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Coronavirus, il calcio riparte più triste

Riprende il campionato di Serie A, il 20 giugno. Non vediamo l’ora, noi appassionati di calcio. Senza il pallone, giocato, guardato o anche solo parlato, si sta peggio. A tanti di noi, manca un pezzo di quotidianità, di socialità, quella quota di infantile evasione che solo un campo, o uno stadio, sa concedere.

 

Ma quello che riparte sarà comunque un calcio più triste. Artificiale, solo televisivo, svuotato di tanto. È il prezzo da pagare all’emergenza sanitaria, si dice. Ma è anche, se non soprattutto, il costo da pagare per la sopravvivenza dell’industria calcio. Si riparte perché ci sono 5 miliardi di fatturato da tutelare, in buona parte assicurati dai diritti televisivi. Si riparte perché l’hanno voluto con forza le società e tutte le componenti che vivono intorno al calcio. Si riparte per salvare il salvabile di una stagione ormai compromessa. Anche da un punto di vista sportivo.


Hanno vinto i soldi, commenta chi è schierato contro il sistema calcio. Ha vinto la determinazione di chi vuole ricominciare, di chi non vuole arrendersi, ribatte chi quel sistema lo difende per convinzione o solo per tornaconto.

 

Sicuramente, perde il calcio vero. E perdono i tifosi di calcio, che si troveranno di fronte a immagini surreali, girate in stadi vuoti, provando comunque a farsi bastare il surrogato che l’epidemia consente di mandare in scena.

 

Non solo. Si riparte anche con un lungo elenco di rischi. Il primo, il più evidente, è la possibilità che un contagio costringa a tornare indietro. Ma ce ne sono altri.

 

La prossima stagione potrebbe risentire da tanti punti di vista della decisione di non arrendersi allo stop imposto dal Coronavirus. Sul piano sportivo, perché il risultato sarà comunque falsato dalla lunga sosta e perché il calendario compresso dei prossimi due mesi potrebbe presentare il conto sulla salute e la condizione fisica dei calciatori. Non solo. Lo spettacolo, che sarà inevitabilmente ridimensionato, potrebbe impoverire anche il prodotto calcio e portare disaffezione, allontanando tifosi, che sono anche clienti dell’industria calcio, oltre agli investitori e agli sponsor.

 

Potrebbe andare anche tutto meglio, e lo speriamo. Ma non si può festeggiare la ripartenza del calcio come se tutto possa tornare improvvisamente normale.

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