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Leonardo e Fincantieri insieme? Analisti perplessi

L’idea non è nuova. Questa volta l’ha rilanciata un ex presidente del consiglio e leader della neonata Italia Viva, formazione formatasi con una quarantina di parlamentari, per lo più di provenienza Pd. Matteo Renzi in più occasioni, nel corso di alcune presentazioni del nuovo partito, ha detto che come politico lui non si preoccupa di poltrone o delle persone da mettere nei consigli di amministrazione delle aziende pubbliche. Preferisce occuparsi delle strategie: perché se Leonardo e Fincantieri non si mettono insieme quando fanno delle trattative con gruppi esteri finisce che vengono risucchiate.

Oggi è arrivata la risposta di uno dei due manager Giuseppe Bono, amministratore del gruppo cantieristico. Io, ha detto, la penso come Alessandro Profumo, l’Ad di Leonardo: “bisogna capire cosa metti insieme, noi siamo molto forti nel civile, Leonardo pure, e poi abbiamo tutte e due una presenza nel settore della difesa, per altro in modo diverso. L’unico punto unificante è il discorso elettronico”. Non è un no né un sì.

Fondere il gruppo cantieristico pubblico insieme alla società aerospaziale, anch’essa a controllo pubblico dovrebbe impedirebbe che nelle discussioni, ora in corso con il governo francese, la società italiana si trovi in una situazione di debolezza. Fincantieri, dopo aver dovuto ridimensionare il tentativo di rilevare i cantieri Stx di Saint-Nazaire, sta discutendo con l’altro azionista francese una strategia comune in alcuni campi.

La controparte è Naval Group, azienda pubblica specializzata nelle forniture navali, molto forte nella cantieristica militare e nei sistemi per l’allestimento delle navi da guerra. Di qui, probabilmente, l’idea di Renzi di fondere Leonardo e Fincantieri.

Mettere insieme società affini può avere un senso industriale e fare bene ai conti delle imprese, ma non sempre queste idee funzionano.

Fortune Italia ha girato la domanda sulla possibile integrazione fra Leonardo e Fincantieri a una quindicina di analisti che seguono le due imprese. Abbiamo chiesto se la fusione possa essere una buona operazione, o se possa bastare l’integrazione di parti delle due aziende.

Molti hanno declinato perché la politica aziendale gli impone di non parlare con la stampa, alcuni non hanno risposto, un silenzio che forse parla, due ci hanno dedicato il loro tempo.

Avendo chiesto di rimanere anonimi li chiameremo semplicemente A e B.

La risposta è stata una sonora bocciatura: non è una buona idea, anzi potrebbe creare difficoltà a tutte e due i gruppi. Anche se si facesse una integrazione parziale, unendo solo le attività nel militare.

Prima di addentrarci è meglio cercare di capire di che cosa si stia parlando.

Fincantieri, con circa 5,5 miliardi di fatturato è uno dei principali gruppi al mondo di costruzioni di navi da crociera. Essendo pubblica, e trattandosi dello stesso lavoro, la società si è buttata anche nelle commesse militari, che rappresentano il 20% del fatturato.

Leonardo è una società aerospaziale: realizza aerei ed elicotteri, civili e militari, sistemi d’arma, come cannoni, siluri e missili. Ma anche l’informatica che governa la protezione delle forze armate: radar, sistemi di rilevazione e puntamento e via così. In tutto fattura grosso modo 12,2 miliardi di euro.

Mettendole insieme non ci sarebbero grandi sovrapposizioni e quindi necessità di tagliare e ridurre il personale. Si darebbe vita ad un nuovo gruppo, più grande, senza i dolori che accompagnano i parti. Ma anche, dice l’analista A “senza creazione di valore”.

Non ci sarebbe neanche un vero salto dimensionale, le grandi conglomerate della difesa come l’americana Lockheed Martin, fattura 54 miliardi e l’inglese Bae Systems, che ha in catalogo dagli aerei alle portaerei, di miliardi ne continuerebbe a fatturare il doppio.

“In genere queste società che fanno di tutto in borsa trattano a sconto”, un po’ come succede alle finanziarie gli investitori vogliono chiarezza sulle cose che una società fa. E poi non sempre più grande fa rima con più efficiente. Donald Trump si è spesso lamentato pubblicamente contro i costi, troppo elevati e i rinvii del programma F35 di Lockheed Martin.

Un’altra possibilità è che Fincantieri ceda le commesse militari a Leonardo. Tenendosi solo le navi da crociera e da diporto.

Senza entrare, ora, nel merito della possibilità che Leonardo aggiunga un’altra branca al suo piano industriale dopo che per anni non ha fatto altro che sfoltire le attività meno profittevoli, l’analista A fa intravedere un altro e più grave possibile vulnus di una scelta del genere.

“Fincantieri, si muove nel mercato delle navi da crociera, che oggi va bene, ma si tratta di prodotti che la società deve realizzare finanziandosi con indebitamento, i committenti pagano a fine lavori. Mentre nelle commesse militari ai fornitori vengono garantiti anticipi, stati di avanzamento e il saldo. Privarsi di questa fonte di finanziamento, in un momento in cui il mercato magari gira al peggio non sarebbe un bene “, dice A. Il gruppo cantieristico potrebbe indebolirsi.

Secondo l’analista B anche la sola cessione a Fincantieri delle attività di produzione dei sistemi potrebbe rivelarsi controproducente.

“Nelle commesse militari in genere gli stati maggiori si scelgono i sistemi, radio, radar, di cybersicurezza d’arma e anche le motorizzazioni”, così come un cliente di un’auto di lusso pretende un sistema audio di suo gradimento, tappezzerie personalizzate e via dicendo. Questo fa si che per partecipare alle gare i costruttori di navi in genere si alleano con i realizzatori degli altri sistemi per ottemperare alle richieste di ciascuna gara.

“Legandosi ad un solo fornitore, con una fusione o l’integrazione di parti di società rischia di ridurre la flessibilità dei due gruppi”, conclude A. Del resto, che il suo lavoro fosse di fare l’assemblatore di prodotti altri sui propri scafi è una visione che lo stesso Bono ha esplicitato più volte.

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