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1 maggio, la grande incognita del lavoro

Primo maggio, festa dei lavoratori. Una giornata dedicata al mondo del lavoro, ai diritti e alle conquiste degli anni del progresso. Nel tempo, soprattutto dopo la crisi del 2008, si è trasformata nella giornata delle rivendicazioni e delle recriminazioni, per quello che era e che gradualmente si è perso. Con la contrazione dei salari, la diffusione della precarietà, l’erosione dell’occupazione. Primo maggio 2020, la grande incognita del lavoro. La nuova, profonda, crisi innescata dal Coronavirus rende questa giornata uno spazio difficile da descrivere. Non solo perché sarà senza manifestazioni, senza sindacati in piazza, senza concerti, senza colori. Ma soprattutto perché oggi il lavoro è per tanti un’assenza dolorosa e per tanti altri un punto interrogativo, una domanda che cerca risposte senza trovarle.

 

Se l’impatto della nuova crisi sul Pil inizia a essere compreso e calcolato, quello sull’occupazione è ancora da misurare. Anche se le proporzioni che si delineano sono potenzialmente gigantesche. Ci sono lavori destinati a scomparire, intere categorie a rischio estinzione. D’altra parte, nasceranno nuove esigenze e, si spera, nuove professionalità. Come in ogni fase di grande trasformazione sarà essenziale che il saldo tra vecchio e nuovo non sia troppo sbilanciato in negativo. Dipenderà tutto, o almeno in buona parte, dalle scelte di politica economica che saranno fatte. Ora, nella fase dell’emergenza acuta, per il sostegno al reddito e alle imprese. Più avanti, nella fase della ricostruzione, con le politiche attive e con gli investimenti, soprattutto quelli pubblici.

 

Sul primo fronte, quello dell’emergenza, il dilatarsi del periodo delle restrizioni (per ora la fase 2 è solo accennata) impone misure straordinarie, drastiche. Servono procedure immediate per portare ossigeno alle imprese. Quelle piccole rischiano di non riaprire, quelle medie hanno difficoltà di finanziamento e, come quelle grandi, potrebbero scaricare buona parte delle perdite accumulate sulla forza lavoro, procedendo con tagli dolorosi. Per questo, il tema della liquidità si salda con quello della protezione del lavoro.

 

Il secondo fronte, quello della ricostruzione, sarà tanto più impegnativo quanto saranno ingombranti le macerie che lascerà alle sue spalle la definitiva uscita dall’emergenza. Limitandosi alle implicazioni per il lavoro, non è difficile prevedere che servirà un piano straordinario, con tre pilastri fondamentali: investimenti a sostegno dell’offerta di nuovi posti, strategie per il reinserimento dei disoccupati nel mercato e una riforma degli ammortizzatori sociali. Dato per buono l’assunto che ‘il lavoro non si crea per decreto’, l’adozione di politiche ‘pro lavoro’ resta una delle sfide principali che abbiamo di fronte. Se così non fosse, il numero di nuovi poveri, che comunque crescerà, assumerebbe proporzioni insostenibili.

 

In questo scenario, reso complesso da una crisi innescata da un fattore imprevedibile come quello di un’epidemia, il 1 maggio, festa dei lavoratori, nonostante tutte le incognite, deve conservare il suo valore principale: il diritto al lavoro deve restare centrale anche, e soprattutto, nel pieno della crisi del Coronavirus.

 

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