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AI, alla ricerca di un campione: intervista al sottosegretario Alessio Butti

alessio butti

Dopo l’approvazione dell’AI Act da parte del Parlamento europeo, il 13 marzo, è arrivato il momento di passare alla pratica, e capire se il nostro Paese riuscirà a stare al passo con i giganti europei. Gli investimenti italiani sull’intelligenza artificiale saranno abbastanza? Gli annunci sui fondi a disposizione dell’AI italiana se li sono divisi, alla vigilia dell’approvazione europea, la premier Giorgia Meloni e il sottosegretario all’Innovazione, Alessio Butti, durante l’evento ‘L’intelligenza artificiale per Italia’ firmato dal dipartimento per la Trasformazione digitale di Palazzo Chigi, e da Agid.

Un’occasione per capire qualcosa in più della strategia italiana (basata sul lavoro della Commissione di 13 esperti voluta da Butti) e che in quel momento era arrivata sul tavolo della premier: dal ruolo della presidenza del Consiglio e del Golden power in materia di sicurezza nazionale, alla necessità (dettata dall’AI Act) di individuare un ente con poteri di vigilanza e sanzionatori.

La scelta del sottosegretario, prima ancora della presentazione del disegno di legge apposito sull’AI, è ricaduta su Agid e Agenzia nazionale della cybersicurezza. Al momento in cui andiamo in stampa, il ddl deve ancora arrivare in Parlamento, e il nodo della vigilanza (con il Garante della privacy che ritiene necessario affidarla a un’autorità indipendente, come lo stesso Gpdp) va ancora sciolto. Il futuro dell’intelligenza artificiale italiana non si giocherà solo nei palazzi del potere, ma anche nei Cda delle aziende e nei laboratori di ricerca. E la kermesse romana del 12 marzo, che ha riunito Gruppi industriali, rappresentanti italiani delle Big Tech e startup, secondo Butti ha testimoniato come il mondo imprenditoriale e industriale sia in fermento, mentre attende risposte dalla politica.

Facciamo un riepilogo sulle cifre messe in campo per l’AI italiana.

Oltre al fondo da circa 800 mln di euro che già abbiamo inaugurato con l’Acn, con Cassa depositi e prestiti e con il mio dipartimento, ci sarà un’ulteriore partecipazione da parte di Cdp Venture Capital per un miliardo, che con i moltiplicatori dell’investimento possono poi arrivare a tre. Questo consente all’Italia di essere saldamente sul podio europeo per quanto concerne gli investimenti pubblici in intelligenza artificiale. Abbiamo lavorato un anno senza annunci. Lo abbiamo fatto in modo sobrio, silenzioso e siamo arrivati con il partner giusto a offrire delle risposte alle domande del mondo imprenditoriale.

Risposte che sono arrivate il giorno prima dell’approvazione da parte del Parlamento europeo dell’AI Act. Anche quello sarà un compito importante: agire in contemporanea con l’Europa.

Nulla è un caso. Dall’evento del 12 al disegno di legge. C’è stata la ministeriale di Trento, la prima del G7 relativa a digitalizzazione e intelligenza artificiale. Abbiamo concatenato questi eventi per dare concretezza a un mondo che può consentirci finalmente di creare una politica industriale sull’intelligenza artificiale.

Per quanto riguarda la strategia italiana, qual è stato il ruolo del comitato che avete presentato a novembre scorso?

C’è una collaborazione veramente molto serrata. Il loro ruolo è stato fondamentale perché hanno elaborato un documento strategico, accogliendo ovviamente alcune indicazioni offerte dal governo, ma hanno anche offerto una serie di idee che sono state sintetizzate e valutate. È stato un apporto straordinario.

C’è un tema ricorrente nei discorsi del Governo sull’AI: la ricerca di un ‘campione’ dell’intelligenza artificiale, un’impresa che guidi il sistema dal punto di vista dell’innovazione, il che vuol dire probabilmente sviluppare un large language model italiano. Se deve immaginare un campione del genere, che aspetto dovrà avere?

Do una mia visione del tutto personale, che non impegna ovviamente il governo. A me piacerebbe molto che tra le grandi aziende di Stato ce ne fosse qualcuna che si assumesse questa importante responsabilità. Del resto sono tutte aziende molto importanti che fanno già AI da tempo e che elaborano e custodiscono una serie incalcolabile di dati, che poi sono l’elemento fondante dell’intelligenza artificiale. Ma immagino anche un campione tra startup innovative e aziende che sono già molto accreditate sul mercato e che possono mettersi insieme. La vera notizia è che c’è una grande disponibilità da parte di tutti a mettere in comune i valori e l’esperienza che è stata maturata finora, e questo è veramente fondamentale.

Pensa si possa presto ragionare in termini di consolidamento industriale, come dovrebbe succedere per le telco?

Il consolidamento che noi intendiamo sulle telco è ovviamente una riduzione degli operatori. Qui invece siamo ancora in una fase espansiva, quindi bisogna semmai, al contrario, cercare di valorizzare le migliori, cioè quelle che hanno progetti straordinariamente qualificati e qualificanti.

L’intelligenza artificiale e i deepfake stanno cambiando settori che già consideravamo ‘innovativi’ e in cerca di regole. Basti pensare ai casi di influencer ‘artificiali’, creati con l’AI, che hanno già il loro seguito. Lei in passato ha parlato del fatto che potrebbe servire un’altra legge anche per governare le conseguenze di questa unione tra mondo degli influencer e intelligenza artificiale.

Io non sono un interventista sotto il profilo legislativo. L’universo degli influencer oggi è un mondo imprenditoriale, se fatto seriamente: ma quanto accaduto negli scorsi mesi in questo settore non è particolarmente ‘serio’. E questo offre spunti per cercare quantomeno di tutelare gli utenti di questa nuova tecnologia e di questo modo di fare commercio e comunicazione. Ovviamente va tutelato il consumatore. Se per far questo dobbiamo discutere di uno snello provvedimento legislativo, ben venga.

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