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La precarietà del lavoro raccontata in “Frammenti”

Da Milano a Roma, per poi tornare nella terra natìa, la Puglia. Per rincorrere un sogno, quello di trovare un posto di lavoro stabile che permetta soprattutto di trovare un posto nel mondo. Un viaggio da nord a sud dell’Italia in versi, anzi in “Frammenti”: è quello raccontato in “Frammenti di un precario”, edito da Les Flaneurs Edizioni, nuovo libro di poesie del barese Giuseppe Di Matteo, classe 1983, che è alla sua seconda prova letteraria dopo aver pubblicato nel 2016 la raccolta di poesie “Con te io penso con le mani”.

I versi di Di Matteo tracciano un profilo di vita comune a tanti giovani d’oggi: precari intellettuali, precari della mente. Di Matteo di mestiere fa il giornalista, posizione precaria per eccellenza (al giorno d’oggi: in altri tempi era da privilegiati). Il suo viaggio lo porta ad allontanarsi da quel “Sud Meridionale/ nelle case di calce che sopravvivono/ agli alveari di sale e alla cattiverie del pane” per cercare una seconda casa e una seconda vita a Milano, centro finanziario fatto di asfalto e nebbia ma anche di fiori e navigli. Tutto il libro è pervaso da citazioni colte, e la brevità dei versi, di ungarettiana memoria, permette ad ogni pagina di essere a sé, come “pezzi di uno specchio infranto” nei quali il lettore può scorgere ricordi ed sensazioni dell’autore, certo, ma anche dolori, disillusioni e speranze generali. Comuni soprattutto una intera generazione, quella dei cosiddetti “millennials”.

In questo contesto persino l’amore diventa “di un precario”. Perché quando non si trova una dimensione, anche i sentimenti devono soccombere al tempo che passa inesorabile: “Mi sento fallire a ogni sepoltura di lancetta”. Non c’è vita “social” nei Frammenti: ogni dialogo sembra fatto con sé stesso, puntellato da momenti di silenzio che impreziosiscono i versi, recuperando una dimensione intima e privata dove la sovraesposizione digitale non è contemplata. In un mondo in cui siamo sovrastati dagli strumenti per comunicare con altri, il poeta Di Matteo illumina, nell’epilogo, il fattore di precarietà più grande e problema forse comune oggi a molti: “È con me/ che non riesco/ a parlare.”

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