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Premier League, una bolla che non scoppia

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Oltre 1,2 miliardi di euro piazzati sul mercato solo nell’ultima finestra della campagna acquisti e cessioni. Quattrocento milioni in più rispetto alla passata estate. E non è ancora finita, restano ancora munizioni per qualche colpo milionario. La Premier League da anni è la lega più ricca e spendacciona del calcio mondiale, ma negli ultimi due mesi è riuscita a superarsi.

Non c’era una spesa così alta da cinque anni, la pandemia con i danni prodotti (oltre quattro miliardi di euro) appare solamente un ricordo, c’è la corsa all’investimento-monstre.

Una competizione che vede coinvolti non solo i soliti noti, i top club che investono miliardi da anni, dal Manchester City in poi, ma anche le società di media taglia e addirittura le neopromosse.

Insomma, c’è una bolla Premier. Un fenomeno un po’ isolato in Europa, nella stagione in cui il Paris Saint Germain ha imposto una revisione ai costi. Su questa strada anche il Bayern Monaco, sebbene non sia stata affatto fermo sul mercato, tra Manè dal Liverpool e De Ligt dalla Juventus.

Mercato con un certo equilibrio tra entrate e uscite anche per il Real Madrid, mentre resta un mistero come abbia potuto spendere miliardi su miliardi il Barcellona, ancora avvolto dai debiti e costretto a vendere una fetta dei futuri incassi dalla cessione dei diritti tv a un fondo di private equity per ritrovarsi liquidità in cassa.

La bolla Premier

Non si tratta di meravigliarsi dei quasi 100 milioni di euro che il Manchester United spende per Antony, attaccante dell’Ajax, o degli oltre 70 sempre dallo United per Casemiro, il colosso della mediana del Real Madrid che ha collezionato Champions negli ultimi dieci anni.

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Antony Matheus Dos Santos, giocatore dell’Ajax appena acquistato dal Manchester United per 100 mln di euro. EPA/MAURICE VAN STEEN

I Red Devils, anche se non vincono dall’era Alex Ferguson – solo un paio di trofei con Mourinho – restano un asso commerciale, un club ricchissimo che non si è mai creato limiti alla spesa.

Neppure ovviamente dai 75 milioni di euro spesi dal Manchester City per il bomber norvegese Haaland, anche poco rispetto ai prezzi che girano nel calcio inglese.

Piuttosto – e il tassametro corre, perché potrebbero esserci altre spese pazze – fanno impressione i quasi 180 milioni di euro piazzati sul mercato dal Nottingham Forest, tornato in Premier League dopo oltre due decenni, che ha acquistato poco meno di 20 calciatori.

Ancora, i 250 milioni investiti dal West Ham, se vogliamo uno dei club meno nobili di Londra, compresi i 43 milioni per l’arrivo dell’ex Milan (dal Lione), il brasiliano Paquetà. Il West Ham ha speso praticamente quanto il Manchester United. E se davvero i Diavoli Rossi piazzassero un’offerta da 140 milioni di euro per Osimhen (con Cristiano Ronaldo al Napoli, l’affare è in ballo), la loro spesa totale si avvicinerebbe ai 350 milioni di euro.

Mentre il Chelsea, con investimenti per 225 milioni di euro (ma è ancora alla ricerca di una punta) ha così salutato l’arrivo alla proprietà di Todd Boehly, il successore di Roman Abramovich, che ha pagato i Blues oltre quattro miliardi di euro.

Lo stesso Boehly non sembra contento del nuovo corso del club londinese: vorrebbe regalarsi Cristiano Ronaldo (ingaggio da 24 milioni di euro annui), risolvendo il caso della punta portoghese che il super-procuratore Jorge Mendes ha cercato di piazzare in vari club che giocano la Champions League.

In generale, se i club medio-piccoli hanno la capacità di spesa dei top club, prendendosi il lusso di offrire di più a società e atleti rispetto alle big di altri tornei, si è generata la bolla-Premier. Ingaggi teoricamente fuori portata, spese per il cartellino del calciatore altrettanto.

Il terzino spagnolo Cucurella è stato pagato 65 milioni dal Chelsea al Brighton dopo un’asta con il Manchester City (che ne ha spesi 110 un anno fa per il centrocampista Grealish); ma ce ne sono voluti 70 milioni per la punta svedese Isak dal Real Sociedad  – considerato erede di Ibra ma per ora solo sulla carta – al Newcastle del Fondo Sovrano Saudita: sono solo altri esempi di investimenti milionari a pioggia.

I diritti Tv e il nuovo Fair play finanziario

Dove porta tutto questo? La garanzia economica sono i 12 miliardi di dollari a disposizione dei 20 club fino al 2025, per la cessione dei diritti televisivi, per la prima volta nella storia della Premier equamente suddivisi tra estero e domestici (risorse garantite da Sky Sports e BT Sport).

Il confronto solo con la Serie A è davvero impietoso, il calcio italiano incassa appena la quarta parte dalle tv rispetto a quello inglese.

Nell’ultima stagione dai diritti tv il Manchester City ha incassato quasi 200 milioni di euro, ma per il Norwich – non certo tra le squadre di punta della Premier – c’è stato un assegno da 115 milioni di euro.

Ecco quindi che le piccole investono, pareggiano o superano le offerte di top club di altri campionati.

Un calcio, dunque, da nababbi e non è detto che ci si fermi presto.

In questo senso la Premier League come modello segue l’esempio delle leghe americane, Nfl e Nba e non è un caso che una buona fetta – 1,5 miliardi di euro nei prossimi anni – arrivi proprio dalle tv americane, che aprono il palinsesto del weekend per gli appassionati con il calcio inglese al mattino, in attesa di football e basket tra pomeriggio e sera.

Un prodotto del genere produce dividendi per tutti: il contributo della Premier League all’economia del Regno Unito ammonta a quasi nove miliardi di euro, dando lavoro a 90 mila persone. Ovviamente, il successo planetario della Premier attira gli investitori, multinazionali che sponsorizzano i top club.

Il sistema, per ora, regge, nonostante il boom dei costi di gestione. Una mano alle inglesi è arrivatà dalla Uefa con il nuovo corso del Fair Play Finanziario. Il limite di spesa (non oltre il 70% di ricavi, tra stipendi e ammortamenti) avvantaggia chiaramente il Manchester City e le altre sorelle che giocano le Coppe e che sono in testa alle classifiche sul fatturato, così potranno spendere tutte le risorse per essere competitive in Europa e incamerare i premi previsti in Champions League, Europa League, Conference League.

Nel Money Football League pubblicato a febbraio da Deloitte ci sono dieci club di Premier League nelle prime 20 posizioni, con in testa il Manchester City (644 milioni di euro) e la presenza di Liverpool, Chelsea e Tottenham nella top ten. Insomma, al momento la bolla pare che non sia destinata a scoppiare.

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