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Biochipping: non più fantascienza

Ha ‘chippato’ più di 4000 persone in Svezia e in tutta Europa. Sebbene molti progetti siano focalizzati sull’utilizzo sanitario del biochip, come il monitoraggio del battito cardiaco o dello zucchero nel sangue, fino ad ora Jowan Österlund, fondatore della Biohax International, sta vendendo i suoi chip a persone senza disturbi di salute. Le applicazioni spaziano dal fare acquisti ad aprire le serrature passando attraverso barriere di sicurezza. “La tecnologia verrà incorporata nell’uomo – afferma – Ne sono sicuro”. di Vivienne Walt

IN FONDO A UNA STRETTA STRADA secondaria nella città svedese di Göteborg si trova lo studio piercing Barbarella, un ritrovo abituale per chi vive in zona e ama decorare il proprio corpo con piercing e tatuaggi, e che dice di offrire la migliore collezione della zona di orecchini e anelli per il naso. Ma in una gelida serata di novembre, il negozio diventa teatro di un nuovo tipo di valorizzazione del corpo: il biochipping. Mentre nella città portuale di circa 600.000 persone cala l’oscurità, Jowan Österlund gironzola, indossando un cappellino da baseball e una maglietta, in attesa di incontrare due nuovi clienti per la sua startup, la Biohax International. Tira fuori dal suo zaino alcune siringhe avvolte nella plastica, ognuna contenente un minuscolo microchip scuro appena visibile dall’esterno. All’interno del modesto pacchetto c’è il pregiato prodotto di Österlund, una finestra su ciò che oggi sembrerebbe essere una marginale ossessione tecnologica ma che, lui crede, un giorno diverrà il cuore di una gigantesca industria. “Sta nascendo un nuovo modo di comportarsi rispetto ai dati, che avranno un valore enormemente superiore rispetto a quelli che abbiamo ora – afferma Österlund – È una specie di chimera. Ma alla lunga, questo è ciò che accadrà”.

Appollaiato su uno sgabello in una delle stanze per i piercing, Österlund spinge l’ago dentro Claes Radojewski e lo ritira fuori, lasciando un microchip da un kilobit nella parte carnosa tra il pollice sinistro e l’indice. In pochi secondi, Radojewski è diventato un biohacker all’avanguardia, con sua grande sorpresa. “Non sono nemmeno mai stato in uno studio di tatuaggi”, afferma il program manager di MobilityXLab, un innovation center dell’industria automobilistica che si trova a Gothenburg, gestito in collaborazione con Ericsson, Volvo e altri. “La mia ragazza mi ha chiesto se si trattasse di una specie di crisi di mezza età perché si avvicinano i miei 30 anni”. Radojewski racconta di volere un biochip da quando ne ha appreso l’esistenza, alcuni anni prima: “In Svezia, ci piace usare la nuova tecnologia nella quotidianità”. Österlund, l’imprenditore che brandisce l’ago, è convinto che entro breve ci saranno milioni di persone in tutto il mondo che vorranno impiantarsi un chip. Come prova, fa riferimento alla sua app di messanger su Facebook, gremita di richieste spontanee che arrivano ogni giorno anche da lontano, dall’Australia al Messico. Racconta anche di aver ricevuto email da investitori curiosi “da tutti i continenti, eccetto l’Antartide”.

Nonostante l’entusiasmo dei curiosi, i progressi di Österlund stanno andando a rilento. Ha fondato la società nel 2013, cominciando a dedicarcisi a tempo pieno solo nel 2016, e le sue entrate rimangono minime. Al momento, dice: “me la cavo, non mi sto arricchendo”. E lo farai, gli chiedo? “Sì. Oh, sì” risponde. In effetti, Österlund, 38 anni, potrebbe essere al centro di una grande ondata tecnologica, in cui un numero crescente di funzioni attualmente svolte da dispositivi esterni, passeranno su device impiantabili sottocute. A novembre, un rapporto di MarketsandMarkets Research in India ha stimato che il mercato globale dei biochip potrebbe arrivare a valere circa 17,75 mld di dollari entro il 2020. E già nel 2018, non poteva essere che un futurista come Elon Musk ad annunciare di essere uno dei sostenitori di una società californiana, la Neuralink, che impianta elettrodi nel cervello per monitorare i pensieri.

