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Instagram è il social del decennio ma Twitter ci ha cambiato

Instagram nel 2020 compirà 10 anni. Era il 16 luglio del 2010, infatti, quando è stata postata – per fare una prova – la prima foto sul social che più di ogni altro nell’ultimo decennio ha cambiato la nostra estetica (ebbene sì), il nostro modo di interagire con aziende, brand e personaggi famosi. Eppure, come ha scritto Sarah J. Jackson sul New York Times, è stato un altro il social che ci ha reso (e continua a renderci) persone migliori, anche se chi c’era dall’inizio ha avvertito un sensibile cambiamento nell’aria che si respira tra i cinguettii della piattaforma: Twitter.

Il social del decennio

Essendo nato agli albori degli anni 10 ad opera di Mike Krieger e Kevin Systrom, Instagram è sicuramente il social del decennio: quello che lo ha caratterizzato di più, quello da dove sono nati i trend, che ha dato una casa d’elezione ai “blogger” che ora si chiamano “influencer”, finalmente liberi dalla necessità di aggiungere testi inutili che nessuno leggeva alle foto super-ritoccate piene di pubblicità. Oggi Instagram ha cambiato proprietà – se l’è comprato nel 2012 Facebook per 1 miliardo – è passato dai 90 milioni di utenti attivi mensili del 2013 al miliardo di oggi, ed è valutato oltre 100 milioni di dollari. Krieger e Systrom si sono ritirati nel 2018, ma la loro app continua a macinare numeri: Facebook si aspetta di vederla crescere del 30% globalmente nel 2020. Abbiamo iniziato gli anni 10 con Instagram che ci permetteva di postare foto in continuazione, prendendo in prestito la metodologia veloce dello stream di Twitter, ma prediligendo l’immagine. Su Instagram le foto si “scrollano” così come su Twitter si fa con i testi, in modo veloce, senza la lentezza che impone Facebook (su Instagram si segue e si viene seguiti come su Twitter, non ci sono le “amicizie” reciproche come sul social di Zuckerberg, che pure negli ultimi anni si è adeguato al trend inserendo il tasto “segui”). Le foto su Instagram, però, non sono foto qualsiasi: sono foto che rendono il mondo più bello, attraverso il magico utilizzo dei filtri. Erano proprio i filtri a caratterizzare il social, che rendeva qualsiasi scatto, anche il più brutto, degno di essere condiviso, grazie a un ritocco istantaneo che lo elevava a “instagrammabile”.

Rendere il mondo più bello, usando un filtro

Da quando la piattaforma è diventata la casa degli “influencer” e soprattutto da quanto ha tolto lo “scroll” cronologico per mostrarci le foto nella home secondo un ordine deciso dall’algoritmo, Instagram è diventato il social dell’attenzione: una gara a chi riceve più like, più follower, più interesse da parte delle aziende. I filtri sono diventati più potenti, tutto doveva improvvisamente sembrare più scintillante, i colori più accesi, i dettagli più definiti. Anche chi non aveva uno smartphone con una fotocamera potente poteva fare riferimento certo sui filtri di Instagram: avrebbero aggiustato le cose. E non solo le “cose” ma anche le facce: Instagram negli anni ha lanciato aggiornamenti per farci gli occhi più grandi, la pelle più liscia, le guance più rosee. E anche se ha bannato i filtri che riproducevano effetti da chirurgia estetica, è indubbio che abbia cambiato la nostra estetica e soprattutto quella di migliaia di ragazzine che vogliono essere “belle su Instagram” e finiscono per avere tutte la stessa faccia. Tanto che i media americani hanno coniato il termine “Instagram Face” per indicare un volto simile a quello di Kylie Jenner e Kim Kardashian, le cui caratteristiche sono sopracciglia molto definite dalla matita, un volto truccato in modo da far risaltare gli zigomi rigorosamente “illuminati” e labbra carnose. La crescente popolarità della “Instagram face” ha dato anche un boost alle vendite di cosmetici per il cosiddetto “contouring” del volto, illuminanti, e matite per il viso (Kylie Jenner è diventata la più giovane miliardaria self-made nel 2019, dopo che la sua società di cosmetici, Kylie Cosmetics, ha firmato una partnership esclusiva con Ulta Beauty Inc., ed ha poi venduto una quota del 51% per 600 mln di dollari). Per non parlare dei viaggi: in quanti scelgono la meta del prossimo viaggio in base alla “instagrammabilità” del suo paesaggio? Recentemente la piattaforma ha iniziato a togliere il conto numerico dei like, per cercare di ridurre “l’ansia da prestazione” degli utenti. Ma naturalmente c’è una ragione economica dietro a questa mossa: secondo le ricerche di Facebook, infatti, togliere i like indurrebbe le persone a condividere di più e quindi di usare maggiormente le app.

