L’Ungheria è da oggi ufficialmente una dittatura. Lo era già prima, nei fatti, ora lo è anche formalmente: Viktor Orban ha acquisito poteri eccezionali e senza limiti. Sono sospese la libertà di stampa e di espressione. Il disegno del leader ungherese si compie sfruttando l’alibi del Coronavirus: la sospensione dei diritti democratici arriva per fronteggiare l’emergenza sanitaria, con un atto parlamentare che prevede anche la chiusura dello stesso Parlamento, per decreto, a discrezione del premier.
I pieni poteri, quelli veri, richiamano quelli invocati in Italia, nell’euforia della propaganda del Papete, dall’allora ministro dell’Interno Matteo Salvini appena pochi mesi fa. Non sono la stessa cosa, perché Salvini non è Orban e perché l’Italia non è l’Ungheria. Ma le parole con cui il leader della Lega commenta non aiutano a tenere la giusta distanza: “Saluto con rispetto la libera scelta del parlamento ungherese (137 voti a favore e 53 contro), eletto democraticamente dai cittadini. Buon lavoro all’amico Victor Orban e buona fortuna a tutto il popolo di Ungheria in questi momenti difficili per tutti”.
L’accostamento aiuta a questo punto a ricordare che la democrazia è un bene prezioso, a maggior ragione in condizioni eccezionali e di emergenza. Il Parlamento deve rimanere aperto, la dialettica tra maggioranza e opposizione deve rimanere viva. Il governo deve continuare, anche sul piano legislativo, a usare strumenti che consentano il confronto. La stampa e l’opinione pubblica devono continuare a evidenziare gli errori, i ritardi, le incongruenze dell’azione di governo.
Un conto è limitare le libertà personali per contenere il contagio di un’epidemia. E anche chiedere a tutti il senso di responsabilità che serve per prendere decisioni il più possibile condivise. Un altro è sfruttare l’epidemia come un alibi per imporre poteri speciali che non possono che essere chiamati con il loro nome: dittatura. La differenza dovrebbe essere talmente lapalissiana da non ammettere discussioni. Ma, evidentemente, non è così.
