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Cannabis light, vietata vendita. Ma nessuno può far chiudere i negozi

cannabil light dla piper fortune italia

È ufficiale. La legge non consente la vendita o la cessione a qualunque titolo dei prodotti “derivati dalla coltivazione della cannabis”, come l’olio, le foglie, le inflorescenze e la resina. Lo hanno deciso le sezioni unite penali della suprema corte che così danno uno stop alla vendita della ‘cannabis light’. Oggi la Cassazione ha preso una decisione definitiva su un tema controverso. Ma nessuno può far chiudere i negozi, e ai canapa shop in provincia di Macerata, usati come portabandiera della “lotta alla droga” che era stata annunciata da Matteo Salvini, erano state sospese le licenze solo per 15 giorni. Salvo poi una ulteriore sospensione di 30 giorni per uno dei tre shop. Ma nessuna chiusura. A fare chiarezza sul tema parlando con Fortune Italia, era stato Marco de Morpurgo, partner e global co-chair del settore Life Sciences dello studio legale Dla Piper, subito dopo che il ministro dell’Interno aveva annunciato di voler far chiudere i canapa shop.

Il cavillo giuridico
Innanzitutto, “la Corte di Cassazione, a novembre 2018, aveva chiarito che la vendita di infiorescenze di ‘cannabis light’ è lecita qualora il contenuto di Thc non superi lo 0.6%”, spiega de Morpurgo. Questo significa che, fino alla decisione odierna della Cassazione, che cambia le carte in tavola, i negozi erano autorizzati a vendere i derivati della cannabis purché non contenessero una quantità di Thc superiore allo 0.6%. “Vanno chiusi”, affermava Salvini a inizio mese. Ma la domanda sorge spontanea: può un ministro dell’Interno dalla sera alla mattina decidere di dare battaglia a una categoria di esercizi che, fino ad oggi, hanno operato in conformità alla legge? La risposta è “no – spiega l’esperto – Non ritengo sia tra i poteri del ministro dell’Interno quello di ordinare (attraverso la questura) la chiusura di esercizi commerciali che svolgono attività lecite”. Nel caso specifico “i negozi in questione vendono diversi tipi di prodotti, molti dei quali a base di Cbd, tra cui si annoverano prodotti cosmetici o alimentari, oltre alle infiorescenze di ‘cannabis light’. Finché i prodotti venduti sono conformi alla legislazione vigente, così come interpretata dalle corti, non vi è una base giuridica per ordinare la sospensione o la chiusura di tali attività commerciali”. Chi, fino ad oggi, nel proprio canapa shop ha rispettato tali criteri, pertanto, non ha nulla da temere, in quanto non ha fatto altro che muoversi secondo la legge. Lo stesso vale per le aziende – italiane o straniere – che guardino all’Italia come un mercato di interesse.

Un mercato alternativo
Con la sentenza della Cassazione di oggi non sarà più possibile vendere i derivati della cannabis. Ma in ogni caso “i negozi in questione possono continuare a vendere tutti gli altri prodotti attualmente disponibili, compresi in particolare gli alimenti e i cosmetici a base di Cbd – spiega l’esperto – Resta vero, tuttavia, che il divieto di vendita al pubblico di infiorescenze di cannabis potrebbe avere un impatto sulla sostenibilità economica dei c.d. ‘cannabis shop’ dato che, secondo alcune fonti, questi prodotti rappresentano una porzione significativa del fatturato di tali negozi. È anche vero, d’altra parte, che il modello di business di tali negozi potrebbe cambiare direzione, focalizzandosi sui prodotti alimentari e cosmetici a base di Cbd (senza Thc), che rappresentano un mercato in forte espansione in Europa ed altri paesi. Inutile rimarcare che, anche ai fini di garantire lo stato di diritto e la possibilità per gli operatori economici di pianificare gli investimenti, è opportuno che le decisioni politiche in questo ambito siano frutto di adeguato dibattito pubblico e discussione parlamentare o, quanto meno, giurisprudenziale”, sottolinea de Morpurgo.

Le legge è dalla parte dei negozianti
Se mai a un certo punto questi negozi venissero comunque fatti chiudere, i proprietari dei negozi potrebbero tutelarsi “impugnando un provvedimento illegittimo adottato dalla pubblica amministrazione. Inoltre, la sospensione illegittima di un’attività commerciale può comportare la responsabilità risarcitoria della pubblica amministrazione ai sensi dell’articolo 2043 del codice civile (anche se può essere molto difficile ottenere un risarcimento, dato che è richiesta la sussistenza di alcune specifiche condizioni tra cui un sufficiente livello di colpevolezza da parte della pubblica amministrazione, su cui non vale qui la pena di dilungarsi)”, conclude l’esperto.

Il caso Macerata
Nei canapa shop in provincia di Macerata, il questore ha ottenuto una sospensione della licenza di 15 giorni “sulla base dell’articolo 100 del testo unico delle leggi di pubblica sicurezza(regio decreto 773/1931), che prevede la possibilità per il questore di “sospendere la licenza di un esercizio […] nel quale siano avvenuti tumulti o gravi disordini, o che […], comunque, costituisca un pericolo per l’ordine pubblico, per la moralità pubblica e il buon costume o per la sicurezza dei cittadini”. Per fare un esempio pratico, anche a un bar dove avvengono gravi disordini può venire sospesa la licenza utilizzando lo stesso strumento legislativo. Resta da chiarire se le infiorescenze vendute in tali negozi contenessero quantità di Thc superiori al limite dello 0,6% previsto dalla legge. In ogni caso, “anche qualora i prodotti in questione non fossero conformi alla normativa e la loro vendita fosse proibita, non sarebbe automaticamente giustificato un provvedimento di interruzione dell’intera attività commerciale ai sensi dell’articolo 100 del testo unico delle leggi di pubblica sicurezza (potendo essere sufficiente, ad esempio, un semplice sequestro della merce ritenuta illecita)”, sottolinea l’esperto. E aggiunge: “È anche possibile che i provvedimenti in questione siano stati adottati sulla base di altre violazioni normative o difformità rilevate dalle forze dell’ordine (ad esempio, requisiti di igiene o simili)”.

La stretta sui controlli
“Non li voglio. Ora usiamo le maniere forti”, aveva dichiarato Salvini sentenziando il destino dei canapa shop, prima di annunciare l’emanazione di una nuova direttiva che prevede una stretta sui controlli. “La direttiva sulla cannabis light’ del ministro dell’Interno non prevede altro che l’intensificazione dei controlli da parte delle forze dell’ordine nei confronti dei negozi che vendono prodotti a base di Cbd o Thc – sottolinea de Morpurgo – Questa è una scelta politica, possibile da un punto di vista giuridico, che porta soltanto al maggiore livello di controllo di conformità delle attività in questione, ma non cambia le regole del gioco. Dispone cioè soltanto che si verifichi che i negozi in questione non vendano prodotti illegali e rispettino tutti i requisiti di legge”. Insomma, la direttiva serve solo a premurarsi che venga rispettata la legge, niente di più di ciò che andava già fatto prima che il vicepremier leghista sollevasse il polverone sul tema.

Insomma, una lotta, quella di Salvini ai canapa shop che risulterebbe essere, dunque, una battaglia senza armi, che giace nel limbo tra l’impossibilità e una vera e propria bufala. “Il desiderio del ministro Salvini – la chiusura di tutti i negozi di prodotti a base di canapa – è a mio avviso irrealizzabile”, conclude l’esperto.

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