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Le startup sono pazze del dominio dell’Isola di Anguilla (.ai)

C’è un’isola nel mar dei Caraibi che sta diventando famosa non solo per le sue spiagge bianche e l’ottima possibilità di praticare lo snorkeling, ma anche per una peculiare caratteristica legata alla tecnologia: il suo dominio internet. Anguilla, che è un territorio Britannico d’Oltremare, è la patria degli indirizzi che finiscono per “.ai”, divenuti improvvisamente ambitissimi nel mondo delle aziende tech.

Le startup, infatti, sono sempre alla ricerca di nuovi modi per farsi notare nel mare di concorrenza e usare un dominio non convenzionale può essere una strategia. L’aumento di aziende nel settore dell’intelligenza artificiale – che negli ultimi anni ha avuto un boom – non ha fatto altro che incrementare la domanda di domini dell’isoletta caraibica che permette di terminare il proprio indirizzo online proprio con la sigla “.ai”. Così i domini web sono diventati per Anguilla un patrimonio di real estate addirittura più redditizio delle sue spiagge bianchissime. Ogni volta che viene registrato un dominio .ai, l’isola riceve una commissione di 50 dollari annui che vanno dritti nelle casse dello stato. Secondo il New York Times, la somma delle commissioni dai domini .ai ha raggiunto nel 2018 la cifra spaventosa di 2,9 milioni di dollari, che corrisponde quasi alla somma di tutti i salari dei 127 insegnanti della scuola primaria, assistenti e amministratori sull’Isola. Ma i ricavi sono addirittura aumentati lo scorso anno, tanto che Vincent Cate, che gestisce il registro dei domini .ai, ha paragonato la tendenza a una valanga di neve.

Quello dei domini online è un mercato dove gli indirizzi non si comprano solo per usarli, ma soprattuto per rivenderli: e i prezzi vanno da pochi dollari a milioni. Tanto da diventare attraente anche ai grandi investitori (Verisign, il registro che gestisce i domini “.com” è a maggioranza di proprietà della Berkshire Hathaway, guidata da Warren E. Buffett). Anche se ormai il nostro modo di navigare il web è sempre più orientato da social e motori di ricerca, e sempre meno ci ritroviamo nella condizione di dover digitare fisicamente l’indirizzo completo dei sito che vogliamo visitare, il mercato sembra avere un giro d’affari (per le sole registrazioni e commissioni) stimato intorno ai 4 miliardi di dollari. E soprattutto, il fattore-nome, per un brand, resta importante, al netto della vanità di una startup che vuole sfoggiare un indirizzo “.ai”. Se il “.com” resta quello più utilizzato, coprendo il 40% di tutti i domini, nell’ultimo anno il 33% delle startup ha scelto indirizzi che finiscono in modo diverso: una percentuale che è più che raddoppiata rispetto a cinque anni fa.

L’origine dei domini si può far risalire al 1998 (anche se alcuni sono precedenti) quando il governo Usa ha gestito la creazione dell’ICANN, Internet Corporation for Assigned Names and Numbers, una non-profit che sovrintende alla creazione dei domini, senza regolare prezzi, e che quando fu creata iniziò a legare i domini al territorio di appartenenza. Così in Canada c’è il dominio “.ca”, in Germania c’è il “.de” e Anguilla, ovviamente, ha avuto il “.ai”. Rimasto di nicchia finché non è scoppiato il trend dell’intelligenza artificiale, che sta assicurando all’Isola un piccolo tesoro.

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