La Biohax di Österlund sta già facendo progressi su piccola scala. Ha ‘chippato’ più di 4000 persone in Svezia e in tutta Europa. Sebbene molti progetti siano focalizzati sull’utilizzo sanitario del biochip, come il monitoraggio del battito cardiaco o dello zucchero nel sangue, fino ad ora Österlund sta vendendo i suoi chip a persone senza disturbi di salute. Le applicazioni spaziano dal fare acquisti, ad aprire le serrature passando attraverso barriere di sicurezza – cosa che, in realtà, già facciamo con i chip inseriti su tessere di plastica. “La tecnologia verrà incorporata nell’uomo – afferma – Ne sono sicuro”.

Innanzitutto, Österlund e gli altri ‘chippatori’ dovranno superare dubbi comprensibili, sia sulla privacy, sia etici. Sebbene i chip siano inerti e, quindi, teoricamente innocui, per molte persone l’idea stessa di avere impiantato in maniera permanente un dispositivo in grado di connettersi evoca la perdita di controllo sull’unica sfera in cui possono ancora essere sè stessi: i loro corpi. Qualsiasi segnalazione su aziende che utilizzano biochip suscita immancabilmente indignazione. Quando BioTeq Ltd., una società inglese di biochip, ha annunciato a novembre di aver impiantato microchip su circa 150 persone in tutta la Gran Bretagna, la British business organization (Bci) ha dichiarato: “Non è facile da accettare”. Il Trades Union Congress ha messo in guardia dai biochip: “darebbero ai dirigenti ancora più potere e controllo sui dipendenti”. I problemi che si sono recentemente manifestati suggeriscono la necessità di un’attenta supervisione: un rapporto del consorzio internazionale dei giornalisti investigativi ha rivelato che, in numerosi Paesi, i pazienti che sono stati chippati hanno subito infortuni a causa di ‘impianti mal collaudati’ (non tutti biochip). D’altra parte, mancano norme sull’utilizzo dei nuovi dispositivi. Tuttavia, in molti rimangono ammaliati dalla nuova tecnologia e ne stanno anticipando l’adozione. Tra chi si presenta da Barbarella per avere un chip Biohax c’è anche Annie Kjellson, 29 anni, ingegnere edile. Arriva con il figlio di 18 mesi in passeggino, e si accomoda per ricevere l’iniezione. “Ci ho pensato per anni”, dice.

C’È ANCHE UNA INCONFUTABILE realtà sull’utilizzo dello strano oggetto fantascientifico: potrebbe oggettivamente rivelarsi uno strumento molto comodo nella quotidianità. Il portafoglio nella borsa che porto appesa alla spalla è pieno di pezzi di plastica che indicano che sono un membro della palestra, un giornalista, un cliente di due banche e di una società di carte di credito, per ciascuna delle quali ho una password che puntualmente dimentico. Ci sono anche tessere con informazioni sulla mia assicurazione sanitaria, sulla compagnia aerea che utilizzo solitamente, sul fruttivendolo dal quale faccio la spesa abitualmente, e sul mio parrucchiere. Poi c’è il mio mazzo di chiavi, strumenti primitivi che hanno aperto porte, cassapanche e armadietti per migliaia di anni, e ai quali in qualche modo rimaniamo strettamente attaccati. Il giorno dopo il mio rientro dalla Svezia, mi chiudo fuori dal mio appartamento mentre sto uscendo di corsa per andare a giocare a tennis. Questa svista richiede un complicato scambio che prevede l’utilizzo di un taxi per arrivare a cinque miglia di distanza, dove un altro mazzo di chiavi giace nella tasca di mio marito.

