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Allarme Cei: un lavoro non basta contro la povertà

Avere un lavoro non è più sufficiente per non essere poveri. E’ l’allarme lanciato dalla Commissione per i problemi sociali della Cei (Conferenza episcopale italiana). Un vero e proprio grido di dolore dei vescovi che sottolineano come “oggi l’indebolimento della qualità e della dignità del lavoro porta al paradosso che avere lavoro (che molte volte rischia di essere un lavoretto saltuario) non è più condizione sufficiente per l’uscita dalla condizione di povertà”. La quantità, qualità e dignità del lavoro – aggiungono – è la grande sfida dei prossimi anni per la nostra società nello scenario di un sistema economico che mette al centro consumi e profitto e finisce per schiacciare le esigenze del lavoro”.

“I due imperativi del benessere del consumatore e del massimo profitto dell’impresa hanno risolto il problema della scarsità dei beni e delle risorse necessarie per investimenti, innovazione e progresso tecnologico nella nostra società. Ma – rilevano i vescovi nel Messaggio, riportato dal Sir – hanno finito per mettere in secondo piano le esigenze della dignità del lavoratore indebolendo il suo potere contrattuale, soprattutto nel caso delle competenze meno qualificate”.

“Questi meccanismi – si legge nel documento – sono alla radice di quella produzione di scartati, di emarginati così insistentemente sottolineata da Papa Francesco. E ci aiutano a capire perché ci troviamo di fronte a tassi di disoccupazione così elevati, ancor più tra i giovani, e al fenomeno inedito dei lavoratori poveri”. Secondo i vescovi, è “innanzitutto necessario innovare il nostro metodo di azione. Farsi prossimo agli ultimi, comprendere e condividere le loro urgenze non è solo un compito pastorale ma diventa un’esigenza fondamentale per l’intera società in tutte le sue componenti (art. 2 della Costituzione) e un compito ineludibile per la classe politica”.

“Abbiamo bisogno sempre più di forme di sussidiarietà circolare, di solidarietà che vedano nuove configurazioni di collaborazione fra tutti i soggetti, senza particolarismi o primogeniture, ma come fondamento e fine del convivere responsabilmente insieme per un futuro di speranza a partire dal lavoro ‘centro di ogni patto sociale'”, aggiungono. Per l’episcopato italiano, “dignità della persona non significa essere destinatari di un mero trasferimento monetario ma piuttosto essere reinseriti in quel circuito di reciprocità nel dare e avere, nei diritti e doveri che è la trama di ogni società”.

“Con il percorso che ci ha portato alle Settimane Sociali di Cagliari – si rileva – abbiamo camminato per le strade del nostro Paese andando sui territori, individuando migliori pratiche e problematiche”. Tre le urgenze fondamentali individuate in questo viaggio nel Paese. “La prima è rimuovere gli ostacoli per chi il lavoro lo crea come sottolineato dal Pontefice nel suo discorso all’Ilva di Genova”. Per i vescovi, “creare buon lavoro (lavoro libero, creativo, partecipativo e solidale) è oggi una delle più alte forme di carità perché genera condizioni stabili per l’uscita dal bisogno e dalla povertà”.

“La seconda – proseguono – è avere istituzioni formative (scuole, università, formazione professionale) all’altezza di queste sfide. In grado innanzitutto di suscitare nei giovani desideri, passioni, ideali, vocazioni senza le quali non esiste motivazione né sforzo verso l’acquisizione di quelle competenze fondamentali per risalire la scala dei talenti”.

 

 

 

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