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Fake news, equilibrio e credibilità: le sfide della comunicazione

raccontare la comunicazione

L’obiettivo, nel contesto caotico di un settore come l’informazione, soggetto a trasformazioni (come quelle tecnologiche) continue, era quello di capire quale sia il ruolo odierno della comunicazione nella tradizionale sfida che affrontano gli operatori di questo settore: costruire la reputazione dell’azienda per cui si lavora. Per farlo, Fortune Italia, in collaborazione con Eikon Strategic Consulting, ha organizzato l’evento “La comunicazione al centro della sfida reputazionale”, aprendo un ciclo di appuntamenti dedicati #RaccontareLaComunicazione

In una delle sale convegni di Palazzo Naiadi, a Roma, si sono confrontati operatori di primo piano del mondo della comunicazione delle grandi aziende. Si è discusso di come far percepire il valore della sostenibilità nel racconto aziendale, di come difendere la reputazione del brand, di come siano cambiati i rapporti tra le diverse funzioni all’interno delle aziende, e, infine, come possa essere misurata l’efficacia della comunicazione. A moderare l’incontro sono stati il direttore di Fortune Italia, Fabio Insenga, ed Enrico Pozzi, ceo di Eikon: “La ragione per cui siamo qui nasce da due considerazioni parallele che convergono stasera e nel percorso che faremo. La prima è sulla serie di ricerche che indicano un fenomeno inquietante, ovvero la comunicazione che perde peso, con l’inflazione della parola comunicazione che non corrisponde ad una sua legittimazione. Inoltre per la prima volta negli ultimi 2 anni negli Usa gli addetti della comunicazione hanno visto decrescere i loro salari di quasi il 30% e lo stesso sta succedendo in Europa. Qualcosa sembra aver perso forza. Nelle mappe semantiche manca la parola verità”: sembra ci sia un divario crescente tra comunicazione e autorevolezza, per Pozzi. “Un gap che fa della professione del comunicatore una professione in difficoltà. Il secondo aspetto è la sensazione che la comunicazione abbia perso un centro, semantico, con il disarticolarsi in target diversi e micro-obiettivi e canali in parte convergenti e in parte divergenti, con linguaggi tecnicamente e stilisticamente completamente diversi. L’obiettivo è quello di ridare un centro vissuto e forte alla comunicazione, raccontandolo, facendo parlare chi la fa”.

Per Silvia De Blasio, Direttore relazioni con i media e comunicazione corporate di Vodafone Italia, è vero che la comunicazione ha perso il suo centro: “Il contesto è cambiato e le tecnologie hanno un ruolo trainante. Questo porta a una grande diversificazione”, difficile da affrontare. È anche vero che “chi fa questo mestiere non deve mai smettere di imparare: hai la responsabilità di trasferire il cambiamento alle persone che lavorano con te”, di essere “aggiornato e creativo. Credo che il fulcro sia il rapporto con la verità. Ci sentiamo sfidati ogni giorno dal fatto che certe verità non esistono: alcune cose vengono completamente trasformate dai vari canali di comunicazione”.

Il tema che più di tutti ha animato la conversazione, infatti, è quello delle fake news e delle contromisure che possono prendere le aziende, e i professionisti della comunicazione in generale, per contrastarle. La vera battaglia, per De Blasio, “è proprio quella della credibilità concreta delle cose che facciamo ogni giorno. Le aziende sono grandi animali, con pro e contro, e fanno una fatica immensa per spiegare le cose in maniera lineare”. Nel settore tlc in cui opera Vodafone, ad esempio, c’è il tema dell’elettromagnetismo, e dell’infinita discussione sugli effetti dannosi dei cellulari. Una discussione che spesso deraglia dai binari dell’oggettività scientifica. Le aziende di tlc “hanno speso 6 mld e mezzo per l’acquisto delle frequenze per il 5G”, dice de Blasio. “Dentro quel bando c’era copertura di 120 aree, e 120 sindaci si sono opposti perché [secondo loro] fa male, perché diventerebbero cavie: la sfida dei comunicatori è dimostrare la credibilità scientifica rispetto a un percepito che diventa realtà, se ripetuto in continuazione attraverso tanti canali diversi”.

