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Coronavirus, il conto da pagare al negazionismo

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Capovolgere la realtà e cercare ovunque il complotto, la macchinazione di forze oscure. Il negazionismo ha radici lontane e ragioni spesso elementari: quando la verità ha un tratto netto, c’è una parte, quasi sempre quella sconfitta o colpevole, che prova a cambiare senso alle cose, prima rigettando le proprie responsabilità e poi tentando di riscrivere la storia.

 

In genere, il passaggio successivo è quello del revisionismo. Una volta negata la realtà, arriva la teoria che modella, adatta, o distorce i fatti.

 

È successo con i passaggi più duri della storia, a partire dalle nefandezze del nazifascismo. Gli ultimi anni hanno mostrato però una tendenza nuova. La retorica negazionista è diventata un’arma di propaganda e un approccio sistematico, con proporzioni di massa. Il fenomeno no vax, ma anche la mistificazione dei flussi migratori, hanno arricchito la teoria del complotto di contenuto politico, con forze disponibili a cavalcare e a ingrossare l’onda della suggestione a buon mercato. Il fattore comune è la distanza che si allarga tra i dati, il contenuto, e la narrazione.

 

Oggi, la stessa dinamica si sta riproducendo nell’interpretazione di un fatto epocale, e globale, come l’epidemia di Coronavirus. Negazionisti, complottisti e revisionisti conquistano spazio, fiancheggiati da quelle forze politiche che sperano di trarre vantaggio nell’interpretare il malcontento legato alle prescrizioni, alle restrizioni e alle conseguenze economiche e sociali della crisi aperta dal virus. Matteo Salvini, il leader della forza politica accreditata della maggioranza relativa, invita a non portare la mascherina. Lo fa cogliendo evidentemente il senso simbolico di una disobbedienza che vuole andare oltre l’utilizzo di un dispositivo medico. C’è un legame stretto con i migranti di Lampedusa che, da protocollo complottista, portano il virus. Il legame non c’è sul piano logico, evidentemente. Perché la mascherina servirebbe a maggior ragione se l’invasione fosse reale e se fosse reale il rischio che i migranti possano alimentare l’epidemia. Ma c’è il legame sul piano della propaganda: lo Stato ti impone la mascherina, continua a combattere un virus che non c’è più, mentre non ti protegge dai migranti. Il brodo di coltura è simile a quello dell’universo no vax. Nessuna evidenza scientifica, contro informazione studiata a tavolino e puntuale deriva negazionista. Con un piano B sempre pronto. Se il virus tornasse a colpire, ci si può sempre nascondere dietro una mascherina per cambiare narrazione e trovare il modo di speculare comunque sulla paura.

 

Il problema più serio è però un altro. La messa in scena negazionista rischia di creare le condizioni perché la probabile recrudescenza del virus in autunno, insieme al certo inasprimento delle condizioni economiche e sociali, possa trovare un Paese non più capace di reagire come ha fatto, nonostante tutto, durante i mesi del lockdown. Il senso e il rispetto dello Stato, il valore riconosciuto e condiviso di una voce sola, quella della scienza, sono risorse imprescindibili per affrontare nuove emergenze. E se il protagonismo di virologi e infettivologi può diventare un fattore di debolezza, finendo per concedere spazio a chi la scienza pensa a strumentalizzarla, la responsabilità della politica dovrebbe essere quella di non perdere il legame con la realtà.

 

Il pasticcio dei treni, con regole che vanno e vengono non è solo un errore che costa milioni di euro, sta a dimostrare che la lucidità di chi deve prendere le decisioni può essere l’unico argine al caos, territorio fertile per negazionisti e complottisti di ogni natura.

 

 

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