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Recovery Fund, l’Europa buona e quella cattiva

L’Europa, quella sana, vuole veramente salvare l’Italia. Il presidente della Commissione Ue, la tedesca Ursula Von der Leyen, ha presentato una proposta che, alle condizioni note, può rappresentare una svolta nel tortuoso percorso delle misure messe in campo per contrastare la crisi aperta dal Coronavirus. Aumenta del 50%, da 500 a 750 mld, l’ammontare complessivo delle risorse del Recovery Fund previste dall’accordo franco-tedesco. Aggiunge prestiti a tassi bassi e scadenze lunghe al fondo perduto e, soprattutto, individua un criterio per la destinazione delle risorse che cambia lo scenario.

 

Per l’Italia, arriverebbero 172,7 mld: 81,80 come aiuti e 90,93 come prestiti. Ovvero, più di un quarto della torta complessiva. Non è un regalo ma una decisione che raccoglie un’esigenza comune che, al netto dell’intransigenza dei Paesi del Nord, più miopi che frugali, è ormai condivisa: vanno aiutati quei Paesi che per la portata della crisi sanitaria, e per la concomitante difficoltà a crescere, rischiano di compromettere la ripartenza di tutti. E dato che l’Italia è senza dubbio il Paese più colpito, la proposta della Commissione formalizza la scelta di renderlo il maggiore beneficiario dell’operazione.

 

Nella sintesi ‘politica’ di Von der Leyen c’è la stessa ragion d’essere dell’Europa. “Un’economia in difficoltà da una parte indebolisce una forte dall’altra. Divergenze e disparità aumentano e abbiamo solo due scelte: o andiamo da soli, lasciando Paesi e regioni indietro, o prendiamo la strada insieme. Per me la scelta è semplice, voglio che prendiamo una strada forte insieme”. L’immediata frenata che arriva da fonti olandesi, “il negoziato sarà lungo”, serve a mettere bene in chiaro che non siamo ancora al traguardo. Quella della Commissione è tecnicamente una proposta e gli ostacoli per renderla una decisione sono ancora sul suo percorso.

 

L’abituale rimbalzo via Twitter delle posizioni dei leader coinvolti completa il quadro. Parla di un “ottimo segnale da Bruxelles”, che “va esattamente nella direzione indicata dall’Italia” il premier Giuseppe Conte, che aggiunge: “Siamo stati descritti come visionari perché ci abbiamo creduto dall’inizio, 500 mld a fondo perduto e 250 mld di prestiti sono una cifra adeguata. Ora acceleriamo sul negoziato per liberare le risorse presto. Che le capitali europee lo assecondino”. Ancora un auspicio, quindi. Si sbilancia il commissario Ue agli Affari economici, Paolo Gentiloni: “Una svolta europea per fronteggiare una crisi senza precedenti”.

 

Se l’Europa ‘buona’, quella capace di progettare e attuare una svolta vera, dovesse prevalere, si porrebbero le basi per una nuova convivenza all’interno dell’Unione. Al contrario, se dovesse prevalere l’Europa ‘cattiva’, quella capace solo di accostare piani di austerità e condizioni insostenibili anche nella piena emergenza, l’Unione non avrebbe futuro.

 

Rispetto a questi esiti opposti, si dividono anche le fazioni interne. L’Europa ‘nemico’ aiuta a rafforzare i nazionalismi e i sovranismi, a chiudere i confini e a difendersi, a sostenere l’esigenza di una spallata al Governo. L’Europa ‘alleata’ può aprire una nuova stagione di integrazione. E rilanciare anche le chance di tenuta della maggioranza, che finora ha mostrato più divisioni interne che capacità di sintesi ma che potrebbe essere ricompattata da una soluzione positiva del lungo braccio di ferro europeo.

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