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Digitale, le micro imprese in ritardo

Il lockdown ha svelato le debolezze delle micro imprese italiane. Secondo uno studio effettuato da GoDaddy, che supporta le aziende nella loro trasformazione digitale, di 305 ‘botteghe’ prese in esame, con un fatturato di 200mila euro l’anno, solo il 41% ha un sito web rilevabile attraverso i motori di ricerca. E di queste, solo un 27% riesce a far sì che i clienti visitino il sito, con volumi di traffico che superano le 500 visite al mese. A livello di piccole e medie imprese l’indice di digitalizzazione è cresciuto di due punti percentuali da 2019 e ora si attesta al 56%.

 

“L’analisi condotta sulle micro imprese durante il periodo di emergenza sanitaria mostra che solo pochi casi virtuosi – il 10% – hanno attivato investimenti significativi durante il periodo di lockdown e incrementato il traffico verso il proprio sito”, osserva Gianluca Stamerra, Regional Director di GoDaddy per Italia, Spagna e Francia. “Allo stesso tempo, il fatto che il 63% delle piccole aziende con sito rilevabile riesca a generare meno di 500 visite mensili dimostra che esiste un enorme potenziale miglioramento: ossia adottare strumenti per migliorare la visibilità dei loro siti vetrina, al fine di essere trovati su Internet e supportare efficacemente il business”. Nell’indagine di GoDaddy vengono analizzate quattro aree: le vendite online, il delivery, la comunicazione e la performance.

 

Per quanto riguarda il digital sales, lo studio rivela che solo il 29% delle micro imprese aveva un sistema di vendite online prima del periodo di lockdown. Eppure, meno di due botteghe su 100 lo hanno sviluppato proprio per sopravvivere durante l’emergenza coronavirus. E nella maggior parte dei casi si è trattato di realtà del mondo della ristorazione, dove il 23% ha organizzato il servizio con Whatsapp, il 14% ha sviluppato un e-commerce e il 9% ha usato i social media. A livello geografico, le micro imprese più impegnate nella ‘corsa alla digitalizzazione’ durante la pandemia sono state quelle del Centro (21%), seguite dal Sud (16%) e infine dal Nord (11%): in quest’ultimo caso, tuttavia, è necessario ricordare che le aziende di Centro e Nord del Paese presentavano già pre-Covid una maggiore presenza di servizi di vendita digitali, rispettivamente il 35% e 31%, rispetto al 21% del Sud.

 

L’altro aspetto di ‘sopravvivenza’ durante il lockdown è stato il servizio di delivery: in questo ambito, un’azienda su cinque lo ha attivato tramite sito web o ordinazioni telefoniche. In particolare, i ristoranti che hanno attivato servizi di delivery hanno scelto di effettuare le consegne con un corriere interno (80%) o di utilizzare un servizio di terze parti, come per esempio Glovo (20%). Innegabilmente, le consegne a domicilio hanno aiutato i ristoranti a rimanere attivi anche durante il periodo di lockdown.

 

Infine, la comunicazione: solo il 6% delle botteghe italiane ha introdotto, per esempio, servizi di newsletter per rimanere in contatto con i propri clienti. Totalmente assenti, invece, risultano le aperture di nuovi canali di comunicazione digitali, con le imprese che hanno preferito fare affidamento su quanto già attivato in precedenza. Dall’analisi emerge infatti come l’80% delle micro imprese avesse già una pagina Facebook e il 45% un profilo Instagram nei mesi antecedenti l’emergenza sanitaria. In particolare, le micro aziende che si occupano di ristorazione nell’85% dei casi era già su Facebook e nel 53% su Instagram.

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