Per i biohacker queste antiquate abitudini sono senza senso. “Perdevo sempre le chiavi. Ora sblocco la porta di casa con la mano”, racconta Aric Dromi, futurologo svedese-istraeliano che ha un chip Biohax impiantato nella mano, e che siede nell’advisory board dell’Hack for Sweden, l’organizzazione del governo svedese che mira a incorporare i big data in tutti i servizi pubblici del paese.

Ho vissuto il tentativo di implementare questa tecnologia dal vivo quando sono salito con Osterlund a bordo di un treno diretto a Goteborg, dalla città balneare di Helsingborg, dove ha sede Biohax. Mentre il controllore passava lungo il corridoio, Osterlund gli ha mostrato la mano: il suo biglietto era incorporato nel biochip. Lo ha strisciato senza neanche pensarci: l’intera rete ferroviaria nazionale della Svezia ora è abilitata ai biochip. Così anche molte delle 172 palestre gestite da Nordic Wellness in Svezia, dove i membri e lo staff possono aprire i tornelli di sicurezza e gli armadietti e visualizzare i propri esercizi su appositi monitor. Certo, le tessere elettroniche fanno la stessa cosa nelle palestre di tutto il mondo, ma il biochip consente di fare i propri esercizi senza portarsi nulla appresso. Mentre ci beviamo un caffè a Goteborg, Dromi mi dice che è convinto che alla fine saranno a milioni le persone che si doteranno di microchip sottocutanei – e probabilmente in un futuro più vicino di quanto si possa immaginare – semplicemente perché ha senso, se non altro per memorizzare tutte le password e rendere l’utilizzo delle chiavi superfluo. Inoltre, pensa che sia più sicuro rispetto agli accessori che uno si porta appresso solitamente. Protesto, dicendogli che il mio appartamento a Parigi si sblocca solo con una chiave elettronica. “Sì? Vediamola” dice. Quando la estraggo dalla borsa, lui la passa sul lettore Nfc (Near Field Communication) incorporato nel suo smartphone e poi solleva lo schermo per mostrare la stringa di dati che sblocca entrambe le serie di porte del mio edificio, a 950 miglia di distanza. “Posso clonarlo in cinque minuti”, dice. I biochip sono molto più sicuri, in qualche modo. Per entrare in casa di Dromi, ad esempio, bisognerebbe trascinarlo fisicamente lì, sapere dove è stato impiantato il suo biochip, e muovere la mano sul lettore Nfc montato sullo stipite. I lettori Nfc, in pratica i dispositivi di abilitazione per i biochip, stanno proliferando.

Lo scorso giugno, il Car connectivity consortium, che comprende le principali case automobilistiche del mondo e aziende tecnologiche come Apple e Samsung, ha approvato l’utilizzo di un sistema di chiavi digitali standard, che consente ai conducenti di aprire le portiere dell’auto e avviare il motore tramite un’app sullo smartphone. L’accordo non menziona i clienti che vogliono inserire i dati delle chiavi delle macchine sui loro chip sottocutanei. Ma il passo per arrivarci è molto breve, e ogni biohacker che incontro in Svezia mi dice che perdere le chiavi era una delle principali motivazioni che lo ha spinto a microchipparsi. Il chip è inserito all’interno di in un contenitore di vetro sterile e ha una piccola antenna e un circuito integrato che trasmettono i dati quando si trova vicino a un lettore elettronico.

