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Come creare una nuova A.I. grazie ai bambini (e ai robot)

robot bambini intelligenza artificiale

Una ricerca dello IAS-Lab del Dipartimento di Ingegneria dell’informazione dell’Università di Padova applica per la prima volta la tecnica BCI (Brain Computer Interface) ai minori.

La versione completa di questo articolo, a firma di Salvo Ingargiola, è disponibile sul numero di Fortune Italia di febbraio.

 

Bambini alle prese con robot e videogame. Stavolta, non per gioco ma perché parte di una ricerca condotta dall’Università di Padova in collaborazione con l’ateneo di Ferrara. Protagonisti i piccoli pazienti, di età compresa tra i 6 e i 14 anni su cui si concentra uno studio che, per la prima volta, ha analizzato in maniera sistematica cosa succede quando un bambino ‘pilota’ un computer o un robot, con il cervello. Si tratta di un esperimento di neurorobotica, una disciplina che studia come “la robotica si interfaccia con il sistema nervoso umano, ovvero con i segnali cerebrali che si generano durante il funzionamento del cervello”, come ci spiega Emanuele Menegatti, responsabile dello Ias-Lab (Intelligent autonomous systems laboratory). Non a caso, infatti, i bambini nel corso dello studio indossano un caschetto dotato di elettrodi. L’obiettivo è cogliere i segnali elettrici generati. Così facendo, si può ordinare a un robot o a un avatar in un videogame di ‘girare a destra’ o ‘a sinistra’ o, ancora ‘andare dritto’. Piccoli comandi, sottolinea Menegatti.

“D’altronde – spiega – non sappiamo come funziona il cervello. Quindi se io penso ‘rosso’, al momento, non sappiamo esattamente cosa succede all’interno della mente. Ciò che, di certo, sappiamo è la ‘zona’ che si attiva”. La ricerca – condotta dal Dipartimento di ingegneria dell’informazione del Bo di Padova – consiste dunque nel riconoscimento delle intenzioni del bambino mediante la decodifica dei segnali elettrici prodotti dal cervello. Il tracciato, anziché essere disegnato su carta, come in un normale elettroencefalogramma, viene elaborato da un computer e da algoritmi di intelligenza artificiale che ‘traducono’ questi segnali e li interpretano, dando gli ordini in questione a Pepper, un robot umanoide alto 1,21 cm.

“Abbiamo così scoperto che in questi compiti il cervello dei bambini, pur essendo ancora in formazione, funziona allo stesso modo di quello degli adulti”, afferma Menegatti che, a Padova, guida uno staff (un ricercatore – Luca Tonin – e due dottorandi, Gloria Beraldo e Stefano Tortora).

“Il cervello di ogni persona – spiega – si attiva in maniera un po’ diversa. Pertanto, il software deve essere ‘cucito’ su misura del piccolo paziente”. Ma l’ambizione è un’altra: “In collaborazione con la professoressa Agnese Suppjei dell’Università di Ferrara, stiamo cercando di raccogliere una grande quantità di dati che ci permetta di creare un programma di intelligenza artificiale basato sul deep learning che funzioni direttamente per tutti i soggetti”. In altre parole, un software così evoluto, che sia indipendente dalle caratteristiche del soggetto.

 

La versione completa di questo articolo, a firma di Salvo Ingargiola, è disponibile sul numero di Fortune Italia di febbraio.

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