NF24
Cerca
Close this search box.

Oggi i dati Istat hanno poco senso

istat economia pil inflazione

I dati, oggi quelli dell’Istat e quelli che arriveranno nelle prossime settimane, rischiano di avere poco senso. Misurare una caduta, quella provocata dal Coronavirus, che ancora non si è arrestata e immaginare un rimbalzo, una ripresa, che inevitabilmente deve appoggiarsi a un esercizio teorico, restituisce una fotografia che potrà essere presto strappata e sostituita con un’altra, in negativo presumibilmente, ma anche in positivo paradossalmente.

 

Questo, non perché i tecnici dell’Istat o di qualsiasi altro istituto che fa previsioni non sappiano fare il loro mestiere. Semplicemente, perché ci sono una serie di variabili che pesano sullo scenario. È lo stesso Istituto di statistica a spiegarlo. Va considerato lo “shock senza precedenti che sta investendo l’economia italiana” e anche il fatto che le previsioni sono fatte rispetto a “ipotesi che riguardano prevalentemente l’ampiezza della caduta della produzione nel secondo trimestre del 2020, più marcata di quella del primo, e la velocità di ripresa dei ritmi produttivi nel terzo e quarto trimestre”.

 

Due i principali fattori di incertezza. I dati reali potranno essere in linea con le previsioni senza una “significativa ripresa dei contagi nella seconda parte dell’anno”. Soprattutto, è indispensabile che le misure economiche abbiamo l’effetto positivo previsto, favorito anche dal “proseguimento di una politica monetaria accomodante che stabilizzi i mercati finanziari garantendo il normale funzionamento del credito”.

 

Cosa fare, quindi, delle indicazioni che arrivano? Sono un’ottima base per ragionare rispetto all’urgenza di nuovi provvedimenti di politica economica che devono contribuire a fermare soprattutto l’emorragia di posti di lavoro e di chiusure delle attività. Il Pil, dice l’Istat, calerà dell’8,3% nel 2020, ma nel 2021 ci sarà un rimbalzo del 4,6%. Il lavoro seguirà lo stesso andamento: le Unità lavorative annue (Ula, cioè i lavoratori, ma calcolati nell’ordine di giornate lavorative di 8 ore) caleranno quest’anno del 9,3% e nel 2021 aumenteranno del 4,1%.

 

Su tutti e due i fronti, crescita e occupazione, si ragiona, e non potrebbe essere altrimenti, partendo dall’assunto che quello che sta avvenendo in queste settimane possa produrre effetti in linea con quanto osservato in altri cicli economici. Gli indicatori disponibili per il mese di maggio, sostiene l’Istat, mostrano “alcuni primi segnali di ripresa in linea con il processo di riapertura delle attività”. La ripresa delle attività di produzione e consumo “è attesa sostenere un miglioramento del clima economico con un effetto positivo sul Pil che, dopo una flessione ulteriore nel secondo trimestre, è previsto in aumento nel secondo semestre dell’anno”.

 

Tutto evidentemente corretto da un punto di vista metodologico e statistico. Ma va considerato che si tratta di dati che descrivono una riapertura dopo uno stop quasi totale. Resta il fatto, piuttosto concreto, che è difficile stimare quanto sarà lunga la coda lasciata dal lockdown. I segnali che arrivano dalle imprese, dai commercianti, dai lavoratori che hanno perso o rischiano di perdere il loro impiego, in attesa di capire cosa avverrà veramente quando si chiuderà l’ombrello di sussidi e ammortizzatori sociali, fanno pensare che i numeri debbano essere aggiornati passo dopo passo. Preparandosi anche a correzioni dolorose.

ABBIAMO UN'OFFERTA PER TE

€2 per 1 mese di Fortune

Oltre 100 articoli in anteprima di business ed economia ogni mese

Approfittane ora per ottenere in esclusiva:

Fortune è un marchio Fortune Media IP Limited usato sotto licenza.