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Inizia la ‘cura’ di Deutsche Bank: via 18mila dipendenti

Christian Sewing, chief executive officer CEO Deutsche Bank

Di Andrea D’Ortenzio – Deutsche Bank vara il piano di ristrutturazione ‘lacrime e sangue’ più grande della sua storia e muta pelle per cercare di lasciarsi definitivamente alle spalle i problemi, le maxi sanzioni e le perdite di questi anni. E a Berlino il governo tedesco tira un sospiro di sollievo sperando che il gruppo cessi di essere uno dei malati d’Europa nel comparto bancario. Non saranno toccate le attività italiane, già impegnate su famiglie e aziende, i comparti dove si concentrerà la ‘nuova’ Deutsche Bank tornando così a un modello più classico di banca. Il consiglio di sorveglianza, riunito in sede straordinaria in una domenica di luglio, ha approvato una profonda ristrutturazione che farà dimagrire Deutsche in termini di attivi e dipendenti, rinunciando appunto ad alcune attività bandiera, ma rischiose, della banca di investimento come il trading azionario e il reddito fisso.

Si concentrerà su altri settori come la banca corporate, la consulenza, le fusioni e acquisizioni e i servizi a famiglie e pmi, con fortissimi investimenti sul digitale. Saltano anche nomi eccellenti nelle prime linee dei vertici e del consiglio come i responsabili della divisione regolatoria Sylvie Matherat e quello delle attività retail Frank Strauss. E il governo tedesco spera così che il gruppo volti pagina e resti “nella massima divisione” come ha detto il ministro dell’economia Peter Altmaier, anche se è chiaro come la mossa rappresenti una ritirata da un comparto oramai dominato dai colossi anglosassoni come Jp Morgan e Goldman Sachs. L’esecutivo di Angela Merkel aveva escluso un impegno pubblico per la banca, una linea che Berlino ha portato avanti anche in Europa dopo i salvataggi statali, possibili prima dell’approvazione del bail in (ma che la Germania ha supportato in realtà soprattutto sotto forma di garanzie e non di cash).

La soluzione interna è arrivata infatti dopo mesi di trattative, poi tramontate, per una fusione con Commerzbank (il cui 15% è ancora in mano pubblica) che era stata caldeggiata dalla componente Spd del governo per creare un campione nazionale ma che aveva lasciato perplessa la Cdu oltre che la banca centrale europea. Imponenti saranno quindi i sacrifici che il gruppo dovrà sopportare: il piano prevede l’uscita di 18mila dipendenti in tutto il mondo ma che si concentreranno soprattutto a New York e in Asia e che l’ad Christian Sewing si impegna a gestire “nel modo più responsabile possibile”.

Non verranno toccate le attività in Italia dove non sono presenti i business che il gruppo dismetterà. Inoltre è prevista la cessione di 74 miliardi di euro di attività ponderate per il rischio (rwa) e di 288 miliardi di esposizioni a leva a una società, una ‘bad bank’, chiamata Capital Release Unit che ne dovrà gestire la dismissione. L’impatto sul bilancio di gruppo sarà di 5,1 miliardi di euro, la gran parte (3 miliardi) spesato nel secondo trimestre che finirà quindi in rosso di 2,8 miliardi anche se i conti saranno approvati il 24 luglio. Da qui al 2022 i costi di ristrutturazione ammonteranno a 7,4 miliardi. Il board non chiederà ai soci un aumento di capitale che dovranno però rinunciare ai dividendi per due anni. Il capitale di buona qualità Cet1 è infatti al 13,7% e subirà una riduzione ma le attività su cui si concentrerà la banca saranno meno rischiose e ne assorbiranno meno. D’accordo con le autorità di vigilanza, per il board, il livello del 12,5% cui scenderà il gruppo dopo la ristrutturazione sarà adeguato alla ‘nuova’ Deutsche Bank. Ora la parola spetta ai mercati che dovranno giudicare se le misure sono sufficienti a riportare il gruppo sul sentiero della redditività.

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