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Coronavirus, le tasse tornino bellissime

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Dobbiamo avere il coraggio di dire che le tasse sono una cosa bellissima. È un modo civilissimo di contribuire insieme al pagamento di beni indispensabili”. Queste parole, pronunciate il 25 ottobre 2007, durante ‘In 1/2′ di Lucia Annunziata, sono costate anni di insulti all’allora ministro dell’Economia, Tommaso Padoa-Schioppa, oltre a una inevitabile perdita di consenso allo schieramento di cui era espressione, il Centrosinistra. È stata una frase tanto infelice da un punto di vista della propaganda quanto essenziale, definitiva, nel suo peso politico. Intorno a quella frase, una visione progressista della società avrebbe dovuto continuare a sviluppare una proposta coerente con quel punto fermo: il welfare, l’equità e lo sviluppo sostenibile passano per un rapporto corretto con le tasse.

Oggi che quel ministro dell’Economia non c’è più meriterebbe le scuse di molti. In particolare, di chi con i comportamenti e con gli slogan ha assecondato l’evasione fiscale e alimentato l’ostilità verso la cosa pubblica. Oggi, ci sono medici e infermieri che combattono in tutti gli ospedali, ci sono poliziotti e carabinieri nelle strade a far rispettare prescrizioni decisive per la salute di tutti, ci sono dipendenti pubblici impegnati a garantire i servizi essenziali. Oggi, il fine principale delle tasse è più visibile per tutti. La paura del virus, l’epidemia che costringe tutti a chiudersi in casa, offre un punto di vista diverso: lo Stato serve, dal funzionamento dello Stato dipende addirittura la sopravvivenza. Perché se quando tutto va relativamente bene, in tempi normali, l’opportunismo e l’egoismo offrono un approdo più ‘conveniente’, in condizioni di emergenza servono gli ospedali che in qualche modo funzionino, i medici e gli infermieri che nonostante tutto facciano il loro dovere, servono perfino i poliziotti, i carabinieri e i vigili urbani: serve uno Stato che sappia fare la sua parte.

Considerate le condizioni di lavoro, le disfunzioni e gli stipendi, la quota di dipendenti pubblici che continua a fare il proprio mestiere senza risparmiarsi merita il sostegno di tutti e le scuse di tanti. Soprattutto, meriterebbe che il primo passo a emergenza finita fosse uno sforzo per migliorane lo status, economico e sociale. La storia suggerisce che difficilmente sarà così ma l’eccezionalità di tutto quello che stiamo vivendo lascia la speranza che questa volta il ritorno alla normalità, quando sarà possibile, non dimentichi chi nell’emergenza ha dimostrato di essere essenziale.

Come è possibile farlo? Con le tasse, non c’è altro modo. Tasse che possono essere ‘bellissime’ se intese come le intendeva Padoa-Schioppa o insopportabili se, come è nella realtà, sono troppo alte, inique, evase da molti e derise da troppi. Per questo, una profonda riforma fiscale dovrebbe essere l’obiettivo di chiunque voglia un Paese in grado di assicurare a tutti i servizi pubblici essenziali. Da oggi, forse, possiamo essere più consapevoli che non sono un accessorio: servono a salvare vite, a tenere insieme una società che non ne può fare a meno.

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