitura di software e tecnologia e le filiere di fornitura, vale oltre 9 miliardi. Per Valerio De Molli, Managing Partner e CEO di The European House – Ambrosetti, la crescita media annua è stata del +3,8% nel periodo 2010-2022, superiore sia alla media del settore manifatturiero che a quella dell’intero PIL italiano”.

La crescita delle tariffe e il Pnrr: servono altre risorse

Riassumendo i dati, gli investimenti sono sostenuti principalmente dalle tariffe (4 mld l’anno) e dal Pnrr ‘rimodulato’ (1 mld) soprattutto per la riduzione delle perdite della rete idrica, che arrivano al 42%. Secondo lo studio manca un miliardo, e ne mancheranno due dopo la chiusura del Pnrr: il fabbisogno annuo arriva infatti a 6 mld.

Secondo il Blue Book negli ultimi anni si è assistito ad una crescita delle tariffe del servizio idrico di circa +5% annuo, anche se quelle italiane rimangono tra le più basse d’Europa. Tariffe che, appunto, hanno permesso di investire fino a 4 miliardi l’anno.

Investimenti sull’acqua, obiettivo 100 euro

Il fabbisogno di settore è stimato in 6 miliardi, dicevamo: l’obiettivo secondo lo studio dovrebbe essere innalzare l’indice di investimento annuo e raggiungere i 100 euro per abitante, avvicinandosi così alla media di altri Paesi europei di dimensione simile all’Italia.

Secondo Brandolini proprio attraverso le proposte “contiamo di raggiungere l’obiettivo 100, arrivando a un centinaio di gestori industriali di media/grande dimensione e a un livello di investimenti di 100 euro per abitante all’anno”.

Il tema del lavoro

Secondo i dati della Community Valore Acqua per l’Italia di TEHA (che rappresenta 37 partner tra aziende e istituzioni) le aziende del ciclo idrico esteso contano oltre 92 mila lavoratori con un tasso di crescita dell’occupazione quattro volte superiore alla media nazionale.

Il settore energetico, per fare un paragone, conta 81mila occupati. “Per ogni euro di valore aggiunto generato dal ciclo idrico esteso, se ne attivano 1,8 euro aggiuntivi nell’intera economia”, dice De Molli.

Siccità e qualità delle acque, la questione dei dati

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