Finora, i chip Biohax hanno un solo kilobyte di memoria, ma aumenterà con l’incremento dei possibili utilizzi degli stessi microchip. Infatti, una volta che inizi a guardare il mondo attraverso gli occhi dei biohacker, cominci a notare quanto siano assurde certe abitudini che abbiamo nella quotidianità: l’addetto alla reception del medico, ad esempio, che estrae la tua cartella clinica personale da uno schedario; l’autista dell’autobus che ti vende un biglietto cartaceo quando sali a bordo; o le volte che cominci a frugarti le tasche per lasciare la mancia al ristorante. Tutte queste cose, e altre migliaia, potrebbero essere gestite con un biochip delle dimensioni di un chicco di riso. I biohacker chiamano tutte queste infinite azioni senza biochip ‘attriti’ – momenti che deviano la nostra attenzione e occupano spazio nel nostro cervello che potrebbe essere utilizzato meglio, per esempio, per scrivere poesie o giocare con i bambini.

Il biochipping è un’opportunità che esiste da anni – e non solo nei libri e nei film di fantascienza. Già nel 2004, la Food and drug administration – l’Aifa americana – aveva approvato un chip impiantabile per Applied digital solutions a Delray Beach, in Florida, per l’archiviazione delle cartelle cliniche su chip da impiantare nella parte superiore del braccio dei pazienti. Il dispositivo potrebbe essere un salvavita: davanti a una persona che arriva in ospedale in stato di incoscienza, i medici potrebbe ottenere in un istante tutti i dati necessari a intervenire, dal gruppo sanguigno, alla storia clinica fino allo status di donatore di organi. Eppure, tre anni dopo l’approvazione della Fda, la società ha dichiarato di non aver trovato un mercato per i suoi chip, e che “potrebbe non trovare mai uno spazio nel mercato o solo con vendite modeste”. L’azienda spiegò che parte del fallimento era imputabile al fatto che i medici si erano rivelati poco inclini a parlare ai loro pazienti del nuovo dispositivo, a causa dello scetticismo dei pazienti stessi in materia di invasione della privacy.

Secondo i biohacker le critiche sono figlie della disinformazione. E spiegano che i biochip sono inerti e passivi, e comportano rischi per la privacy decisamente inferiori rispetto agli smartphone che trasmettono continuamente i nostri spostamenti. Ma questa logica non ha fermato l’incessante martellamento di spaventose storie in cui i biochip non sono altro che un sistema di controllo orwelliano. Anche i ritratti del biohacking presenti nelle fiction hanno promosso una visione distopica del futuro. “Nei film di fantascienza ogni impianto è un tracker o un ordigno esplosivo – afferma Osterlund – Guarda Matrix, Blade Runner o Johnny Mnemonic: l’impianto è sempre connesso a qualcosa di veramente inquietante o negativo”.

Probabilmente ci sono pochi posti migliori della Svezia per cercare di abbattere questi stereotipi. Gli ingegneri in Svezia, la cui intera popolazione supera di poco quella di New York, hanno inventato la prima app al mondo per videochiamate via web, Skype; la più grande piattaforma di streaming musicale, Spotify; e una delle prime compagnie di telefonia mobile, Ericsson. In Svezia, inoltre, i contanti non circolano quasi: meno dell’1% dei pagamenti vengono effettuati con banconote e monete. “È una questione culturale – afferma Osterlund – Abbiamo un tasso di adozione più rapido in Svezia e probabilmente c’è un livello di fiducia nel governo più elevato rispetto a quanto avviene in molti altri paesi. Non abbiamo paura che se ne approfittino”.

