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Una fusione come quella tra Fca e Peugeot non può essere alla pari. Non può esserlo, almeno, quando sarà pienamente operativa. È inevitabile che a valle del processo industriale e finanziario ci siano vincitori e vinti.

Il problema principale, oggi, è rappresentato dall’esigenza di difendere chi rischia di uscirne pesantemente sconfitto: una parte dei lavoratori e, più in generale, la capacità produttiva di un comparto industriale cruciale, come quello dell’auto, in un’area piuttosto che in un’altra.

Non è solo una questione di difesa degli interessi nazionali. Non è la bandiera italiana contro quella francese. Anche perché i due gruppi, Fca e Psa, sono da tempo internazionali, avendo fatto scelte nette, che hanno privilegiato mercati lontani da quelli in cui sono nati.

Ci sono però delle indicazioni chiare che arrivano dalla struttura dell’operazione. Il primo dato, fondamentale, riguarda la composizione dell’azionariato: Exor, la holding della famiglia Agnelli, è e resterà l’azionista di maggioranza relativa; l’equilibrio in cda c’è ma può essere rotto dal voto del ceo, super partes; il ceo super partes è quello di Psa, Carlos Tavares.

In questo scenario, vincitori e vinti saranno selezionati dalle scelte strategiche, industriali, che il nuovo colosso dell’auto inizierà a fare da domani. Si dovrà scegliere dove indirizzare gli investimenti, quali accordi esistenti privilegiare e quali disattendere. Difficile, se non impossibile, che il nuovo gruppo possa semplicemente sommare produzione, forza lavoro e piani di sviluppo di Fca e Psa.

A incidere sulle scelte saranno gli azionisti, con Exor che farà innanzitutto i propri interessi, il management, sulla carta guidato dalla componente Psa e con un Ad che dovrà dimostrare di essere realmente super partes, e una variabile da non sottovalutare mai: la politica. Su questo fronte, inevitabilmente si torna al gioco delle bandiere. Quella francese sarà tenuta alta dall’abituale pulsione statalista, quella tedesca si spenderà per gli interessi di Opel e degli stabilimenti tedeschi. E quella italiana? Le premesse non sono particolarmente incoraggianti: servirà una capacità di mediazione e di ‘interdizione’ nella politica industriale che questo governo finora non ha dimostrato.

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