Anche per Marianna Ferrigno, Head of Italy & Emear south communications di Cisco, il contrasto alle fake news passa dalla credibilità: “Con le fake news la cosa da fare è creare il ‘trust’ nel brand, in modo da saper poi gestire il problema” delle notizie false. Un problema gestibile solo se sono chiare, all’interno di un’azienda, le varie responsabilità di chi deve affrontare la crisi comunicativa.

Di come siano cambiati i rapporti tra le diverse funzioni all’interno dell’azienda ha parlato anche Goffredo Freddi, Executive director, policy & communication di MSD, offrendo una prospettiva diversa dai colleghi sul palco, data dalla particolarità del contesto farmaceutico. Bisogna considerare “le dinamiche interne al nostro mercato”. Ad esempio le risorse limitate, rispetto al passato, della sanità pubblica, hanno “incrementato il ruolo della comunicazione”, così come ha cambiato le cose la “digital transformation”, che rispetto ai “limiti che avevamo prima ha aperto una marea di possibilità di fare comunicazione con nuovi mezzi: web series, app, social media. Le fake news, che nel nostro settore sono particolarmente rilevanti, ti aprono comunque delle opportunità: la notizia falsa spacca l’opinione pubblica, è vero, ma crea un mondo di ‘esitanti’ sulla quale la comunicazione ha un ruolo fondamentale e positivo, come nel caso dei No Vax”. D’altronde, con il passaggio della responsabilità sociale d’impresa da elemento di ‘compliance’ a ‘tangible asset’, ci sono “evidenze empiriche che chi ha la migliore reputazione va meglio sul mercato”, il che vuol dire che “il tuo valore di comunicatore è diventato più importante”.

In un contesto lavorativo rivoluzionato dal digitale, allora, come deve muoversi un operatore che debba comunque tener presente il ruolo dei media tradizionali? Per Paolo Iammatteo, Head of communication and Csr di Poste Italiane, il contesto “è già cambiato, e noi semplicemente lo rincorriamo, così come fa l’editoria. E un equilibrio tra mezzi di comunicazione, contenuti e verità è molto difficile da trovare”. Il compito di trovare il centro, dice Iammatteo facendo riferimento alle parole di Pozzi, è degli operatori (attraverso, anche in questo caso, la costruzione del ‘trust’) e dei media tradizionali. Quello che devono fare le aziende è “trovare un equilibrio interno, battendo sull’informazione aziendale in diversi canali, sempre rispettando serietà e trasparenza”. Proprio Poste ha dovuto e voluto puntare sulla trasparenza delle informazioni aziendali data la capillarità stessa dell’azienda e la necessità di “lavorare con i territori”. Comporta “uno sforzo enorme, ma porta un bel po’ di valore”.

Secondo Roberto Alatri, Head of group media relations & channels management di Assicurazioni Generali, la comunicazione sta vivendo una contraddizione: “A fronte della crisi dei media tradizionali io registro un valore inestimabile della carta, dei giornalisti e delle agenzie di stampa, perché il valore e il peso di un articolo sul Sole 24 Ore o sul Corriere della Sera o su Fortune Italia di carta, non è neanche paragonabile con una notizia che appare sui social media”. Parlando della multinazionale in cui lavora, Generali, Alatri fa un esempio pratico: “Quando mi sveglio la mattina e do un’occhiata alla rassegna, vi posso assicurare che se il Sole 24 ore parla male dell’azienda, la mia giornata non inizia storta: inizia in maniera drammatica. Stiamo vivendo in una sorta di mondo di mezzo” in cui anche se si cerca naturalmente “di aumentare impressions e engagement”, si guarda sempre cosa scrivono i giornali. Un altro esempio si ha nell’organizzazione di eventi aziendali: “Se il giorno successivo dico all’Ad che siamo andati su tanti siti e che ‘non può neanche immaginarsi quante impression abbiamo avuto’, lui mi risponde ‘sì va bene, ma Repubblica cosa ha scritto?’. Nella comunicazione dei social media siamo sostanzialmente autonomi, mentre nel giornalismo c’è l’esperienza e la capacità di mediazione del giornalista che poi è il vero valore della comunicazione”.