Per certi aspetti, il biochipping è già ben accettato. È da tempo che gli svedesi lo utilizzano per gli animali domestici, in modo che siano rintracciabili se si perdono. E i pacemaker cardiaci, che sono un altro tipo di impianto biochip, sono ampiamente adottati da decenni. Tuttavia ci sono ancora molte persone scettiche sull’utilizzo del biochip per comodità. “Dal punto di vista del business, sembra tecnologia al servizio della tecnologia”, afferma Richard Oglesby, presidente di AZ Payments Group, una società di consulenza globale specializzata nei pagamenti, che si trova a Mesa, in Arizona. “Impiantare i chip è un atto invasivo, non necessario e non particolarmente utile: esistono soluzioni indossabili che possono facilmente e comodamente replicarne le funzionalità”. Inoltre, può darsi che il biochipping non sia ancora arrivato su vasta scala perché alcuni dei primi a crederci arrivano dall’universo di piercing e tatuaggi, non da laboratori di ingegneria. Per esempio, Österlund ha fondato la sua prima azienda, Cutting Edge, nel 2004, come impresa di body-piercing specializzata in alcune strane pratiche come la marchiatura con il ferro caldo e i piercing al setto nasale. In effetti, quasi tutti i biohacker che ho incontrato in Svezia erano ricoperti di tatuaggi, incluso Osterlund, che una sera si è tirato su la camicia per farmi vedere un grosso tatuaggio di una donna ben distesa sulla sua pancia (“dovresti vedere il resto”, ridacchiava). Per molti bodyhacker, passare dai tatuaggi, ai piercing fino agli impianti è semplice. “La gente rimane molto affascinata dal fatto che è possibile modificare le funzioni del proprio corpo”, mi dice, mentre attraversiamo la costa occidentale della Svezia su un treno ad alta velocità. “Sto permettendo al mio corpo di parlare alle macchine ed è molto meglio essere digitale in un mondo digitale che analogico in un mondo digitale”.

SE IL BIOCHIPPING DOVESSE MAI prendere piede sicuramente diventerebbe un vero e proprio business. Österlund sta facendo il possibile, a partire dal tentativo di raccogliere fondi per Biohax. Racconta che un investitore svedese, del quale non ha voluto rivelare il nome, a dicembre ha fatto un investimento a ‘sei cifre’ su Biohax. E afferma di aver assoldato circa 100 tra medici e infermieri per impiantare chip, una volta che avrà formalmente commercializzato l’attività, oltre l’attuale fase.

Alla fine di novembre, Biohax ha firmato una partnership con Verisec, una società di sicurezza informatica di Stoccolma che fornirà una piattaforma di identità elettronica per i biochip di Österlund. Ciò consentirebbe l’utilizzo dei chip Biohax per i pagamenti elettronici regolari, non solo per quelli all’interno di ambienti chiusi come la mensa di un’azienda, e per archiviare documenti come patenti di guida e passaporti. Österlund chiama l’affare “l’inizio di una nuova epoca”.

Negli Stati Uniti, l’utilizzo di device impiantabili per misurare i livelli di glucosio nel sangue, individuare soffi cardiaci e altre condizioni, si è impennato negli ultimi anni, mentre fino a poco tempo fa erano disponibili solo come dispositivi esterni. “Da lì all’impianto di un chip, il passo è breve”, afferma Raj Denhoy, analista di medical technology per il Jefferies Financial Group di New York, che ritiene che la crescita del mercato dei biochip sarà rapida: “Nella misura in cui i biosensori consentiranno ai medici di intervenire sui pazienti in maniera più efficace, l’utilizzo di dati clinici per migliorare i risultati dei trattamenti è una realtà che sta per esplodere”. A poco a poco, i biochip diventeranno il mainstream. Three Square Market, un’azienda tech di River Falls nel Wisconsin, afferma di aver inserito chip su 673 persone negli Stati Uniti, tra cui 85 dipendenti, che utilizzano il dispositivo per “la conservazione dei dati personali e alcuni anche come ‘portachiavi’ per aprire le porte”, secondo il ceo Todd Westby, che per primo ha testato la tecnologia sui chip Biohax. “Attualmente, stiamo ancora sviluppando e imparando quali siano le sue potenzialità”, dice. La scorsa estate, i rappresentanti delle aziende giapponesi che lavorano nel comitato delle Olimpiadi di Tokyo sono venuti in visita da Osterlund per capire come potrebbero utilizzare i biochip affinché scorra tutto liscio durante i Giochi.