Twitter, ancora una volta

Dire che Twitter sia rimasto quello di una volta sarebbe da ingenui. Ai suoi albori, sulla piattaforma dei cinguettii c’erano poche persone appartenenti a settori specifici – per lo più politici e giornalisti – che avevano intuito l’uso che di Twitter si poteva fare come una sorta – si diceva allora – di “agenzia di stampa” fatta dai “citizen”, ovvero dai cittadini che a quel tempo lo usavano per avvertire il mondo su fatti, eventi e rivoluzioni in atto. Era il 2011, erano i tempi delle primavere arabe e quell’ottimismo che Twitter distribuiva a colpi da 140 caratteri sembra oggi largamente dissipato. Sarebbe da ingenui, in tempi odierni, non ammettere che quel Twitter è cambiato, anche alla luce degli scandali sull’uso spregiudicato che i social hanno fatto dei dati degli utenti negli ultimi anni (quello di Cambridge Analytica su tutti). Non solo: l’elitario gruppo di utenti degli inizi è diventata una folla dove spesso emergono critiche, tweet pieni di odio, conversazioni guidate dagli insulti.

La voce delle minoranze

“Nonostante tutto, il modo in cui abbiamo usato Twitter nell’ultimo decennio ci ha reso persone migliori” ha scritto Sarah J. Jackson, docente della University of Pennsylvania, che sta per pubblicare il libro “#HashtagActivism: Networks of Race and Gender Justice” nel quale ha analizzato come gruppi di afro-americani, donne sopravvissute a violenze domestiche e transgender vittime di bullismo abbiano usato la piattaforma per accendere una luce su determinati temi. “Le critiche ai social media, e a Twitter in particolare, non dovrebbero oscurare il significato delle conversazioni che ci sono state negli ultimi 10 anni” dice Jackson. Non potrebbe essere più vero: Twitter ha avviato un modo di comunicare con la politica (e della politica) per il quale nessuno può più evitare il controllo del pubblico, ha scosso un attivismo che negli ultimi anni ha portato alla luce diverse tematiche semplicemente attraverso la condivisione di hashtag specifici. Twitter ha dato spazio a minoranze che hanno avuto la possibilità di emergere e di catalizzare l’attenzione dell’opinione pubblica. Pensiamo a tutto quello che ha significato il movimento #BlackLivesMatter per la comunità afro-americana: senza Twitter, nota Jackson, pochi americani avrebbero avuto modo di sentire i nomi di Trayvon Martin, Michael Brown e Sandra Bland, afro-americani le cui morti hanno fatto da sveglia per tutta l’America. Lo stesso si può dire di #TamirRice, il nome del dodicenne nero che aveva in mano una pistola giocattolo e per questo è stato freddato da un poliziotto. Poi c’è stato l’hashtag #OscarsSoWhite, per alzare il livello d’attenzione sulle nomination dei premi Oscar, che, nel 2015 e 2016, non hanno visto coinvolta alcuna persona di origine afro-americana. Ed ovviamente il #Metoo, il movimento contro le molestie sessuali sul posto di lavoro, che tuttavia aveva avuto come precedenti #YesAllWomen o #GirlsLikeUs, usato per difendere le donne transgender.

Le persone comuni fanno la differenza

Twitter non ha lo stesso numero di utenti e la stessa perversione di altri social, come per esempio Facebook. Tuttavia, gran parte dei suoi utenti sono attivisti, politici e professionisti dei media. Anche per questa ragione è il social che ancora – quasi dieci anni dopo le primavere arabe – può essere usato per smuovere le coscienze, per offrire uno spazio di espressione alle minoranze e per spostare l’attenzione dell’opinione pubblica sui problemi altrimenti nell’ombra. Non solo: viene usato anche dai consumatori per boicottare prodotti, film, campagne pubblicitarie, come è stato fatto #NotBuyingIt per richiamare brand che avevano diffuso pubblicità sessiste. I tweet di persone comuni hanno fatto in modo che campagne pubblicitarie di grandi marchi fossero escluse dai network televisivi che avevano paura di una ritorsione sulla piattaforma social. Gli scioperi per il cambiamento climatico che hanno coinvolto i giovani di tutto il mondo hanno trovato una eco sulla piattaforma attraverso gli hashtag #ClimateStrike (all’ottavo posto tra gli hashtag più usati del 2019). Sicuramente Twitter può essere usato – ed è stato fatto – per diffondere l’odio, ma come qualsiasi altra tecnologia dipende tutto da come la si usa. Molteplici esempi hanno dimostrato come, nell’ultimo decennio, le persone comuni siano riuscite a fare la differenza, e imprimere un cambiamento nel mondo. Instagram sarà anche il social del decennio ma Twitter, ancora una volta, resta il social più politico e quello che, negli ultimi dieci anni, ha fatto sentire la sua voce.

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