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di maio salvini governo crisi di governo trenta
È durato poco più di un anno il governo gialloverde. È nato da un compromesso talmente forzato da imporre un contratto per blindare, almeno nelle intenzioni, il rispetto di una road map scandita dall’approvazione delle rispettive misure di bandiera. Reddito di cittadinanza e quota 100 sono stati i traguardi raggiunti, non senza settimane di dura battaglia. Dovevano rappresentare il punto di partenza per aprire una fase due all’insegna di altri provvedimenti ‘manifesto’: autonomie e flat tax nella bacheca della Lega, il salario minimo e il taglio dei parlamentari in quella pentastellata.
L’incompatibilità finanziaria di due programmi di fatto alternativi ha reso da subito evidente che per trovare lo spazio necessario sarebbe stato inevitabile sacrificare le esigenze di bilancio. Da qui, il tentativo di finanziare buona parte della politica economica in deficit e la complicata vertenza con l’Europa per evitare una procedura di infrazione che sarebbe arrivata puntuale se non ci fosse stato l’intervento deciso del Quirinale, con la conseguente presa di posizione ferma del ministro dell’Economia Giovanni Tria e del premier Giuseppe Conte.
A rendere definitivamente impossibile la convivenza tra grillini e leghisti è stato il risultato delle elezioni europee, che ha ribaltato gli equilibri interni alla maggioranza, consegnando di fatto a Matteo Salvini le chiavi del governo. Un passaggio che ha autorizzato il vicepremier, e ministro dell’Interno, ad abbandonare le buone maniere e a mettere in piazza, letteralmente, tutti i limiti dei ‘no’ grillini. A partire dal più rumoroso, quello alla Tav, su cui poi si è effettivamente consumato il voto su fronti opposti in Parlamento.
In quattordici mesi di governo quei ‘no’ hanno pesato in negativo sull’economia italiana. Così come hanno fatto la loro parte per bloccare il Paese, allarmando i mercati e soprattutto gli investitori, le spericolate suggestioni leghiste. Leggasi, mini bot e ammiccamenti di varia natura a posizioni anti Euro.
Serviva altro per sostenere un’economia sempre sul filo di una pericolosa nuova recessione. Serviva una politica economica che mettesse prima gli interessi dei lavoratori, di chi il lavoro lo cerca e non lo trova, delle imprese che possono contribuire a crearlo. Servivano soprattutto stabilità e fiducia.
Si apre invece l’ennesima fase di instabilità, di attesa per nuove elezioni, di sospensione. Ovvero, le condizioni migliori per rimandare investimenti, stimolare nuova speculazione e accumulare ulteriore ritardo. Sono i tempi e le logiche della politica ma si conciliano poco, o nulla, con le esigenze dell’economia. Soprattutto di quella italiana, resa fragile dalla montagna di debito accumulato.
A questo punto, si stringano il più possibile i tempi. Si volti pagina in fretta. Prima o poi si dovrà ripartire da una situazione ‘normale’: una maggioranza coerente che sostiene un governo solido e un’opposizione viva che sia in grado di contendere spazio al fronte avversario. Tornando a parlare di politica economica, di misure corrette e di misure sbagliate. Archiviando il teatrino giallo-verde.
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