Il rapporto tra media tradizionali e mezzi digitali ha scaldato la discussione, nonostante poi la quadra si trovi in fretta: serve, anche in questo caso, equilibrio. Per Freddi “la nostra autoreferenzialità ha un ruolo nella valutazione dell’importanza di un articolo sul giornale. Non si può dimenticare che le interazioni mensili dei maggiori giornali, tutte insieme, sono otto volte inferiori” rispetto a quelle di una coppia di influencer come Chiara Ferragni e Fedez. “La carta stampata può naturalmente avere un ruolo, ma anche le testate devono saper sfruttare le opportunità dei social”.

Secondo Cecilia Ferranti, Head of communications Italy di Enel, “la figura del giornalista riveste un ruolo ancor più importante che in passato, e il proliferare delle fake news rendono la sua figura dirimente. Ha una responsabilità ancora maggiore. La credibilità e la trasparenza delle aziende è doverosa, ma anche i giornalisti sono fondamentali”. Di costruzione di credibilità, soprattutto nel campo della sostenibilità, Enel ne sa qualcosa, avendo legato il suo piano strategico agli obiettivi sostenibili. Quello creato dalla società energetica è un modello “concreto e vicino alla gente”, che passa dalla volontà di “non realizzare più niente che le comunità non vogliano, e questo ha un valore economico”. In un momento in cui “tutti parlano di sostenibilità, trovare la chiave per dare concretezza ai messaggi significa uscire dalla ‘melassa’. Noi lo abbiamo fatto integrando gli SDGs nel nostro piano strategico, però è difficile riuscire a distinguere il messaggio e non ricadere in una comunicazione solo emozionale: la sostenibilità è anche concretezza”.

L’attenzione alla sostenibilità, come la responsabilità sociale in generale, porta riscontri concreti anche secondo Ferrigno, e rispecchia la tendenza attuale a parlare di “valori, più che di prodotti”. “Noi ad esempio abbiamo creato delle Cisco networking academy presso le carceri, un lavoro partito dal 1990. Raccontare questa storia, e collegarla al brand, ci ha consentito di rafforzare la nostra reputazione attraverso la social responsibility: uno strumento molto potente che deve essere, però, coerente con i valori dell’azienda”.

Poste le regole da seguire per fare una comunicazione efficace, la necessità è quella di capire se la comunicazione stessa sta funzionando. In altre parole: come si misura la comunicazione? “Le multinazionali vivono di indicatori di performance, è proprio dentro il dna di queste aziende”, dice De Blasio. “Esistono degli strumenti di misurazione, ma c’è sempre il solito dilemma: qual è, al netto delle misurazioni, il percepito reale della comunicazione interna ed esterna, tenendo conto della differenza tra le due”. Per Alatri il metodo migliore risiede nell’individuazione del “soggetto terzo autorevole, che abbia metodologia comprovata e scientifica”. Non solo la certificazione esterna è utile perché “mettersi in discussione serve sempre”, precisa De Blasio, ma anche perché “a volte può servire anche all’interno dell’azienda, quando c’è scetticismo sull’efficacia del tuo lavoro di comunicatore”, dice Ferranti. I risvolti concreti ci sono anche secondo Ferrigno: “Quando siamo entrati in mercati dove non eravamo conosciuti, con un approccio strutturato basato sulla misurazione, abbiamo avuto ottimi risultati”. Anche per Iammatteo la misurazione è necessaria, “ci aiuta in un lavoro complesso e competitivo e servono aziende terze con fondamenti tecnico scientifici che possano fornire giudizi di misurazione: non possiamo più farne a meno”.

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