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Trenord fuori dall’emergenza, ma per una rivoluzione serve tempo

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È stata per mesi nell’occhio del ciclone, con i riflettori dei media, nazionali e locali, puntati addosso, una litania quotidiana di articoli sui giornali con l’elenco puntuale dei disservizi, delle corse soppresse, dei ritardi. Per Trenord, la società ferroviaria al 50% di Ferrovie Nord e al 50% di Trenitalia (Ferrovie dello Stato Italiane) che gestisce il servizio regionale della Lombardia per un fatturato di 800 mln di euro, il 2018 è stato un vero e proprio calvario. Con le stazioni della via crucis segnate dalle proteste dei comitati dei pendolari lombardi, particolarmente agguerriti.

Il 2019, soprattutto da marzo in poi, ha riportato un po’ di quiete, gradualmente la società è uscita dal cono di luce dei media – e dei pendolari – riguadagnando regolarità e affidabilità. Per la rivoluzione vera, per “il miglioramento strutturale del sistema – precisa l’amministratore delegato di Trenord, Marco Piuri, sul numero di Fortune Italia di maggio – servono dai due ai tre anni. È il tempo necessario per intervenire sull’infrastruttura e aumentarne la capacità e per rinnovare radicalmente la flotta dei treni, ormai vetusta”.

Però, in appena cinque mesi – e sembra quasi un miracolo – con l’orario invernale in vigore da dicembre, le performance di Trenord, sono rientrate nella “normalità”, agli standard del 2016-2017. Il piano di primo intervento messo a punto da Piuri, nominato al vertice della società il 17 settembre scorso, per rientrare dall’emergenza sta funzionando. Anche se all’inizio era stato accolto da tanti mugugni.

La versione completa di questo articolo è disponibile sul numero di Fortune Italia di maggio.

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