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Bce, retribuzioni? L’Italia non riesce a tornare al pre-crisi

L’Italia continua ad arrancare sullo strascico della crisi economica più rilevante degli ultimi 50 anni. Gli stipendi non tornano ai tenori del pre-crollo del 2008: un problema che affligge anche un altro paese del sud Ue, la Spagna, che come l’Italia risulta particolarmente debole anche per quanto riguarda i consumi, che intanto guidano la ripresa di Francia e Germania. A tirare le somme il bollettino economico della Banca Centrale Europea, che conferma il calendario di marcia – riduzione degli acquisti di titoli a 15 miliardi di euro al mese fra ottobre e dicembre e stop a gennaio, tassi in rialzo dopo l’estate 2019. La crescita e l’inflazione hanno consentito di annunciare la fine del quantitative easing.

Per la Bce la ripresa prosegue, anche se un po’ più debole a causa dei venti protezionistici che soffiano su scala globale. E un’inflazione ormai al 2%, il ‘target’ di Francoforte, che attesta il successo del ‘Qe’. Con ampie differenze, tuttavia. In Italia l’inflazione non ha superato l’1,5%. La Bce considera le dinamiche salariali una variabile importante nel segnalare l’andamento futuro dell’inflazione, e probabilmente non è un caso che torni sulla nota dolente di un meccanismo salari-redditi-consumi che ancora non è tornato a regime. In un’anticipazione del bollettino la Bce aveva scritto che “in Italia e in Spagna la retribuzione reale dei dipendenti rimane significativamente più bassa rispetto a prima della crisi, sia per una moderazione salariale indotta dalla crisi che per la disoccupazione che rimane elevata”.

Lo studio nota anche che, sempre in Italia e Spagna, due Paesi che hanno visto un forte declino dei consumi dopo la recessione e la crisi del debito sovrano, “i consumi non hanno ancora recuperato del tutto rispetto ai livelli pre-crisi – anche se sono tornati a crescere nel 2013 – mentre in Germania e Francia segnano un aumento del 10%. Un altro fattore che potrebbe contribuire al basso livello dei consumi nei due Paesi è il patrimonio immobiliare particolarmente colpito dalla crisi e l’impatto dei bassi tassi d’interesse sulle rendite delle famiglie proprietarie di immobili”. I consumi sono direttamente collegati ai salari, ma anche alla disoccupazione, “rimasta su livelli elevati”, e all’effetto ricchezza legato alla casa. Se in Spagna la ricchezza immobiliare è precipitata del 30% durante la crisi, ora è in ripresa. In Italia invece “è diminuita gradualmente” con un trend che continua tuttora. Un ‘effetto ricchezza’ che si è via via sgonfiato intaccando i consumi, unito al fatto che in Italia il calo dei redditi da interessi (indotto dal calo dei tassi Bce) “è stato molto più ingente” che in altri Paesi, perché “le famiglie italiane detengono una quantità relativamente ampia di attività fruttifere di interessi e sono relativamente meno indebitate”. Le considerazioni europee sugli immobili portano l’Unione nazionale consumatori a dichiarare che un aumento dell’iva (chiesto da gran parte delle istituzioni internazionali affiancandolo a un taglio delle tasse sul lavoro) sarebbe “un suicidio”. E fanno esultare COnfedilizia: “lo sosteniamo da anni, ora mettere in cantiere un segnale per l’immobiliare è indispensabile”.

La Banca Centrale conferma, poi, il piano di uscita dagli acquisti netti di titoli a partire da gennaio, dopo che questi scenderanno dopo a 15 miliardi al mese dai 30 attuali. Tuttavia “il Consiglio direttivo ha confermato che un ampio grado di accomodamento monetario è ancora necessario” per accompagnare la ripresa in corso dell’inflazione, e di fronte a una ripresa che prosegue, ma a ritmo più lento e con i dazi che hanno ridotto il contributo degli scambi commerciali, si legge nel bollettino economico.

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