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Doveva essere la punizione di un pericoloso terrorista. È stata, come si è temuto un minuto dopo l’attacco Usa che ha eliminato il generale iraniano Quasem Soleimani, una dichiarazione di guerra. La reazione voluta da Teheran è arrivata questa notte, con un doppio attacco missilistico a obiettivi americani in territorio iracheno. E ha volontariamente, esplicitamente, il peso di un’operazione di guerra.

È stata rivendicata dalle guardie della Rivoluzione islamica e accompagnata da una solenne promessa: “La feroce vendetta è iniziata”. Mette in conto una nuova controffensiva americana e un’escalation che non può che essere chiamata con il suo nome: guerra.

È successo quello che sembrava inevitabile. La decisione di Trump, che ha evidenti implicazioni interne ed elettorali, ha raggiunto il suo obiettivo. Ora gli Stati Uniti sono in guerra e il Mondo occidentale è esposto alla guerra. È il momento di contare i missili e purtroppo ci saranno presto da contare i morti. Poi sarà la volta dei danni e delle ripercussioni economiche. E il costo da pagare per sostenere l’ultimo miglio della corsa per la conferma alla Casa Bianca di Trump sarà ben chiaro a tutti. Soprattutto fuori dagli Stati Uniti, almeno secondo i calcoli dell’Amministrazione americana.

A caldo, ci sono due considerazioni da fare per l’Italia. La politica estera di un governo debole, e senza un ministro degli Esteri all’altezza del suo ruolo, rischia di essere schiacciata in un contesto di alta tensione internazionale; la nostra economia debole, con il tema del debito sovrano sempre in primo piano, rischia di riaprire rapidamente una crisi rimasta latente negli ultimi mesi.

Ci sono i soldati italiani in Iraq costretti a riparare nei bunker. Ci sono le pochissime informazioni che il governo ha potuto condividere prima e dopo la decisione di Trump. C’e l’isolamento in Europa, con Francia, Germania e Gran Bretagna a condividere formalmente una posizione comune. C’è il ritardo inspiegabile nell’informativa al Parlamento e nell’espressione di una posizione forte e univoca del governo. C’è, in sostanza, una sospensione, una imbarazzata attesa degli eventi, che oggi diventa sempre più incomprensibile.

Fino a poche ore fa eravamo in una posizione difficile. Ora, dobbiamo fare i conti con la guerra.

 

 

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