In Svezia, intanto, Osterlund è diventato una vera e propria attrazione per gli eventi aziendali, dove si presenta con una scorta di siringhe, pronto a iniettare chiunque desideri essere chippato. Lo scorso marzo, ha presentato i chip Biohax ai dirigenti di PricewaterhouseCoopers a Malm, al confine con la Danimarca. Mns Liljenlov, capo marketing regionale di PwC, si è immediatamente sottoposto all’impianto e ora entra in ufficio, apre il suo armadietto e compra il pranzo al lavoro con un cenno della mano. Ha anche detto che ha intenzione di rinnovare casa sua quest’anno e installare lettori di chip al posto dei buchi della serratura. Quando a fine novembre l’ho raggiunto ad una riunione con alcuni clienti a Helsingborg, mi ha detto che il suo chip Biohax si è dimostrato un prezioso argomento di conversazione con i clienti. “Le persone continuano a chiedermi il biglietto da visita – racconta – Io gli dico che non ho biglietti da visita, ma possono visualizzare il profilo LinkedIn che è nel mio biochip”. Il profilo si apre sullo smartphone di qualcuno quando si sfiora la mano sullo schermo. “La gente dice: ‘Cosa? Stai scherzando!’ E vogliono toccarmi la mano per capire se si sente qualcosa”.

Anche altre aziende affermate mi stanno contattando. Nell’ottobre 2017, Tui Group, la più grande compagnia di viaggi del mondo, ha invitato Osterlund a Stoccolma, dove si trova la sede regionale, per una dimostrazione dei suoi prodotti. Osterlund è stato sopraffatto dalle richieste ed è tornato due volte per soddisfare tutti gli ordini; ora circa 100 su 500 membri dello staff sono chippati. “Penso di essere stato veramente il primo ad essere chippato in ufficio”, afferma Alex Huber, amministratore delegato di Tui Nordic, che è presente in Svezia, Danimarca, Norvegia e Finlandia. Ora lo staff con i chip impiantati può entrare in ufficio, comprare il pranzo e stampare documenti con un cenno della mano. Huber ha raccontato di essere rimasto sorpreso dall’avversione che esiste nell’adozione del biochip. “Questa è una barriera mentale che dobbiamo superare – afferma – I nostri telefoni fanno molto di più”.

Per Osterlund, la sfida ora è cercare di conquistare una buona quota di mercato per i biochip prima di essere calpestato da aziende più grandi, che potrebbero iniziare a produrli in serie. Benché Gran Bretagna e Germania stiano lavorando al lancio del biochip, secondo Osterlund, la sua Biohax sarebbe “parecchio avanti”. I chip Biohax sono prodotti da Nxp Semiconductors ad Amburgo e assemblati a Shenzhen, in Cina. Ma Osterlund mira a produrre in Svezia a partire da quest’anno. Dromi paragona questo stadio agli esordi dei veicoli elettrici: “Biohax sarà il più grande sul mercato? Nessuno può saperlo. Stanno per aprire la strada all’accettazione di massa? Sì”. Una singola decisione potrebbe trasformare Biohax in un player importante, dice Dromi, per esempio, se l’esercito svedese o l’Ikea cominciassero a usarli. “Sarebbe davvero una grande cosa, sin dal primo giorno”.

Per ora, Biohax sta testando i suoi sistemi e installando sulla piattaforma disposizioni per la sicurezza e la privacy. “Potremmo uscire in 26 Paesi la prossima settimana e vendere, vendere e vendere, ma non sarebbe una cosa molto responsabile da fare – afferma Osterlund – Vogliamo creare una piattaforma veramente solida e salvaguardare l’integrità e la privacy di tutti, la cosa più importante è che questo non si trasformi nel selvaggio West”. Suggerisco a Osterlund il fatto che un risultato ancora peggiore sarebbe un governo o una società autoritaria, che costringe le persone a essere chippate per controllarle. “Oh, no – commenta – Per favore, spero che non accada”. Meglio lasciare questa possibilità ai film di fantascienza.

Articolo di Vivienne Walt apparso sul numero di Fortune Italia di febbraio 2019

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