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Salvini: non passo per scemo. Di Maio: io non sono bugiardo

Nessuna crisi di governo. Per ora. Ma un’altra giornata di tensione sì. Con i due vicepremier a darsi sulla voce e palazzo Chigi a prendere le difese di Luigi Di Maio (che secondo Matteo Salvini sapeva del condono) con una irrituale precisazione (“Non c’e’ stata quindi la verbalizzazione della norma in Cdm”).

Tra i due vicepremier sono scintille con battute al vetriolo e repliche piccate. Se Matteo Salvini non vuole passare per “scemo” il suo collega Luigi Di Maio non vuole sembrare “distratto o bugiardo”.

Intanto, la Lega sarebbe pronta a riscrivere il testo del decreto fiscale da cima a fondo, purché il governo vada avanti compatto. Domani si terrà il Cdm per ridiscutere il testo che – secondo il M5S – sarebbe stato manomesso da ignoti a favore di lauti condoni. La curiosità è che secondo l’altro vicepremier il testo ‘sotto accusa’ sarebbe proprio quello che lo stesso Luigi Di Maio aveva verbalizzato, e nessuna ‘manina’, sempre secondo Salvini, sarebbe dunque intervenuta per cambiare nulla. “Non cerchiamo altrove avversari o manine che cambiamo i decreti. Gli avversari sono fuori, diamoci una mano e lavoriamo insieme con umiltà”, sottolinea.

L’intenzione ora è quella di proseguire: “bisogna serrare le fila, compatti Lega e M5s. Rispettosi del contratto di governo ma senza fare scherzi. Ho aspettato senza dir nulla per ventiquattro ore e porto pazienza. Però per scemo non passo. Se qualcuno dei M5s ha cambiato idea cambiamo tutto da cima a fondo. Ma la verità storica è agli atti: quelle 4 paginette ci sono a P.Chigi, con le annotazioni del premier verbalizzate da Di Maio”, afferma Salvini.

“Se c’era qualcosa che non andava bene – aggiunge – non c’era bisogno di questo can can: si alzava il telefono, Conte o Di Maio, e si cambiava tutto”. Insomma, dopo la minaccia da parte del vicepremier pentastellato – in diretta televisiva – di denunciare alla procura della Repubblica la manomissione di un testo che – sempre secondo a Di Maio – era stato inviato al Quirinale, notizia poi smentita dal Quirinale stesso al quale non era pervenuto alcun testo ufficiale – è emerso che bastava alzare la cornetta per sistemare eventuali disaccordi nati in seconda battuta.

L’avventatezza, se di avventatezza si tratta, di Di Maio, questa volta sarebbe costata quasi una crisi di governo. Ma “io non voglio far saltare niente e spero che anche i Cinque stelle spero vogliano proseguire in questa esperienza”, sottolinea Salvini.

Rimane poco chiaro cosa sia successo. “O non hanno capito, o non hanno letto, o hanno cambiato idea. Ci sta di cambiare idea. Io domani vado lì, lo rileggiamo, lo riscriviamo, basta che poi nessuno cambi idea un’altra volta”, afferma Slavini. Sta di fatto che, secondo il vicepremier della Lega, sul fatto che Di Maio avesse approvato proprio quel testo non ci sono dubbi: “uno leggeva il testo incriminato, uno scriveva, uno lo leggeva. Chi erano? Uno era Conte, che ha tutta la mia stima, e l’altro Luigi Di Maio che verbalizzava, un’altra persona corretta e coerente con cui lavoro bene e conto di lavorare bene per i prossimi 5 anni”. “Io ero in mezzo fra i due: Conte, Salvini, Di Maio”, scrive Salvini su Fb, sottolineando che se i 5S non vogliono le misure del dl fiscale “quella roba lì non c’è. Ma passare per l’amico dei condonisti, proprio no”.

E proprio la presidenza del Consiglio prende le ‘difese’ di Luigi Di Maio con una nota ad hoc. “La c.d. dichiarazione integrativa (condono: art.9) e’ stata oggetto di una discussione politica che si e’ protratta a lungo sino all’inizio dei lavori del Cdm. Su di essa si e’ formato un accordo politico e sulla base di esso, riassunto dal presidente Conte ai presenti, si e’ entrati in consiglio dei ministri”. Lo precisa Palazzo Chigi. “La bozza del decreto fiscale che gli uffici hanno fatto trovare durante il Cdm non conteneva la dichiarazione integrativa di cui all’art. 9: questa norma risultava in bianco”. E ancora: non risponde a verità la ricostruzione di Salvini perché, annota Palazzo Chigi “Non c’è stata quindi la verbalizzazione specifica del contenuto dell’art. 9, il cui testo, appena arrivato, andava comunque verificato successivamente nella sua formulazione corretta dagli Uffici della Presidenza”

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