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Ministro Amendola: Ecco come tornare a contare in Europa

Il futuro della Ue con la Brexit, il peso del Vecchio Continente nel difficile contesto internazionale e il ruolo dell’Italia: parla il ministro degli Affari Europei Enzo Amendola.

La versione completa di questo articolo, a firma di Caterina D’Ambrosio, è disponibile sul numero di Fortune Italia di febbraio.

 

Il nome di Enzo Amendola, ministro degli Affari Europei, è ben noto a Bruxelles. Da quando si è insediato non è mai mancato ad un appuntamento e il suo lavoro, tenace e a tratti febbrile, è il risultato di anni passati a occuparsi di questioni europee. A lui tocca il compito non facile di ricucire un rapporto – tra l’Italia e la Ue – messo a dura prova dal Governo precedente.

È cominciato il nuovo corso per l’Ue. Qual è l’agenda europea dei prossimi mesi?

Un cambiamento epocale che richiederà una grande mobilitazione di investimenti pubblici e privati e in cui il nostro sistema industriale avrà un ruolo cruciale. Credo serva un approccio ambizioso, perché l’obiettivo è quello di porre le basi per un recupero di competitività globale per le nostre imprese nel medio periodo, facendo dell’Europa il continente leader nella transizione verso un’economia verde. Ma dobbiamo essere anche molto realisti e pragmatici: saranno necessari investimenti enormi, sia pubblici sia privati, ed è una sfida che l’Europa può raccogliere solo se coesa. Un altro grande tema è quello relativo ai “Campioni Industriali Europei”, su cui la discussione inizia a prendere piede. Francia e Germania hanno lanciato un’iniziativa ad hoc e l’Italia sostiene un dibattito su questo tema, a condizione che venga mantenuto il cd. “level playing field” nel mercato interno a tutela di tutti gli operatori, incluse le piccole e medie imprese.

Quali sono al momento i principali investimenti previsti a sostegno della crescita economica?

Il dibattito è in pieno svolgimento. Si parla di non meno di 100 mld di euro annui nei prossimi 10 anni, destinando – a vari livelli – circa il 25% del bilancio comunitario. È sicuramente una buona notizia, dopo anni di austerity e di ritardi sugli investimenti. Va nella giusta direzione, in particolare, l’approvazione da parte del Collegio dei Commissari del 14 gennaio scorso di un Just Transiction Fund (Fondo per la transizione giusta, strumento principale del Just Transition Mechanism che dovrà attutire le conseguenze economiche del Green Deal). L’Italia ha chiesto all’Europa un’azione coordinata su tre livelli: conseguimento degli obiettivi ambientali; rafforzamento della base industriale per assicurare la transizione “verde” in maniera equa; e garanzie sociali, in particolare per chi sarà tagliato fuori dal mercato del lavoro. La Commissione ha scelto una strada che è determinante per il nostro Paese e per il futuro dell’Europa. L’Italia avrà a disposizione intorno ai 4 mld per la riqualificazione delle regioni in cui sono presenti sistemi industriali ancora dipendenti dal carbone. Il governo è già al lavoro per la realizzazione di un piano strategico fortemente ambizioso. Ma ci tengo anche a dire che non partiamo da zero: abbiamo molte grandi e medio imprese che sono all’avanguardia nelle soluzioni tecnologiche, in prodotti e servizi già pienamente in linea con la nuova logica industriale.

La versione completa di questo articolo, a firma di Caterina D’Ambrosio, è disponibile sul numero di Fortune Italia di febbraio.

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